La leucemia linfatica cronica di tipo B (LLC-B) è la forma più comune di leucemia dell'adulto ed è caratterizzata dall’accumulo nel sangue periferico, nel midollo osseo e negli organi linfatici di piccoli linfociti B monoclonali esprimenti il marcatore CD5. È una patologia eterogenea, la cui evoluzione varia da un decorso clinico indolente, che non necessita di alcuna terapia, ad una rapida progressione che richiede un trattamento. L’identificazione di fattori che permettano di stratificare pazienti a prognosi differente fin dalle fasi iniziali della malattia è uno dei principali obiettivi degli studi riguardanti la LLC-B. Negli anni sono stati definiti fattori di prognosi classici (il tempo di raddoppiamento linfocitario, l’infiltrazione del midollo osseo, la percentuale di prolinfociti, i livelli di β2 microglobulina, di timidina chinasi e di CD23 solubile), e, più recentemente, fattori prognostici correlati a caratteristiche molecolari del clone leucemico, tra i quali la presenza di alterazioni citogenetiche, lo stato mutazionale dei geni della catena pesante delle immunoglobuline (SHM), l’espressione dell’enzima telomerasi e di molecole quali CD38 e ZAP-70. Un possibile fattore prognostico, ancora in fase di valutazione, è infine il leucocyte-associated Ig-like receptor-1 (LAIR-1 o CD305), un recettore inibitorio, espresso sulla superficie delle cellule B, che può indurre la defosforilazione di diverse chinasi. Il progetto di ricerca sviluppato nei tre anni di dottorato mirava a definire il valore di alcuni fattori prognostici di recente definizione (CD38, CD305, ZAP-70 e SHM) e le possibili correlazioni esistenti tra essi. In particolare, poiché le modalità di determinazione dell’espressione della chinasi ZAP-70 sono oggetto di discussione a livello internazionale, una parte rilevante del triennio di questo dottorato di ricerca è stata dedicata alla valutazione ed alla comparazione di diversi metodi sperimentali, al fine di identificare un procedimento affidabile e ripetibile per la quantificazione di questa proteina. L’individuazione di un metodo affidabile e riproducibile per l’analisi di ZAP-70 mediante analisi citofluorimetrica ha portato alla scelta del metodo raziometrico, che valuta l’intensità media di fluorescenza di ZAP-70 nei linfociti B patologici in rapporto all’intensità media di fluorescenza della proteina nei linfociti T. Il metodo si è rivelato infatti più indipendente dall’operatore rispetto alle altre metodiche analizzate. Una volta stabilito il metodo più appropriato, abbiamo adeguato la metodica alla strumentazione del nostro laboratorio di Ematologia e Immunologia Clinica. Abbiamo quindi stabilito il valore soglia che meglio distingueva tra pazienti positivi e negativi e che ci permetteva di ottenere le maggiori specificità e sensibilità e abbiamo infine confrontato i dati ottenuti dall’utilizzo di diversi anticorpi monoclonali in grado di riconoscere la proteina ZAP-70 dimostrando che i due anticorpi che davano risultati maggiormente riproducibili e più simili tra loro erano l’anticorpo anti-ZAP70 Alexa Fluor 488, Caltag Laboratories e l’anticorpo anti-ZAP70 FITC, Upstate cell signaling solution. Per quanto riguarda gli altri fattori prognostici esaminati, abbiamo innanzitutto confermano il ruolo prognostico delle SHM nei 247 pazienti da noi analizzati e afferenti all’Unità operativa di Ematologia e Immunologia Clinica. Infatti il valore medio di sopravvivenza globale per i pazienti con SHM≥2% rispetto alle sequenze germline è risultato pari a 260 mesi e 99 mesi rispettivamente (p<0,001). La valutazione del repertorio VH ha evidenziato una prevalente espressione della famiglia VH3 (58% del campione). Le altre famiglie VH più rappresentate erano la famiglia VH1 (18% del campione) e VH4 (18%). L’espressione della famiglia VH1, era associata ad un’elevata probabilità di avere uno stato mutazionale <2% delle IgVH (58%). L’espressione della famiglia VH4, invece, si associa ad uno stato mutato (≥2%) delle IgVH (67%) e ad una sopravvivenza globale media di 220 mesi, significativamente superiore rispetto alla media dell’intero campione (p<0,001). Anche CD38 e ZAP-70 hanno dimostrato un ruolo prognostico importante: la sopravvivenza globale media per i pazienti CD38 positivi e negativi era pari rispettivamente a 123 mesi e 250 mesi (p=0,002); la sopravvivenza globale media per i pazienti ZAP-70 positivi e negativi era pari a 135 e 220 mesi (p=0,009). Lo studio dell’espressione di LAIR-1 ha dimostrato che questo recettore è espresso mediamente in quantità minore (41%±32) rispetto ai soggetti sani (84%±1), ed in particolare i pazienti ad alto rischio (stadio 3 e 4) avevano un’espressione minore della proteina rispetto al gruppo a minor rischio (stadio 0-2). Abbiamo valutato l’esistenza di correlazioni tra i diversi fattori prognostici. Abbiamo così rilevato una correlazione statisticamente significativa tra l’espressione di CD38 e l’assenza di ipermutazioni somatiche (p<0,01). Analogamente, abbiamo osservato una correlazione tra la positività di espressione di ZAP-70 e la mancanza di SHM (p<0,05). Per quanto riguarda LAIR-1, il recettore risulta espresso in quantità minore sia nei pazienti con SHM<2% sia in quelli CD38 positivi, mentre non è emersa alcuna differenza quando si sono considerati i pazienti per l’espressione di ZAP-70. I risultati ottenuti confermano l’efficacia dei fattori prognostici innovativi nel predire fin dal momento della diagnosi il possibile decorso clinico della malattia. Lo stato mutazionale rimane il fattore prognostico di riferimento e attualmente non sostituibile. Per quanto riguarda la proteina ZAP-70, promettente per la praticità e la rapidità della metodica impiegata per la sua valutazione, va sottolineato che ogni laboratorio deve standardizzare la metodica adeguandola agli strumenti ed ai reagenti in dotazione.
Fattori prognostici nella leucemia linfatica cronica di tipo B
BOSCARO, ELISA
2010
Abstract
La leucemia linfatica cronica di tipo B (LLC-B) è la forma più comune di leucemia dell'adulto ed è caratterizzata dall’accumulo nel sangue periferico, nel midollo osseo e negli organi linfatici di piccoli linfociti B monoclonali esprimenti il marcatore CD5. È una patologia eterogenea, la cui evoluzione varia da un decorso clinico indolente, che non necessita di alcuna terapia, ad una rapida progressione che richiede un trattamento. L’identificazione di fattori che permettano di stratificare pazienti a prognosi differente fin dalle fasi iniziali della malattia è uno dei principali obiettivi degli studi riguardanti la LLC-B. Negli anni sono stati definiti fattori di prognosi classici (il tempo di raddoppiamento linfocitario, l’infiltrazione del midollo osseo, la percentuale di prolinfociti, i livelli di β2 microglobulina, di timidina chinasi e di CD23 solubile), e, più recentemente, fattori prognostici correlati a caratteristiche molecolari del clone leucemico, tra i quali la presenza di alterazioni citogenetiche, lo stato mutazionale dei geni della catena pesante delle immunoglobuline (SHM), l’espressione dell’enzima telomerasi e di molecole quali CD38 e ZAP-70. Un possibile fattore prognostico, ancora in fase di valutazione, è infine il leucocyte-associated Ig-like receptor-1 (LAIR-1 o CD305), un recettore inibitorio, espresso sulla superficie delle cellule B, che può indurre la defosforilazione di diverse chinasi. Il progetto di ricerca sviluppato nei tre anni di dottorato mirava a definire il valore di alcuni fattori prognostici di recente definizione (CD38, CD305, ZAP-70 e SHM) e le possibili correlazioni esistenti tra essi. In particolare, poiché le modalità di determinazione dell’espressione della chinasi ZAP-70 sono oggetto di discussione a livello internazionale, una parte rilevante del triennio di questo dottorato di ricerca è stata dedicata alla valutazione ed alla comparazione di diversi metodi sperimentali, al fine di identificare un procedimento affidabile e ripetibile per la quantificazione di questa proteina. L’individuazione di un metodo affidabile e riproducibile per l’analisi di ZAP-70 mediante analisi citofluorimetrica ha portato alla scelta del metodo raziometrico, che valuta l’intensità media di fluorescenza di ZAP-70 nei linfociti B patologici in rapporto all’intensità media di fluorescenza della proteina nei linfociti T. Il metodo si è rivelato infatti più indipendente dall’operatore rispetto alle altre metodiche analizzate. Una volta stabilito il metodo più appropriato, abbiamo adeguato la metodica alla strumentazione del nostro laboratorio di Ematologia e Immunologia Clinica. Abbiamo quindi stabilito il valore soglia che meglio distingueva tra pazienti positivi e negativi e che ci permetteva di ottenere le maggiori specificità e sensibilità e abbiamo infine confrontato i dati ottenuti dall’utilizzo di diversi anticorpi monoclonali in grado di riconoscere la proteina ZAP-70 dimostrando che i due anticorpi che davano risultati maggiormente riproducibili e più simili tra loro erano l’anticorpo anti-ZAP70 Alexa Fluor 488, Caltag Laboratories e l’anticorpo anti-ZAP70 FITC, Upstate cell signaling solution. Per quanto riguarda gli altri fattori prognostici esaminati, abbiamo innanzitutto confermano il ruolo prognostico delle SHM nei 247 pazienti da noi analizzati e afferenti all’Unità operativa di Ematologia e Immunologia Clinica. Infatti il valore medio di sopravvivenza globale per i pazienti con SHM≥2% rispetto alle sequenze germline è risultato pari a 260 mesi e 99 mesi rispettivamente (p<0,001). La valutazione del repertorio VH ha evidenziato una prevalente espressione della famiglia VH3 (58% del campione). Le altre famiglie VH più rappresentate erano la famiglia VH1 (18% del campione) e VH4 (18%). L’espressione della famiglia VH1, era associata ad un’elevata probabilità di avere uno stato mutazionale <2% delle IgVH (58%). L’espressione della famiglia VH4, invece, si associa ad uno stato mutato (≥2%) delle IgVH (67%) e ad una sopravvivenza globale media di 220 mesi, significativamente superiore rispetto alla media dell’intero campione (p<0,001). Anche CD38 e ZAP-70 hanno dimostrato un ruolo prognostico importante: la sopravvivenza globale media per i pazienti CD38 positivi e negativi era pari rispettivamente a 123 mesi e 250 mesi (p=0,002); la sopravvivenza globale media per i pazienti ZAP-70 positivi e negativi era pari a 135 e 220 mesi (p=0,009). Lo studio dell’espressione di LAIR-1 ha dimostrato che questo recettore è espresso mediamente in quantità minore (41%±32) rispetto ai soggetti sani (84%±1), ed in particolare i pazienti ad alto rischio (stadio 3 e 4) avevano un’espressione minore della proteina rispetto al gruppo a minor rischio (stadio 0-2). Abbiamo valutato l’esistenza di correlazioni tra i diversi fattori prognostici. Abbiamo così rilevato una correlazione statisticamente significativa tra l’espressione di CD38 e l’assenza di ipermutazioni somatiche (p<0,01). Analogamente, abbiamo osservato una correlazione tra la positività di espressione di ZAP-70 e la mancanza di SHM (p<0,05). Per quanto riguarda LAIR-1, il recettore risulta espresso in quantità minore sia nei pazienti con SHM<2% sia in quelli CD38 positivi, mentre non è emersa alcuna differenza quando si sono considerati i pazienti per l’espressione di ZAP-70. I risultati ottenuti confermano l’efficacia dei fattori prognostici innovativi nel predire fin dal momento della diagnosi il possibile decorso clinico della malattia. Lo stato mutazionale rimane il fattore prognostico di riferimento e attualmente non sostituibile. Per quanto riguarda la proteina ZAP-70, promettente per la praticità e la rapidità della metodica impiegata per la sua valutazione, va sottolineato che ogni laboratorio deve standardizzare la metodica adeguandola agli strumenti ed ai reagenti in dotazione.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/176223
URN:NBN:IT:UNIPD-176223