Il lavoro di tesi si concentra sull’analisi della stretta correlazione tra il «chiesto» e il «pronunciato» nel processo ordinario di cognizione. Lo studio di tale correlazione, esplicitata nei termini di principio generale dall’attuale art. 112 c.p.c., ci consentirà di approfondire, da un lato, l’essenza e l’ampiezza del dovere decisorio e, quindi, i vincoli e le modalità attraverso le quali il giudice deve individuare il «chiesto» e, dall’altro lato, i profili patologici della mancata rispondenza tra quanto effettivamente «chiesto» dalle parti e quanto, invece, «pronunciato». Attraverso un approccio casistico e, quindi, attingendo alla copiosa giurisprudenza formatasi in materia, nonché tenendo conto delle importanti novità apportate dalla recente riforma Cartabia, si cercherà di mettere in luce la c.d. fluidità del «chiesto». Lo stretto collegamento che l’art. 112 c.p.c. pone fra il «chiesto» e il «pronunciato», infatti, non va riferito soltanto a ciò che le parti hanno prospettato con gli atti iniziali della loro attività giudiziale ma anche tenendo conto degli sviluppi, delle modificazioni e degli allargamenti del thema decidendum che il fisiologico esercizio delle attività processuali, nel rispetto del sistema di preclusioni e decadenze, determinano. Verranno, quindi, sottoposti a vaglio critico gli orientamenti formatisi sull’attività di interpretazione della domanda giudiziale, ossia su quell’attività di esplicitazione di quel «chiesto» progressivamente formatosi, indispensabile per arrivare alla decisione, così come si cercherà di riflettere e prendere posizione sulle diverse opzioni interpretative prospettate dalla giurisprudenza di legittimità sulla sindacabilità dell’erronea interpretazione della domanda. Terminata la riflessione sul «chiesto», sia ponendoci dal punto di vista delle parti, che da quella del giudice, la nostra analisi si concluderà con lo studio delle patologie processuali da cui può essere affetto il «pronunciato» nel momento in cui il giudice, violando il precetto dell’art. 112 c.p.c., non si pronunci su tutta la domanda ovvero si pronunci oltrepassandone i limiti.
La correlazione tra il "chiesto" e il "pronunciato"
MAZZEI, MARTINA
2024
Abstract
Il lavoro di tesi si concentra sull’analisi della stretta correlazione tra il «chiesto» e il «pronunciato» nel processo ordinario di cognizione. Lo studio di tale correlazione, esplicitata nei termini di principio generale dall’attuale art. 112 c.p.c., ci consentirà di approfondire, da un lato, l’essenza e l’ampiezza del dovere decisorio e, quindi, i vincoli e le modalità attraverso le quali il giudice deve individuare il «chiesto» e, dall’altro lato, i profili patologici della mancata rispondenza tra quanto effettivamente «chiesto» dalle parti e quanto, invece, «pronunciato». Attraverso un approccio casistico e, quindi, attingendo alla copiosa giurisprudenza formatasi in materia, nonché tenendo conto delle importanti novità apportate dalla recente riforma Cartabia, si cercherà di mettere in luce la c.d. fluidità del «chiesto». Lo stretto collegamento che l’art. 112 c.p.c. pone fra il «chiesto» e il «pronunciato», infatti, non va riferito soltanto a ciò che le parti hanno prospettato con gli atti iniziali della loro attività giudiziale ma anche tenendo conto degli sviluppi, delle modificazioni e degli allargamenti del thema decidendum che il fisiologico esercizio delle attività processuali, nel rispetto del sistema di preclusioni e decadenze, determinano. Verranno, quindi, sottoposti a vaglio critico gli orientamenti formatisi sull’attività di interpretazione della domanda giudiziale, ossia su quell’attività di esplicitazione di quel «chiesto» progressivamente formatosi, indispensabile per arrivare alla decisione, così come si cercherà di riflettere e prendere posizione sulle diverse opzioni interpretative prospettate dalla giurisprudenza di legittimità sulla sindacabilità dell’erronea interpretazione della domanda. Terminata la riflessione sul «chiesto», sia ponendoci dal punto di vista delle parti, che da quella del giudice, la nostra analisi si concluderà con lo studio delle patologie processuali da cui può essere affetto il «pronunciato» nel momento in cui il giudice, violando il precetto dell’art. 112 c.p.c., non si pronunci su tutta la domanda ovvero si pronunci oltrepassandone i limiti.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/184493
URN:NBN:IT:UNIROMA1-184493