Negli ultimi anni, la crescente complessità e dinamicità dei modelli di business e la necessità per le aziende di confrontarsi con uno scenario produttivo e competitivo internazionale, ha facilitato lo sviluppo del Supply Chain Risk Management (SCRM) come un’interessante area di ricerca sia per il mondo accademico che per il mondo manageriale. Il crescente aumento delle pubblicazioni scientifiche che affrontano lo studio di proprietà sistemiche delle Supply Chain, come incertezza, resilienza, agilità e robustezza, fa da sfondo ad importanti iniziative in campo manageriale, ma anche civile e politico. Alcuni esempi sono il programma di certificazione stabilito dalla norma ISO 28000:2007 nel campo del Information Security, l’introduzione dei concetti di rischio e variabilità negli strumenti di bechmarking e business process reengineering come il modello SCOR del Supply Chain Council, ma anche i provvedimenti antiterrorismo intrapresi dagli Stati Occidentali che hanno avuto implicazioni di vasta portata per il commercio internazionale. I protocolli Customs–Trade Partnership Against Terrorism (C-TPAT) and the Container Security Initiative (CSI), introdotti a partire dal 2002 sono esempi di come il dipartimento di Homeland Security degli Stati Uniti ha inteso promuovere l’adozione di Best Practices SCM, nella gestione dei rischi per i controlli alle frontiere. L’introduzione della legge Sarbanes-Oxley Act nel 2002, ha posto sotto la sorveglianza delle autorità di regolamentazione dei mercati finanziari alcuni accordi di risk sharing ed altre pratiche comuni di SCM. Tuttavia l’indeterminatezza del confine tra questioni commerciali e organizzazioni di pubblico servizio sta gettando nuove sfide di gestione del rischio per tutti gli enti interessati. Nel Regno Unito, ad esempio, il Civil Contingencies Act (2004) comprende ogni situazione che minaccia il benessere umano, tra cui l’interruzione nella disponibilità di denaro, cibo, acqua, energia e altri beni. Tutte le iniziative citate ed altre ancora, si collocano nel contesto del mercato attuale, caratterizzato principalmente da turbolenza e incertezza. Un molteplicità di motivi è alla base della tendenza all’aumento della turbolenza dei mercati. La domanda in quasi tutti i settori industriali sembra essere più volatile che in passato. I cicli di vita di prodotti e tecnologie sono diminuiti sensibilmente e la competizione sui nuovi prodotti rende la previsione della domanda e del ciclo di vita più difficile. Allo stesso tempo è aumentata la vulnerabilità delle Supply Chain ai disturbi e alle perturbazioni. Da un lato l’ambiente operativo esteso ha comportato una maggiore esposizione agli effetti di fattori esogeni come guerre, scioperi, attacchi terroristici o speculazioni, dall’altro esso ha amplificato la portata di certe variazioni nella strategia aziendale. Molte aziende hanno sperimentato un cambiamento nel profilo di rischio delle proprie Supply Chain a seguito di modifiche nei propri modelli di business, ad esempio attraverso l’adozione di pratiche lean, l’estensione dell’outsourcing e una tendenza generale a ridurre l’ampiezza della base di fornitura. A fronte delle argomentazioni precedenti che delineano l’importanza del tema, non esiste un approccio o uno schema universalmente riconosciuto per definire che cosa effettivamente costituisce un rischio a livello di Supply Chain. Secondo lo studio di Juttner et al. (2003) il SCRM può comprendere quattro aspetti gestionali chiave: - Definizione delle sorgenti di rischio nella Supply Chain - Definizione delle potenziali conseguenze avverse per la Supply Chain - Identificazione dei risk drivers - Mitigazione dei rischi per la Supply Chain Alcuni studiosi evidenziano che sebbene la letteratura sul Risk Management sia piuttosto ben sviluppata, la ricerca relativa all’identificazione dei rischi è ancora ad uno stadio preliminare. Le aziende devono investire risorse per identificare i rischi cui sono esposte attraverso un approccio sistematico; tuttavia le metodologie formali di supporto a questi tipi di approccio sono ampiamente insufficienti. Lo scopo di questa tesi è dunque di sviluppare e validare uno strumento di SCRM, strutturato e robusto che supporti le aziende nella gestione e valutazione dei rischi proveniente dalle Supply Chain. Esso è stato approntato nel rispetto dei seguenti requisiti: - che sia uno strumento di Risk Assessment, e consenta la valutazione contestuale dei rischi di tipo puro e speculativo, con una focalizzazione sull’analisi delle pratiche organizzative e delle scelte gestionali che in funzione del contesto sono più suscettibili di veicolare forme diversificate di Supply Chain Risk; - che ponga l’attenzione sull’impatto dei rischi attraverso l’adozione di un sistema di variabili aggregate (misure di prestazione della Supply Chain). Non si realizza pertanto la mappatura di tutto il network, che richiederebbe la disponibilità o l’accesso ad informazioni e dati, che spesso l’azienda di riferimento non possiede. La prospettiva adottata è infatti relativa all’azienda focale, ovvero alla valutazione dei rischi cui un’azienda è esposta in virtù delle caratteristiche del network o dei network in cui è inserita, e degli strumenti o pratiche organizzativo-gestionali di cui si è dotata. Poiché il riferimento è a contesti e strutture interconnesse e interdipendenti come tipicamente sono le Supply Chain, il rischio deve essere considerato relativamente all’intero network di organizzazioni coinvolte. Questa ricerca si basa su un adattamento e un’estensione del modello di rischio proposto da Ritchie and Marshall (1993). Secondo quanto ipotizzato, la funzione “Supply Chain Risk” si configura come un’espressione composta, in cui confluiscono i contributi (per ora assunti indipendenti) di alcune macro-aree o domini (Variabili ambientali, Variabili di settore, Variabili sulla configurazione della Supply Chain, Variabili relative ai membri della Supply Chain, Variabili relative alla strategia organizzativa, Variabili specifiche, Variabili collegate ai decision-maker). Questa schematizzazione consente di collocare nelle macro-famiglie elencate un numero potenzialmente infinito di “fattori di rischio”, che espongono il business aziendale e l’organizzazione a conseguenze indesiderate in termini di rischio ma anche di performance. Il concetto “fattore di rischio” è qui introdotto per indicare un vasto insieme di pratiche gestionali ed organizzative che possono avere un impatto (in termini di probabilità e conseguenze) sui risultati; così come possono fornire delle opportunità per migliorare le prestazioni sebbene a fronte di un incremento del rischio potenziale. La ricerca è volta a dimostrare che una tale struttura costituisce un’ottima base di riferimento per ogni schema di Assessment del rischio nella Supply Chain. Essa assume quindi un significato rilevante dal punto di vista concettuale, inserendosi in un filone di letteratura ancora non completamente esplorato, e dal punto di vista pratico attraverso gli obiettivi elencati.
Gestione del rischio nelle reti di imprese: uno strumento di analisi
BERNARDEL, FLORA
2011
Abstract
Negli ultimi anni, la crescente complessità e dinamicità dei modelli di business e la necessità per le aziende di confrontarsi con uno scenario produttivo e competitivo internazionale, ha facilitato lo sviluppo del Supply Chain Risk Management (SCRM) come un’interessante area di ricerca sia per il mondo accademico che per il mondo manageriale. Il crescente aumento delle pubblicazioni scientifiche che affrontano lo studio di proprietà sistemiche delle Supply Chain, come incertezza, resilienza, agilità e robustezza, fa da sfondo ad importanti iniziative in campo manageriale, ma anche civile e politico. Alcuni esempi sono il programma di certificazione stabilito dalla norma ISO 28000:2007 nel campo del Information Security, l’introduzione dei concetti di rischio e variabilità negli strumenti di bechmarking e business process reengineering come il modello SCOR del Supply Chain Council, ma anche i provvedimenti antiterrorismo intrapresi dagli Stati Occidentali che hanno avuto implicazioni di vasta portata per il commercio internazionale. I protocolli Customs–Trade Partnership Against Terrorism (C-TPAT) and the Container Security Initiative (CSI), introdotti a partire dal 2002 sono esempi di come il dipartimento di Homeland Security degli Stati Uniti ha inteso promuovere l’adozione di Best Practices SCM, nella gestione dei rischi per i controlli alle frontiere. L’introduzione della legge Sarbanes-Oxley Act nel 2002, ha posto sotto la sorveglianza delle autorità di regolamentazione dei mercati finanziari alcuni accordi di risk sharing ed altre pratiche comuni di SCM. Tuttavia l’indeterminatezza del confine tra questioni commerciali e organizzazioni di pubblico servizio sta gettando nuove sfide di gestione del rischio per tutti gli enti interessati. Nel Regno Unito, ad esempio, il Civil Contingencies Act (2004) comprende ogni situazione che minaccia il benessere umano, tra cui l’interruzione nella disponibilità di denaro, cibo, acqua, energia e altri beni. Tutte le iniziative citate ed altre ancora, si collocano nel contesto del mercato attuale, caratterizzato principalmente da turbolenza e incertezza. Un molteplicità di motivi è alla base della tendenza all’aumento della turbolenza dei mercati. La domanda in quasi tutti i settori industriali sembra essere più volatile che in passato. I cicli di vita di prodotti e tecnologie sono diminuiti sensibilmente e la competizione sui nuovi prodotti rende la previsione della domanda e del ciclo di vita più difficile. Allo stesso tempo è aumentata la vulnerabilità delle Supply Chain ai disturbi e alle perturbazioni. Da un lato l’ambiente operativo esteso ha comportato una maggiore esposizione agli effetti di fattori esogeni come guerre, scioperi, attacchi terroristici o speculazioni, dall’altro esso ha amplificato la portata di certe variazioni nella strategia aziendale. Molte aziende hanno sperimentato un cambiamento nel profilo di rischio delle proprie Supply Chain a seguito di modifiche nei propri modelli di business, ad esempio attraverso l’adozione di pratiche lean, l’estensione dell’outsourcing e una tendenza generale a ridurre l’ampiezza della base di fornitura. A fronte delle argomentazioni precedenti che delineano l’importanza del tema, non esiste un approccio o uno schema universalmente riconosciuto per definire che cosa effettivamente costituisce un rischio a livello di Supply Chain. Secondo lo studio di Juttner et al. (2003) il SCRM può comprendere quattro aspetti gestionali chiave: - Definizione delle sorgenti di rischio nella Supply Chain - Definizione delle potenziali conseguenze avverse per la Supply Chain - Identificazione dei risk drivers - Mitigazione dei rischi per la Supply Chain Alcuni studiosi evidenziano che sebbene la letteratura sul Risk Management sia piuttosto ben sviluppata, la ricerca relativa all’identificazione dei rischi è ancora ad uno stadio preliminare. Le aziende devono investire risorse per identificare i rischi cui sono esposte attraverso un approccio sistematico; tuttavia le metodologie formali di supporto a questi tipi di approccio sono ampiamente insufficienti. Lo scopo di questa tesi è dunque di sviluppare e validare uno strumento di SCRM, strutturato e robusto che supporti le aziende nella gestione e valutazione dei rischi proveniente dalle Supply Chain. Esso è stato approntato nel rispetto dei seguenti requisiti: - che sia uno strumento di Risk Assessment, e consenta la valutazione contestuale dei rischi di tipo puro e speculativo, con una focalizzazione sull’analisi delle pratiche organizzative e delle scelte gestionali che in funzione del contesto sono più suscettibili di veicolare forme diversificate di Supply Chain Risk; - che ponga l’attenzione sull’impatto dei rischi attraverso l’adozione di un sistema di variabili aggregate (misure di prestazione della Supply Chain). Non si realizza pertanto la mappatura di tutto il network, che richiederebbe la disponibilità o l’accesso ad informazioni e dati, che spesso l’azienda di riferimento non possiede. La prospettiva adottata è infatti relativa all’azienda focale, ovvero alla valutazione dei rischi cui un’azienda è esposta in virtù delle caratteristiche del network o dei network in cui è inserita, e degli strumenti o pratiche organizzativo-gestionali di cui si è dotata. Poiché il riferimento è a contesti e strutture interconnesse e interdipendenti come tipicamente sono le Supply Chain, il rischio deve essere considerato relativamente all’intero network di organizzazioni coinvolte. Questa ricerca si basa su un adattamento e un’estensione del modello di rischio proposto da Ritchie and Marshall (1993). Secondo quanto ipotizzato, la funzione “Supply Chain Risk” si configura come un’espressione composta, in cui confluiscono i contributi (per ora assunti indipendenti) di alcune macro-aree o domini (Variabili ambientali, Variabili di settore, Variabili sulla configurazione della Supply Chain, Variabili relative ai membri della Supply Chain, Variabili relative alla strategia organizzativa, Variabili specifiche, Variabili collegate ai decision-maker). Questa schematizzazione consente di collocare nelle macro-famiglie elencate un numero potenzialmente infinito di “fattori di rischio”, che espongono il business aziendale e l’organizzazione a conseguenze indesiderate in termini di rischio ma anche di performance. Il concetto “fattore di rischio” è qui introdotto per indicare un vasto insieme di pratiche gestionali ed organizzative che possono avere un impatto (in termini di probabilità e conseguenze) sui risultati; così come possono fornire delle opportunità per migliorare le prestazioni sebbene a fronte di un incremento del rischio potenziale. La ricerca è volta a dimostrare che una tale struttura costituisce un’ottima base di riferimento per ogni schema di Assessment del rischio nella Supply Chain. Essa assume quindi un significato rilevante dal punto di vista concettuale, inserendosi in un filone di letteratura ancora non completamente esplorato, e dal punto di vista pratico attraverso gli obiettivi elencati.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/176229
URN:NBN:IT:UNIPD-176229