Questa ricerca si occupa dello spazio aperto della città convessa, vale a dire quella particolare condizione della modernità caratterizzata da un piano libero sul quale gli oggetti architettonici si collocano autonomamente. La domanda da cui prende le mosse è se davvero il pensiero urbano del Novecento sia l’esito di un implacabile desiderio di tabula rasa, o se piuttosto gli architetti di questa fase cerchino il proprio contesto di riferimento in un rinnovato rapporto con la natura, ricodificando i modelli insediativi fin nella loro texture costitutiva. Con un ribaltamento del punto di vista, che metta al centro dell’attenzione lo “spazio tra le cose” piuttosto che le cose stesse, si vedrà come il “progetto della natura”, lungi dall’avere funzione riempitiva di un campo isotropo e indeterminato sia, al contrario, una componente fondamentale della costruzione urbana, in grado di orientare e condizionare la forma della nuova città-territorio. Attraverso alcune realizzazioni significative – il QT8 di Piero Bottoni, Decima di Luigi Moretti, la Cité des Courtillères di Émile Aillaud e Lafayette Park, progetto americano di Mies, Hilberseimer e Caldwell – si tenterà di comprendere come la città possa essere progettata a partire da un’idea molto forte di spazio aperto, il quale già negli anni Cinquanta è informato di acquisizioni teoriche mature e strumenti operativi capaci di guidare, a monte, il progetto della città. Alcune categorie critiche sono messe a sistema per portare alla luce un’inaspettata costellazione di figure spaziali ricorrenti. L’obiettivo è tracciare delle linee di senso che, dallo spazio aperto della modernità, conducono fino alle più recenti acquisizioni sul progetto di paesaggio. In effetti, se si guarda alle posture contemporanee del “fare paesaggio”, si possono osservare non pochi punti di contatto.
Paesaggi della città convessa. Lo spazio aperto della modernità tra natura e abitare
FREDIANI, DANIELE
2021
Abstract
Questa ricerca si occupa dello spazio aperto della città convessa, vale a dire quella particolare condizione della modernità caratterizzata da un piano libero sul quale gli oggetti architettonici si collocano autonomamente. La domanda da cui prende le mosse è se davvero il pensiero urbano del Novecento sia l’esito di un implacabile desiderio di tabula rasa, o se piuttosto gli architetti di questa fase cerchino il proprio contesto di riferimento in un rinnovato rapporto con la natura, ricodificando i modelli insediativi fin nella loro texture costitutiva. Con un ribaltamento del punto di vista, che metta al centro dell’attenzione lo “spazio tra le cose” piuttosto che le cose stesse, si vedrà come il “progetto della natura”, lungi dall’avere funzione riempitiva di un campo isotropo e indeterminato sia, al contrario, una componente fondamentale della costruzione urbana, in grado di orientare e condizionare la forma della nuova città-territorio. Attraverso alcune realizzazioni significative – il QT8 di Piero Bottoni, Decima di Luigi Moretti, la Cité des Courtillères di Émile Aillaud e Lafayette Park, progetto americano di Mies, Hilberseimer e Caldwell – si tenterà di comprendere come la città possa essere progettata a partire da un’idea molto forte di spazio aperto, il quale già negli anni Cinquanta è informato di acquisizioni teoriche mature e strumenti operativi capaci di guidare, a monte, il progetto della città. Alcune categorie critiche sono messe a sistema per portare alla luce un’inaspettata costellazione di figure spaziali ricorrenti. L’obiettivo è tracciare delle linee di senso che, dallo spazio aperto della modernità, conducono fino alle più recenti acquisizioni sul progetto di paesaggio. In effetti, se si guarda alle posture contemporanee del “fare paesaggio”, si possono osservare non pochi punti di contatto.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/178662
URN:NBN:IT:UNIROMA1-178662