Riassunto Il presente lavoro è teso ad analizzare la rilevanza della necessità nel contesto del diritto internazionale dei conflitti armati, chiarendone l’ampiezza e precisando le modalità concrete del suo operare nella disciplina in questione. A tal fine l’indagine è stata in una prima fase incentrata sull’esimente generale dello stato di necessità attraverso l’analisi della prassi rilevante e dei lavori di codificazione poi sfociati nei due Progetti di articoli sulla responsabilità internazionale (di Stati ed organizzazioni) elaborati in seno alla Commissione del diritto internazionale. Si è così verificato che negli stretti limiti e alle condizioni stringenti delineate dalla disciplina consuetudinaria relativa all’esimente codificata, a Stati e organizzazioni internazionali è in generale riconosciuta la possibilità di non rispondere del mancato rispetto di specifici obblighi in situazioni tali da configurare uno stato di necessità. È dunque ammessa la possibilità di valorizzare determinati interessi internazionali facenti capo ad enti dotati di personalità giuridica internazionale al fine di un loro bilanciamento successivo con diritti di altri soggetti, ma pur sempre nel rispetto dei parametri predeterminati nella definizione dell’esimente generale. Si è reso poi necessario un esame delle clausole di limitazione e deroga inserite nei trattati relativi alla tutela internazionale dei diritti umani che consentono di limitare l’applicazione integrale degli obblighi assunti in presenza di esigenze lato sensu riconducibili alla necessità. In particolare, tale indagine ha condotto ad attribuire natura giuridica di norme primarie alle clausole in questione, escludendo la possibilità di un loro coordinamento con la disciplina generale relativa all’esimente dello stato di necessità. Nell’esercizio dell’autonomia ordinatoria che gli è propria, l’ordinamento internazionale, in considerazione del contenuto delle norme e dei valori ad esse sottesi, ritiene infatti talora opportuno predeterminare il punto di bilanciamento degli interessi in gioco attraverso la previsione di specifiche norme primarie in qualche misura in grado di assorbire l’esigenza espressa dall’esimente generale. Tali valutazioni non sono scevre da conseguenze in relazione all’applicabilità dell’esimente generale dello stato di necessità nel contesto normativo considerato nonché rispetto all’individuazione dei limiti inerenti all’esercizio delle deroghe ammesse nelle diverse ipotesi di necessità, nel rispetto del principio di proporzionalità. La stessa invocabilità dell’esimente generale in qualche misura dipende dalle norme primarie; la disciplina di determinate fattispecie, infatti, indipendentemente dalla fonte consuetudinaria o pattizia, può escludere tout court la possibilità di invocazione dell’esimente. In simili ipotesi ogni bilanciamento di interessi successivo alla formazione della regola primaria deve ritenersi escluso in quanto già effettuato, una volta per tutte, al momento della redazione delle relative regole primarie, senza che possa residuare una qualche facoltà di invocare l’esimente generale, ad eccezione dei limitati fini interpretativi della regola cui l’esimente è sottesa. Nel secondo capitolo del lavoro l’indagine si incentra sulla disciplina giuridica relativa alla necessità nell’ambito del diritto internazionale dei conflitti armati ed è tesa, in particolare, ad individuarne la natura giuridica, anche in virtù delle funzioni da essa svolte, con particolare attenzione al ruolo assunto dalla proporzionalità, che ad essa è strettamente connessa. Ciò consente, fra l’altro, di escludere la possibilità di ogni bilanciamento di interessi successivo alla formazione delle regole primarie nell’ambito di tale sistema normativo e, di conseguenza, anche la possibilità del riferimento all’esimente generale. Tale bilanciamento è infatti già effettuato, una volta per tutte, al momento della redazione delle relative regole primarie, senza che possa residuare una qualche facoltà circa l’invocabilità dell’esimente generale, sottesa alle norme primarie del diritto internazionale umanitario in quanto ratio stessa del suo regime giuridico. Esclusa la possibilità di un riferimento all’esimente generale nel contesto del diritto internazionale umanitario, l’unico bilanciamento di interessi successivo alla redazione delle sue regole risiede nella valorizzazione dell’elemento della proporzionalità, strettamente connesso alla necessità nell’intero ordinamento internazionale. Nell’ambito del diritto internazionale umanitario la regola di proporzionalità svolge una duplice funzione: informa il contenuto positivo e l’applicazione concreta di molte sue regole e viene in gioco nell’operatività delle clausole di deroga che prevedono circostanze di necessità militare. La proporzionalità guida infatti l’operatore e l’interprete nella valutazione del grado di ‘elasticità’ della norma in costanza delle diverse gradazioni di necessità militare che esprimono l’esatto punto di bilanciamento fra le esigenze in gioco. Il fondamento giuridico della necessità militare viene individuato nella norma relativa alla violenza bellica consentita nel contesto di un conflitto armato. In questo senso, fra l’altro, si esprime la Commissione del diritto internazionale nel commento all’art. 25 del Progetto di articoli del 2001 relativo alla responsabilità internazionale degli Stati laddove si riferisce alle regole relative alla necessità militare attribuendo loro natura giuridica di norme primarie ed avvicinandole a quelle relative all’uso della forza e, in particolare, all’intervento umanitario. Le valutazioni svolte circa la natura e il fondamento giuridico della necessità militare hanno infine imposto di considerare, in questa specifica prospettiva, l’interrelazione fra jus ad bellum e jus in bello. In particolare, nell’ultimo capitolo dell’elaborato, si è verificata l’incidenza del titolo giustificativo del ricorso alla forza militare sulla rilevanza in concreto assunta dalla necessità militare nei diversi contesti in cui essa può venire in gioco nell’ambito di conflitti armati internazionali. Al riguardo, la configurabilità di impieghi della forza non uniformi nel quantum della violenza bellica dispiegata, ma pur sempre legittimi in virtù di titoli giuridici differenziati nell’ambito dello jus ad bellum, non sembra influire sull’ampiezza della necessità militare; può tuttavia giocare un ruolo al limitato fine di restringere ulteriormente l’impiego della forza ammessa nel contesto dello jus in bello. D’altra parte, è difficile interpretare le valutazioni formulate dalla Corte internazionale di giustizia nel parere reso sulla questione delle armi nucleari nel senso di una estensione dell’ampiezza della necessità militare in ipotesi di ‘extreme self-defence’ in cui è in gioco la stessa ‘conservazione’ dello Stato aggredito. Lo impedisce, fra l’altro, il principio di uguaglianza fra belligeranti che, in concreto, non sembra aver subito un reale vulnus ad opera della Corte. Anzi, il principio secondo cui il diritto internazionale umanitario deve essere rispettato allo stesso modo da tutte le parti coinvolte nel conflitto, senza considerazione alcuna per la causa belli ha forse trovato in tale occasione una chiara affermazione per via giurisprudenziale proprio nella parte in cui la Corte afferma la necessità che ogni azione difensiva legittima soddisfi contestualmente sia i requisiti dello jus ad bellum che le condizioni previste dallo jus in bello. Il titolo giustificativo dell’uso della forza non sembra quindi incidere sulla necessità militare provocando una dilatazione della sua ampiezza. Al contrario, la necessità militare potrebbe risultare in concreto di molto compressa in virtù della specifica determinazione assunta dal Consiglio di sicurezza in virtù del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Così, ad esempio, laddove il Consiglio di sicurezza non si limiti ad adottare una generica autorizzazione all’impiego della forza da parte degli Stati ma definisca in modo più o meno stringente i limiti e le modalità di impiego della stessa nell’ambito dello jus in bello, ciò si ripercuote inevitabilmente sulla condotta delle ostilità. In simili ipotesi, tuttavia, il titolo giustificativo dello jus ad bellum influenza la disciplina concreta dello jus in bello solo indirettamente in virtù del ‘primato’ normativo riconosciuto alle decisioni vincolanti del Consiglio di sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Con riferimento alle azioni militari intraprese per finalità ‘umanitarie’ in assenza di una autorizzazione espressa del Consiglio di sicurezza, il titolo giustificativo dell’azione non sembra condizionare la portata degli obblighi di diritto internazionale umanitario e, in particolare, l’ampiezza della necessità militare nel contesto dello jus in bello. Dall’esame della prassi emerge infatti la forte discrezionalità degli Stati rispetto alle modalità del ricorso alla forza in simili contesti laddove l’azione si sia svolta al di fuori dell’alveo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In tale prospettiva la tradizionale distinzione fra jus ad bellum e jus in bello conserva la propria attualità in quanto funzionale alla corretta contestualizzazione delle problematiche connesse all’impiego della forza. Le questioni relative alla legittimità del ricorso alla forza e quelle correlate all’impiego della forza bellica nel corso delle ostilità restano due profili distinti, seppur non pienamente autonomi, con la possibilità di alcune influenze per l’intera durata del conflitto. Non è però configurabile una piena permeabilità fra la disciplina dello jus ad bellum e quella relativa allo jus in bello, che porti a riconsiderare il principio di uguaglianza fra belligeranti.
Il ruolo della necessità nel diritto internazionale umanitario
SALVADEGO, LAURA
2012
Abstract
Riassunto Il presente lavoro è teso ad analizzare la rilevanza della necessità nel contesto del diritto internazionale dei conflitti armati, chiarendone l’ampiezza e precisando le modalità concrete del suo operare nella disciplina in questione. A tal fine l’indagine è stata in una prima fase incentrata sull’esimente generale dello stato di necessità attraverso l’analisi della prassi rilevante e dei lavori di codificazione poi sfociati nei due Progetti di articoli sulla responsabilità internazionale (di Stati ed organizzazioni) elaborati in seno alla Commissione del diritto internazionale. Si è così verificato che negli stretti limiti e alle condizioni stringenti delineate dalla disciplina consuetudinaria relativa all’esimente codificata, a Stati e organizzazioni internazionali è in generale riconosciuta la possibilità di non rispondere del mancato rispetto di specifici obblighi in situazioni tali da configurare uno stato di necessità. È dunque ammessa la possibilità di valorizzare determinati interessi internazionali facenti capo ad enti dotati di personalità giuridica internazionale al fine di un loro bilanciamento successivo con diritti di altri soggetti, ma pur sempre nel rispetto dei parametri predeterminati nella definizione dell’esimente generale. Si è reso poi necessario un esame delle clausole di limitazione e deroga inserite nei trattati relativi alla tutela internazionale dei diritti umani che consentono di limitare l’applicazione integrale degli obblighi assunti in presenza di esigenze lato sensu riconducibili alla necessità. In particolare, tale indagine ha condotto ad attribuire natura giuridica di norme primarie alle clausole in questione, escludendo la possibilità di un loro coordinamento con la disciplina generale relativa all’esimente dello stato di necessità. Nell’esercizio dell’autonomia ordinatoria che gli è propria, l’ordinamento internazionale, in considerazione del contenuto delle norme e dei valori ad esse sottesi, ritiene infatti talora opportuno predeterminare il punto di bilanciamento degli interessi in gioco attraverso la previsione di specifiche norme primarie in qualche misura in grado di assorbire l’esigenza espressa dall’esimente generale. Tali valutazioni non sono scevre da conseguenze in relazione all’applicabilità dell’esimente generale dello stato di necessità nel contesto normativo considerato nonché rispetto all’individuazione dei limiti inerenti all’esercizio delle deroghe ammesse nelle diverse ipotesi di necessità, nel rispetto del principio di proporzionalità. La stessa invocabilità dell’esimente generale in qualche misura dipende dalle norme primarie; la disciplina di determinate fattispecie, infatti, indipendentemente dalla fonte consuetudinaria o pattizia, può escludere tout court la possibilità di invocazione dell’esimente. In simili ipotesi ogni bilanciamento di interessi successivo alla formazione della regola primaria deve ritenersi escluso in quanto già effettuato, una volta per tutte, al momento della redazione delle relative regole primarie, senza che possa residuare una qualche facoltà di invocare l’esimente generale, ad eccezione dei limitati fini interpretativi della regola cui l’esimente è sottesa. Nel secondo capitolo del lavoro l’indagine si incentra sulla disciplina giuridica relativa alla necessità nell’ambito del diritto internazionale dei conflitti armati ed è tesa, in particolare, ad individuarne la natura giuridica, anche in virtù delle funzioni da essa svolte, con particolare attenzione al ruolo assunto dalla proporzionalità, che ad essa è strettamente connessa. Ciò consente, fra l’altro, di escludere la possibilità di ogni bilanciamento di interessi successivo alla formazione delle regole primarie nell’ambito di tale sistema normativo e, di conseguenza, anche la possibilità del riferimento all’esimente generale. Tale bilanciamento è infatti già effettuato, una volta per tutte, al momento della redazione delle relative regole primarie, senza che possa residuare una qualche facoltà circa l’invocabilità dell’esimente generale, sottesa alle norme primarie del diritto internazionale umanitario in quanto ratio stessa del suo regime giuridico. Esclusa la possibilità di un riferimento all’esimente generale nel contesto del diritto internazionale umanitario, l’unico bilanciamento di interessi successivo alla redazione delle sue regole risiede nella valorizzazione dell’elemento della proporzionalità, strettamente connesso alla necessità nell’intero ordinamento internazionale. Nell’ambito del diritto internazionale umanitario la regola di proporzionalità svolge una duplice funzione: informa il contenuto positivo e l’applicazione concreta di molte sue regole e viene in gioco nell’operatività delle clausole di deroga che prevedono circostanze di necessità militare. La proporzionalità guida infatti l’operatore e l’interprete nella valutazione del grado di ‘elasticità’ della norma in costanza delle diverse gradazioni di necessità militare che esprimono l’esatto punto di bilanciamento fra le esigenze in gioco. Il fondamento giuridico della necessità militare viene individuato nella norma relativa alla violenza bellica consentita nel contesto di un conflitto armato. In questo senso, fra l’altro, si esprime la Commissione del diritto internazionale nel commento all’art. 25 del Progetto di articoli del 2001 relativo alla responsabilità internazionale degli Stati laddove si riferisce alle regole relative alla necessità militare attribuendo loro natura giuridica di norme primarie ed avvicinandole a quelle relative all’uso della forza e, in particolare, all’intervento umanitario. Le valutazioni svolte circa la natura e il fondamento giuridico della necessità militare hanno infine imposto di considerare, in questa specifica prospettiva, l’interrelazione fra jus ad bellum e jus in bello. In particolare, nell’ultimo capitolo dell’elaborato, si è verificata l’incidenza del titolo giustificativo del ricorso alla forza militare sulla rilevanza in concreto assunta dalla necessità militare nei diversi contesti in cui essa può venire in gioco nell’ambito di conflitti armati internazionali. Al riguardo, la configurabilità di impieghi della forza non uniformi nel quantum della violenza bellica dispiegata, ma pur sempre legittimi in virtù di titoli giuridici differenziati nell’ambito dello jus ad bellum, non sembra influire sull’ampiezza della necessità militare; può tuttavia giocare un ruolo al limitato fine di restringere ulteriormente l’impiego della forza ammessa nel contesto dello jus in bello. D’altra parte, è difficile interpretare le valutazioni formulate dalla Corte internazionale di giustizia nel parere reso sulla questione delle armi nucleari nel senso di una estensione dell’ampiezza della necessità militare in ipotesi di ‘extreme self-defence’ in cui è in gioco la stessa ‘conservazione’ dello Stato aggredito. Lo impedisce, fra l’altro, il principio di uguaglianza fra belligeranti che, in concreto, non sembra aver subito un reale vulnus ad opera della Corte. Anzi, il principio secondo cui il diritto internazionale umanitario deve essere rispettato allo stesso modo da tutte le parti coinvolte nel conflitto, senza considerazione alcuna per la causa belli ha forse trovato in tale occasione una chiara affermazione per via giurisprudenziale proprio nella parte in cui la Corte afferma la necessità che ogni azione difensiva legittima soddisfi contestualmente sia i requisiti dello jus ad bellum che le condizioni previste dallo jus in bello. Il titolo giustificativo dell’uso della forza non sembra quindi incidere sulla necessità militare provocando una dilatazione della sua ampiezza. Al contrario, la necessità militare potrebbe risultare in concreto di molto compressa in virtù della specifica determinazione assunta dal Consiglio di sicurezza in virtù del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Così, ad esempio, laddove il Consiglio di sicurezza non si limiti ad adottare una generica autorizzazione all’impiego della forza da parte degli Stati ma definisca in modo più o meno stringente i limiti e le modalità di impiego della stessa nell’ambito dello jus in bello, ciò si ripercuote inevitabilmente sulla condotta delle ostilità. In simili ipotesi, tuttavia, il titolo giustificativo dello jus ad bellum influenza la disciplina concreta dello jus in bello solo indirettamente in virtù del ‘primato’ normativo riconosciuto alle decisioni vincolanti del Consiglio di sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Con riferimento alle azioni militari intraprese per finalità ‘umanitarie’ in assenza di una autorizzazione espressa del Consiglio di sicurezza, il titolo giustificativo dell’azione non sembra condizionare la portata degli obblighi di diritto internazionale umanitario e, in particolare, l’ampiezza della necessità militare nel contesto dello jus in bello. Dall’esame della prassi emerge infatti la forte discrezionalità degli Stati rispetto alle modalità del ricorso alla forza in simili contesti laddove l’azione si sia svolta al di fuori dell’alveo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In tale prospettiva la tradizionale distinzione fra jus ad bellum e jus in bello conserva la propria attualità in quanto funzionale alla corretta contestualizzazione delle problematiche connesse all’impiego della forza. Le questioni relative alla legittimità del ricorso alla forza e quelle correlate all’impiego della forza bellica nel corso delle ostilità restano due profili distinti, seppur non pienamente autonomi, con la possibilità di alcune influenze per l’intera durata del conflitto. Non è però configurabile una piena permeabilità fra la disciplina dello jus ad bellum e quella relativa allo jus in bello, che porti a riconsiderare il principio di uguaglianza fra belligeranti.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/176504
URN:NBN:IT:UNIPD-176504