Il contesto globale odierno, segnato da una crisi climatica senza precedenti, ha reso ormai evidente l’interdipendenza tra qualità dell’ambiente e esercizio dei diritti umani. L’impatto devastante del cambiamento climatico su ecosistemi e risorse naturali aggrava condizioni di vulnerabilità e discriminazioni preesistenti, generando nuove dinamiche migratorie internazionali e interne. La presente ricerca si propone di analizzare il principio di non-refoulement alla luce delle sfide poste dalle migrazioni indotte da fenomeni ambientali e climatici, con un approfondimento specifico sull’applicazione di tale principio nell’ordinamento giuridico italiano. In particolare, attraverso l’esame delle disposizioni del diritto internazionale a vocazione universale e regionale e l’analisi critica della giurisprudenza e della prassi degli organi internazionali di controllo, si è inteso esaminare se e in quale misura un’interpretazione estensiva del principio di non-refoulement possa offrire protezione a individui che temano il rientro nel proprio Paese a causa di condizioni ambientali o climatiche insostenibili. La ricerca, adottando un approccio interdisciplinare, ha messo in luce la rilevanza della vulnerabilità soggettiva e delle esigenze specifiche dello straniero nel determinare l’applicabilità del principio oggetto di studio, suggerendo che la protezione possa essere fondata su una valutazione concreta delle condizioni di vita nel Paese di origine, piuttosto che su una rigida definizione tassonomica. L’approfondimento del caso italiano è risultato utile per verificare i risultati emersi dallo studio delle norme del diritto internazionale e dell'Unione europea. L'ordinamento italiano, peraltro, rappresenta un caso studio unico a livello europeo, constando esso sia di disposizioni di adattamento alle norme rilevanti del diritto internazionale – e, in particolare, al principio di non-refoulement – sia di una forma di protezione ad hoc (il “permesso di soggiorno per calamità” previsto dall’art. 20-bis del d.lgs. n. 286/1998). Tale circostanza ha consentito non solo un’analisi dell’attuazione interna delle norme derivanti dal diritto internazionale, ma anche una comparazione tra diversi modelli di protezione. La ricerca conclude che, pur in assenza di un quadro normativo a ciò preposto, l’applicazione estensiva del principio di non-refoulement può offrire protezione a coloro che sono impossibilitati a rientrare nel proprio Paese a causa di condizioni ambientali o climatiche insostenibili, contribuendo così a colmare la lacuna normativa esistente nel diritto internazionale. Sul piano del diritto interno - ma con significative ricadute anche sul piano internazionale - si è, invece, argomentato che forme di protezione complementare ad ampio spettro, quali la previgente "protezione umanitaria" o l’attuale "protezione speciale", siano maggiormente adeguate per la tutela dei migranti ambientali e climatici rispetto a sistemi di protezione ad hoc dall’ambito applicativo ridotto, fondandosi sulla valutazione della vulnerabilità individuale piuttosto che sulla natura e sulla gravità stimata dell’evento ambientale ritenuto scatenante.
Il principio di non-refoulement e le migrazioni indotte da fenomeni ambientali e climatici: un’analisi dei profili giuridici internazionali e interni
NEGOZIO, FRANCESCO
2025
Abstract
Il contesto globale odierno, segnato da una crisi climatica senza precedenti, ha reso ormai evidente l’interdipendenza tra qualità dell’ambiente e esercizio dei diritti umani. L’impatto devastante del cambiamento climatico su ecosistemi e risorse naturali aggrava condizioni di vulnerabilità e discriminazioni preesistenti, generando nuove dinamiche migratorie internazionali e interne. La presente ricerca si propone di analizzare il principio di non-refoulement alla luce delle sfide poste dalle migrazioni indotte da fenomeni ambientali e climatici, con un approfondimento specifico sull’applicazione di tale principio nell’ordinamento giuridico italiano. In particolare, attraverso l’esame delle disposizioni del diritto internazionale a vocazione universale e regionale e l’analisi critica della giurisprudenza e della prassi degli organi internazionali di controllo, si è inteso esaminare se e in quale misura un’interpretazione estensiva del principio di non-refoulement possa offrire protezione a individui che temano il rientro nel proprio Paese a causa di condizioni ambientali o climatiche insostenibili. La ricerca, adottando un approccio interdisciplinare, ha messo in luce la rilevanza della vulnerabilità soggettiva e delle esigenze specifiche dello straniero nel determinare l’applicabilità del principio oggetto di studio, suggerendo che la protezione possa essere fondata su una valutazione concreta delle condizioni di vita nel Paese di origine, piuttosto che su una rigida definizione tassonomica. L’approfondimento del caso italiano è risultato utile per verificare i risultati emersi dallo studio delle norme del diritto internazionale e dell'Unione europea. L'ordinamento italiano, peraltro, rappresenta un caso studio unico a livello europeo, constando esso sia di disposizioni di adattamento alle norme rilevanti del diritto internazionale – e, in particolare, al principio di non-refoulement – sia di una forma di protezione ad hoc (il “permesso di soggiorno per calamità” previsto dall’art. 20-bis del d.lgs. n. 286/1998). Tale circostanza ha consentito non solo un’analisi dell’attuazione interna delle norme derivanti dal diritto internazionale, ma anche una comparazione tra diversi modelli di protezione. La ricerca conclude che, pur in assenza di un quadro normativo a ciò preposto, l’applicazione estensiva del principio di non-refoulement può offrire protezione a coloro che sono impossibilitati a rientrare nel proprio Paese a causa di condizioni ambientali o climatiche insostenibili, contribuendo così a colmare la lacuna normativa esistente nel diritto internazionale. Sul piano del diritto interno - ma con significative ricadute anche sul piano internazionale - si è, invece, argomentato che forme di protezione complementare ad ampio spettro, quali la previgente "protezione umanitaria" o l’attuale "protezione speciale", siano maggiormente adeguate per la tutela dei migranti ambientali e climatici rispetto a sistemi di protezione ad hoc dall’ambito applicativo ridotto, fondandosi sulla valutazione della vulnerabilità individuale piuttosto che sulla natura e sulla gravità stimata dell’evento ambientale ritenuto scatenante.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/188610
URN:NBN:IT:UNIROMA1-188610