Perché punire? Quando punire? Come punire? Chi punire? Queste domande hanno accompagnato inevitabilmente da sempre la storia del sistema penale moderno. Quali riflessioni hanno caratterizzato i cambiamenti nell’esecuzione della pena nell’Italia dall’Unità alla prima legge ordinaria che è andata a normare l’ordinamento penitenziario nel 1975? Vi sono state cesure nei passaggi istituzionali tra monarchia e repubblica? Vi sono stati rovesciamenti teorici e pratici nel modo di concepire il carcere tra fascismo e democrazia? All’inizio degli anni Settanta una critica feroce all’intero sistema penale e penitenziario - all’epoca ancora regolato da codici e regolamenti fascisti - si levò non solo dai movimenti giovanili e poi politici della sinistra extraparlamentare, ma anche dalla magistratura e dalla dottrina. In questo lavoro saranno queste ultime posizioni ad essere principalmente analizzate in particolar modo attraverso le pagine di QualeGiustizia, la rivista di Magistratura Democratica. Il lunghissimo percorso di incubazione e poi di produzione di quella che sarebbe diventata la legge n. 354 del 1975, iniziato praticamente già sui banchi della Assemblea Costituente, trovò esito nella fase più convulsa della storia repubblicana, tra stragi e rivolte carcerarie. A pochissima distanza dall’entrata in vigore di una legge che, partita con intenti fortemente innovatori si era infine vista ridimensionata proprio a causa del clima incandescente dell’epoca storica, una serie di nuove leggi eccezionali ne sarebbero andate di lì a poco a inficiare pesantemente il portato introducendo una serie di deroghe e regimi speciali.

Il carcere contestato, il carcere riformato. Teorie sulla pena in Italia negli anni Settanta

ANTONUCCI, CAROLINA
2020

Abstract

Perché punire? Quando punire? Come punire? Chi punire? Queste domande hanno accompagnato inevitabilmente da sempre la storia del sistema penale moderno. Quali riflessioni hanno caratterizzato i cambiamenti nell’esecuzione della pena nell’Italia dall’Unità alla prima legge ordinaria che è andata a normare l’ordinamento penitenziario nel 1975? Vi sono state cesure nei passaggi istituzionali tra monarchia e repubblica? Vi sono stati rovesciamenti teorici e pratici nel modo di concepire il carcere tra fascismo e democrazia? All’inizio degli anni Settanta una critica feroce all’intero sistema penale e penitenziario - all’epoca ancora regolato da codici e regolamenti fascisti - si levò non solo dai movimenti giovanili e poi politici della sinistra extraparlamentare, ma anche dalla magistratura e dalla dottrina. In questo lavoro saranno queste ultime posizioni ad essere principalmente analizzate in particolar modo attraverso le pagine di QualeGiustizia, la rivista di Magistratura Democratica. Il lunghissimo percorso di incubazione e poi di produzione di quella che sarebbe diventata la legge n. 354 del 1975, iniziato praticamente già sui banchi della Assemblea Costituente, trovò esito nella fase più convulsa della storia repubblicana, tra stragi e rivolte carcerarie. A pochissima distanza dall’entrata in vigore di una legge che, partita con intenti fortemente innovatori si era infine vista ridimensionata proprio a causa del clima incandescente dell’epoca storica, una serie di nuove leggi eccezionali ne sarebbero andate di lì a poco a inficiare pesantemente il portato introducendo una serie di deroghe e regimi speciali.
10-dic-2020
Italiano
Carcere; pena; penitenziario; garantismo penale; magistratura democratica
MARCI, Tito
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/176262
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIROMA1-176262