Si stima che nei prossimi 50 anni la popolazione mondiale aumenterà fino a raggiungere i 9-10 miliardi di persone. Un incremento di queste proporzioni porterà inevitabilmente ad una maggior richiesta di produzione di cibo ed energia. L’attuale metodo di approvvigionamento di queste risorse non è sostenibile in quanto è la causa principale dell’aumento delle emissioni di CO2 in atmosfera, le quali stanno alimentando il cambiamento climatico. Nella conferenza che si è tenuta a Parigi nel 2015 sul cambiamento climatico è emersa chiaramente la necessità di un cambio di tendenza per poter evitare il collasso ambientale, che sta già portando alla desertificazione di molti terreni un tempo fertili, all’estinzione di massa di specie animali e vegetali e all’acidificazione degli oceani. Per invertire questa tendenza quindi bisogna rivedere il nostro sistema di produzione alimentare ed energetica. Tra le possibilità al vaglio le microalghe stanno emergendo come un interessante candidato sia per la produzione di energia che di cibo. Infatti le microalghe sono organismi fotosintetici che producono biomassa fissando CO2. Molte specie sono ricche di proteine e lipidi utilizzabili come nutrimento o come matrice per la produzione di biodiesel. Tuttavia nonostante le loro potenzialità le microalghe non sono ancora utilizzate su larga scala perché la loro produzione continua ad aver un costo troppo elevato a fronte di produttività insufficienti. Uno dei maggiori limiti è legato al calo di efficienza fotosintetica che si registra nel passaggio in scala industriale, la quale impatta negativamente sulla crescita delle microalghe e quindi sulla produzione di biomassa. Tuttavia bisogna tenere conto che ad ora si stanno coltivando ceppi wild type, che quindi si sono evoluti ed adattati per crescere al meglio in un ambiente naturale estremamente diverso da quello industriale. Perciò come si è fatto con la domesticazione delle piante per uso alimentare, sarà necessario un passaggio di ingegnerizzazione dei ceppi parentali per ottenere dei nuovi ceppi più adatti alle condizioni industriali e quindi più produttivi una volta coltivati su larga scala. Ci sono svariate specie algali al vaglio come candidati per la produzione alimentare ed energetica, ma questo lavoro si focalizza principalmente su Nannochloropsis gaditana. Questa è una microalga marina capace di accumulare sia lipidi sia molecole di interesse per la nutraceutica come il β-carotene. Dopo una introduzione generale, nel capitolo 2 viene descritto l’ottenimento di una collezione di mutanti casuali generati attraverso due diversi approcci di mutagenesi. Il primo è un approccio di mutagenesi chimica, che utilizza come agente mutageno l’etil-metano-sulfonato (EMS) e il secondo è un approccio di mutagenesi inserzionale che sfrutta l’inserimento casuale nel genoma di DNA esogeno che conferisca al ceppo la resistenza per la zeocina. Da questa collezione si sono isolati solo i mutanti alterati nell’apparato fotosintetico utilizzando cicli progressivi di selezione attraverso misure di fluorescenza in vivo. In Appendice 1 è riportata la collaborazione nella valutazione delle produttività di uno dei mutanti ottenuti con EMS (E2), in condizioni di semi continuo che mimano una coltura industriale. E2 è stato selezionato perché presentava un ridotto contenuto di clorofilla abbinato anche ad una riduzione del numero di proteine antenna legate al PSII. Infatti uno dei maggiori problemi su scala industriale è la scarsa penetrazione della luce, dovuta alle densità elevate raggiunte dalle colture, la quale ha un impatto negativo sulla produzione. Un mutante con una ridotta capacità di assorbimento della luce può essere vantaggioso perché migliora la distribuzione della luce nel sistema con un conseguente incremento nella crescita. Questo lavoro infatti dimostra come E2 sia più produttivo del WT, ma sottolinea anche che le condizioni di coltura sono fondamentali per utilizzare al meglio il potenziale del ceppo mutato. La maggior parte di questa tesi è stata poi dedicata alla caratterizzazione di due ceppi promettenti ottenuti per mutagenesi inserzionale. Il primo è I29 ed è presentato nel capitolo 3. Questo mutante è stato selezionato perché presentava un ridotto contenuto di clorofilla anche se il numero di proteine antenna per PSII è analogo al WT. In beuta la coltura di I29 mostra un 20% in meno di clorofilla rispetto al WT, che si accompagna con un trasporto elettronico che si satura ad intensità di luce maggiori (maggiore ETR electron transport rate). Il sito di inserzione della cassetta è stato identificato come singolo, ma sembra non influenzare i livelli di trascrizione dei geni vicini. Il completo ri-sequenziamento del genoma ha evidenziato una mutazione puntiforme in un gene chiave nella biosintesi della clorofilla, che può essere un promettente candidato per giustificare il fenotipo di I29. Di questo mutante si è valuta anche la produttività e si è visto un incremento del 14% rispetto al WT. Un lavoro analogo è stato fatto per il mutante I48, isolato sempre nel capitolo 2. Questo mutante ha una importante riduzione nell’attivazione dei meccanismi di dissipazione dell’eccesso di energia luminosa come calore (NPQ). Non è stato possibile individuare il sito di inserzione a causa della presenza di inserzioni multiple in tandem, perciò anche in questo caso il genoma è stato ri-sequenziato. Il sequenziamento ha evidenziato nuovamente la presenza di mutazioni puntiformi dovute al protocollo di trasformazione. Tra queste è emersa una mutazione nel gene codificante per la proteina LHCX1. Questa è una proteina antenna coinvolta nella risposta allo stress luminoso, il cui ruolo chiave nella risposta rapida del NPQ è già stato evidenziato in altre specie come Phaeodactylum tricornutum. Il mancato accumulo di questa proteina è stato confermato attraverso Western Blot. Si è valutata la capacità di questo ceppo di crescere in diverse condizioni luminose. È emerso che I48 è in grado di crescere anche in alta luce nonostante questa riduzione nella risposta di NPQ. L’ultima parte della caratterizzazione ne ha valutato invece la produttività. Infatti una riduzione nel NPQ può essere vantaggiosa in condizioni industriali in quanto in una coltura densa solo lo strato esterno è esposto a luci intense. Perciò un NPQ ridotto può evitare una dissipazione indesiderata di energia negli strati più interni dove la luce è già limitante. I48 ha mostrato un aumento di produttività del 24% rispetto al WT, ma come già discusso in Appendice 1 questo è strettamente dipendente dalle condizioni di coltura. Nelle diatomee il NPQ è stato associato non solo alla risposta ad alta luce ma anche a quella alla luce fluttuante (FL), una condizione facilmente sperimentabile nei sistemi di coltura all’esterno. Abbiamo sfruttato questo mutante con una marcata riduzione nel NPQ per verificare qual è l’impatto di questi meccanismi nella risposta di N.gaditana alla luce FL. Nel capitolo 5 quindi è stato messo a punto un esperimento in cui le colture sono state esposte ad una intensità luminosa di 150 μmol di fotoni m-2s-1, i quali nel controllo sono somministrati in modo costante, mentre nelle FL sono frutto di una combinazione di una bassa luce di base inframmezzata da flash di alta luce, dati con frequenze e durate diverse. Il risultato è un forte impatto delle FL sulla crescita del WT. Il difetto di crescita è proporzionale alla frequenza dei flash ed è più marcato alle frequenze maggiori. Tuttavia I48 non mostra una sensibilità maggiore a questo genere di trattamento rispetto al WT, perciò il NPQ non sembra essere coinvolto in modo significativo nella risposta di N.gaditana alla luce FL. Approfondite analisi sulla funzionalità dell’apparato fotosintetico hanno evidenziato che l’attività del PSII non è compromessa, bensì è il PSI ad essere pesantemente inattivato. Questo risultato suggerisce che i trasporti alternativi attorno al PSI, che in altri organismi fotosintetici sono attivati per evitare la sovraeccitazione del PSI, non sono così efficienti in N.gaditana. I primi 5 capitoli quindi hanno evidenziato il potenziale dell’ingegnerizzazione delle microalghe per trovare ceppi più produttivi rispetto al WT. Gli esperimento in FL in particolare non solo hanno aiutato a chiarire il ruolo del NPQ in questa microalga, ma tenendo conto che la FL è una condizione facilmente trovabile in sistemi industriali che utilizzano la luce del sole come fonte di energia, può fornire un punto di partenza per trovare nuovi targets di ingegnerizzazione per aumentare la produttività. Inizialmente ci siamo focalizzati su un approccio inserzionale, perché avrebbe dovuto facilitare l’identificazione dei geni responsabili del fenotipo. In questo caso la frequente presenza di inserzioni in tandem e l’accumulo di mutazioni puntiformi ha vanificato questo vantaggio, perciò strategie alternative sono in fase di ottimizzazione per il futuro. Nel capitolo 6 abbiamo invece testato l’approccio di mutagenesi chimica ed il protocollo di selezione, ottimizzati per N.gaditana, su un’altra specie: Scenedesmus obliquus, per valutare se questo metodo può essere applicato con successo a qualsiasi specie di interesse. Almeno un ceppo promettente è stato isolato (SOB17). In questo lavoro si è messo a punto anche un diverso sistema di valutazione delle produttività, attraverso un pannello messo in coltura in continuo. Infatti la geometria del pannello migliora la distribuzione della luce, rendendola più omogenea rispetto ad altri sistemi come la bottiglia. Inoltre la coltura in continuo fornisce una coltura stabile che ha una produzione continua di biomassa. Questa coltura ha avuto una buona stabilità nel tempo, arrivando ad essere, mantenuta per più di 30 settimane e SOB17 ha mostrato anche una maggiore produttività in una delle condizioni testate, anche se di nuovo come si era visto per N.gaditana, le condizioni di coltura sono fondamentali per ottenere il miglior risultato da ogni ceppo. In aggiunta all’Appendice 1 descritta prima, altre due appendici sono incluse nella tesi. Queste sono il risultato di due diverse collaborazioni in cui gli approcci sperimentali messi a punto in questa tesi sono stati applicati con fini diversi. In Appendice 2 è riportato il lavoro già pubblicato “Genetic Engineering of algae photosynthetic productivity using mathematical models” che descrive lo sviluppo di un modello matematico per valutare i fattori che influenzano la produttività delle microalghe nei fotobioreattori. Il modello è in grado di predire gli effetti di modifiche genetiche in un contesto di produzione industriale, fornendo uno strumento per identificare i genotipi più vantaggiosi in termini di produttività. In Appendice 3 è riportata una collaborazione con la Prof.ssa Angela Falciatore (Diatom Functional Genomics team, UPMC-Paris). In questo lavoro è stato adattato il protocollo di selezione ottimizzato per N.gaditana per trovare fenotipi fotosintetici in una collezione di mutanti di Phaeodactylum tricornutum, ottenuti per RNA interference così da modulare l’espressione di diversi fattori di trascrizione. Con questo approccio è stato possibile stabilire alcune promettenti correlazioni tra fenotipo e modulazione di una determinata classe di fattori di trascrizione, che ora saranno validati con un’analisi approfondita del fenotipo di questi mutanti e dei livelli di trascrizione in questi ceppi mutati.
Genetic engineering approaches to increase microalgae light use efficiency
BELLAN, ALESSANDRA
2018
Abstract
Si stima che nei prossimi 50 anni la popolazione mondiale aumenterà fino a raggiungere i 9-10 miliardi di persone. Un incremento di queste proporzioni porterà inevitabilmente ad una maggior richiesta di produzione di cibo ed energia. L’attuale metodo di approvvigionamento di queste risorse non è sostenibile in quanto è la causa principale dell’aumento delle emissioni di CO2 in atmosfera, le quali stanno alimentando il cambiamento climatico. Nella conferenza che si è tenuta a Parigi nel 2015 sul cambiamento climatico è emersa chiaramente la necessità di un cambio di tendenza per poter evitare il collasso ambientale, che sta già portando alla desertificazione di molti terreni un tempo fertili, all’estinzione di massa di specie animali e vegetali e all’acidificazione degli oceani. Per invertire questa tendenza quindi bisogna rivedere il nostro sistema di produzione alimentare ed energetica. Tra le possibilità al vaglio le microalghe stanno emergendo come un interessante candidato sia per la produzione di energia che di cibo. Infatti le microalghe sono organismi fotosintetici che producono biomassa fissando CO2. Molte specie sono ricche di proteine e lipidi utilizzabili come nutrimento o come matrice per la produzione di biodiesel. Tuttavia nonostante le loro potenzialità le microalghe non sono ancora utilizzate su larga scala perché la loro produzione continua ad aver un costo troppo elevato a fronte di produttività insufficienti. Uno dei maggiori limiti è legato al calo di efficienza fotosintetica che si registra nel passaggio in scala industriale, la quale impatta negativamente sulla crescita delle microalghe e quindi sulla produzione di biomassa. Tuttavia bisogna tenere conto che ad ora si stanno coltivando ceppi wild type, che quindi si sono evoluti ed adattati per crescere al meglio in un ambiente naturale estremamente diverso da quello industriale. Perciò come si è fatto con la domesticazione delle piante per uso alimentare, sarà necessario un passaggio di ingegnerizzazione dei ceppi parentali per ottenere dei nuovi ceppi più adatti alle condizioni industriali e quindi più produttivi una volta coltivati su larga scala. Ci sono svariate specie algali al vaglio come candidati per la produzione alimentare ed energetica, ma questo lavoro si focalizza principalmente su Nannochloropsis gaditana. Questa è una microalga marina capace di accumulare sia lipidi sia molecole di interesse per la nutraceutica come il β-carotene. Dopo una introduzione generale, nel capitolo 2 viene descritto l’ottenimento di una collezione di mutanti casuali generati attraverso due diversi approcci di mutagenesi. Il primo è un approccio di mutagenesi chimica, che utilizza come agente mutageno l’etil-metano-sulfonato (EMS) e il secondo è un approccio di mutagenesi inserzionale che sfrutta l’inserimento casuale nel genoma di DNA esogeno che conferisca al ceppo la resistenza per la zeocina. Da questa collezione si sono isolati solo i mutanti alterati nell’apparato fotosintetico utilizzando cicli progressivi di selezione attraverso misure di fluorescenza in vivo. In Appendice 1 è riportata la collaborazione nella valutazione delle produttività di uno dei mutanti ottenuti con EMS (E2), in condizioni di semi continuo che mimano una coltura industriale. E2 è stato selezionato perché presentava un ridotto contenuto di clorofilla abbinato anche ad una riduzione del numero di proteine antenna legate al PSII. Infatti uno dei maggiori problemi su scala industriale è la scarsa penetrazione della luce, dovuta alle densità elevate raggiunte dalle colture, la quale ha un impatto negativo sulla produzione. Un mutante con una ridotta capacità di assorbimento della luce può essere vantaggioso perché migliora la distribuzione della luce nel sistema con un conseguente incremento nella crescita. Questo lavoro infatti dimostra come E2 sia più produttivo del WT, ma sottolinea anche che le condizioni di coltura sono fondamentali per utilizzare al meglio il potenziale del ceppo mutato. La maggior parte di questa tesi è stata poi dedicata alla caratterizzazione di due ceppi promettenti ottenuti per mutagenesi inserzionale. Il primo è I29 ed è presentato nel capitolo 3. Questo mutante è stato selezionato perché presentava un ridotto contenuto di clorofilla anche se il numero di proteine antenna per PSII è analogo al WT. In beuta la coltura di I29 mostra un 20% in meno di clorofilla rispetto al WT, che si accompagna con un trasporto elettronico che si satura ad intensità di luce maggiori (maggiore ETR electron transport rate). Il sito di inserzione della cassetta è stato identificato come singolo, ma sembra non influenzare i livelli di trascrizione dei geni vicini. Il completo ri-sequenziamento del genoma ha evidenziato una mutazione puntiforme in un gene chiave nella biosintesi della clorofilla, che può essere un promettente candidato per giustificare il fenotipo di I29. Di questo mutante si è valuta anche la produttività e si è visto un incremento del 14% rispetto al WT. Un lavoro analogo è stato fatto per il mutante I48, isolato sempre nel capitolo 2. Questo mutante ha una importante riduzione nell’attivazione dei meccanismi di dissipazione dell’eccesso di energia luminosa come calore (NPQ). Non è stato possibile individuare il sito di inserzione a causa della presenza di inserzioni multiple in tandem, perciò anche in questo caso il genoma è stato ri-sequenziato. Il sequenziamento ha evidenziato nuovamente la presenza di mutazioni puntiformi dovute al protocollo di trasformazione. Tra queste è emersa una mutazione nel gene codificante per la proteina LHCX1. Questa è una proteina antenna coinvolta nella risposta allo stress luminoso, il cui ruolo chiave nella risposta rapida del NPQ è già stato evidenziato in altre specie come Phaeodactylum tricornutum. Il mancato accumulo di questa proteina è stato confermato attraverso Western Blot. Si è valutata la capacità di questo ceppo di crescere in diverse condizioni luminose. È emerso che I48 è in grado di crescere anche in alta luce nonostante questa riduzione nella risposta di NPQ. L’ultima parte della caratterizzazione ne ha valutato invece la produttività. Infatti una riduzione nel NPQ può essere vantaggiosa in condizioni industriali in quanto in una coltura densa solo lo strato esterno è esposto a luci intense. Perciò un NPQ ridotto può evitare una dissipazione indesiderata di energia negli strati più interni dove la luce è già limitante. I48 ha mostrato un aumento di produttività del 24% rispetto al WT, ma come già discusso in Appendice 1 questo è strettamente dipendente dalle condizioni di coltura. Nelle diatomee il NPQ è stato associato non solo alla risposta ad alta luce ma anche a quella alla luce fluttuante (FL), una condizione facilmente sperimentabile nei sistemi di coltura all’esterno. Abbiamo sfruttato questo mutante con una marcata riduzione nel NPQ per verificare qual è l’impatto di questi meccanismi nella risposta di N.gaditana alla luce FL. Nel capitolo 5 quindi è stato messo a punto un esperimento in cui le colture sono state esposte ad una intensità luminosa di 150 μmol di fotoni m-2s-1, i quali nel controllo sono somministrati in modo costante, mentre nelle FL sono frutto di una combinazione di una bassa luce di base inframmezzata da flash di alta luce, dati con frequenze e durate diverse. Il risultato è un forte impatto delle FL sulla crescita del WT. Il difetto di crescita è proporzionale alla frequenza dei flash ed è più marcato alle frequenze maggiori. Tuttavia I48 non mostra una sensibilità maggiore a questo genere di trattamento rispetto al WT, perciò il NPQ non sembra essere coinvolto in modo significativo nella risposta di N.gaditana alla luce FL. Approfondite analisi sulla funzionalità dell’apparato fotosintetico hanno evidenziato che l’attività del PSII non è compromessa, bensì è il PSI ad essere pesantemente inattivato. Questo risultato suggerisce che i trasporti alternativi attorno al PSI, che in altri organismi fotosintetici sono attivati per evitare la sovraeccitazione del PSI, non sono così efficienti in N.gaditana. I primi 5 capitoli quindi hanno evidenziato il potenziale dell’ingegnerizzazione delle microalghe per trovare ceppi più produttivi rispetto al WT. Gli esperimento in FL in particolare non solo hanno aiutato a chiarire il ruolo del NPQ in questa microalga, ma tenendo conto che la FL è una condizione facilmente trovabile in sistemi industriali che utilizzano la luce del sole come fonte di energia, può fornire un punto di partenza per trovare nuovi targets di ingegnerizzazione per aumentare la produttività. Inizialmente ci siamo focalizzati su un approccio inserzionale, perché avrebbe dovuto facilitare l’identificazione dei geni responsabili del fenotipo. In questo caso la frequente presenza di inserzioni in tandem e l’accumulo di mutazioni puntiformi ha vanificato questo vantaggio, perciò strategie alternative sono in fase di ottimizzazione per il futuro. Nel capitolo 6 abbiamo invece testato l’approccio di mutagenesi chimica ed il protocollo di selezione, ottimizzati per N.gaditana, su un’altra specie: Scenedesmus obliquus, per valutare se questo metodo può essere applicato con successo a qualsiasi specie di interesse. Almeno un ceppo promettente è stato isolato (SOB17). In questo lavoro si è messo a punto anche un diverso sistema di valutazione delle produttività, attraverso un pannello messo in coltura in continuo. Infatti la geometria del pannello migliora la distribuzione della luce, rendendola più omogenea rispetto ad altri sistemi come la bottiglia. Inoltre la coltura in continuo fornisce una coltura stabile che ha una produzione continua di biomassa. Questa coltura ha avuto una buona stabilità nel tempo, arrivando ad essere, mantenuta per più di 30 settimane e SOB17 ha mostrato anche una maggiore produttività in una delle condizioni testate, anche se di nuovo come si era visto per N.gaditana, le condizioni di coltura sono fondamentali per ottenere il miglior risultato da ogni ceppo. In aggiunta all’Appendice 1 descritta prima, altre due appendici sono incluse nella tesi. Queste sono il risultato di due diverse collaborazioni in cui gli approcci sperimentali messi a punto in questa tesi sono stati applicati con fini diversi. In Appendice 2 è riportato il lavoro già pubblicato “Genetic Engineering of algae photosynthetic productivity using mathematical models” che descrive lo sviluppo di un modello matematico per valutare i fattori che influenzano la produttività delle microalghe nei fotobioreattori. Il modello è in grado di predire gli effetti di modifiche genetiche in un contesto di produzione industriale, fornendo uno strumento per identificare i genotipi più vantaggiosi in termini di produttività. In Appendice 3 è riportata una collaborazione con la Prof.ssa Angela Falciatore (Diatom Functional Genomics team, UPMC-Paris). In questo lavoro è stato adattato il protocollo di selezione ottimizzato per N.gaditana per trovare fenotipi fotosintetici in una collezione di mutanti di Phaeodactylum tricornutum, ottenuti per RNA interference così da modulare l’espressione di diversi fattori di trascrizione. Con questo approccio è stato possibile stabilire alcune promettenti correlazioni tra fenotipo e modulazione di una determinata classe di fattori di trascrizione, che ora saranno validati con un’analisi approfondita del fenotipo di questi mutanti e dei livelli di trascrizione in questi ceppi mutati.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
tesi_Alessandra_bellan_def.pdf
accesso aperto
Dimensione
16.63 MB
Formato
Adobe PDF
|
16.63 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14242/176519
URN:NBN:IT:UNIPD-176519