Premessa: Provvedere prontamente alla riperfusione meccanica tramite intervento coronario percutaneo primario (PPCI) rappresenta la tappa centrale nell’attuale gestione dell’infarto miocardio con elevazione del tratto ST (STEMI). Nonostante questa considerazione, in una considerevole porzione di pazienti, la PPCI ottiene la riperfusione dell’arteria coronarica epicardica, ma non la riperfusione miocardica, condizione nota come no-reflow, contribuendo ad aumentare l’area di miocardio infartuata e riducendo la sopravvivenza. Questa condizione sembra si verifichi più frequentemente nei pazienti che giungono in sala di emodinamica con un elevato tempo precoronarico, quindi con una quota maggiore di trombo intracoronarico, e durante procedure interventistiche nelle quali vengono utilizzati anche sistemi meccanici di riapertura del vaso coronarico (tromboaspiratori e sistemi di protezione distale), che possono prolungare il tempo intraprocedurale. Ipotesi: Per i suddetti motivi è possibile che riducendo il tempo precoronarico ed intraprocedurale utilizzando prevalentemente l’infusione i.c. di farmaci (trombolitici, inibitori gp IIb/IIIa, adenosia, nitrati) ed ottendendo la riapertura del vaso coronarico con stenting diretto o, quando non possibile, con predilatazione della lesione culprit, si può prevenire il fenomeno del no-reflow riducendone l’incidenza. In letteratura sono disponibili dati contrastanti sull’incidenza reale di tale fenomeno e non è stata ancora validata una tecnica interventistica che possa ridurre in maniera significativa il verificarsi di questo fenomeno. Obiettivo della tesi: Scopo della presente tesi sperimentale è quello di dimostrare come pretrattando la lesione culprit con infusione i.c. di trombolitico ed inibitore della gp IIb/IIIa, ed eseguendo, quando possibile, lo stenting diretto della lesione culprit, si può prevenire il fenomeno del no-reflow in soggetti affetti da STEMI.
Il trattamento del fenomeno del no-reflow durante PCI primaria
CESARIO, MARCO
2014
Abstract
Premessa: Provvedere prontamente alla riperfusione meccanica tramite intervento coronario percutaneo primario (PPCI) rappresenta la tappa centrale nell’attuale gestione dell’infarto miocardio con elevazione del tratto ST (STEMI). Nonostante questa considerazione, in una considerevole porzione di pazienti, la PPCI ottiene la riperfusione dell’arteria coronarica epicardica, ma non la riperfusione miocardica, condizione nota come no-reflow, contribuendo ad aumentare l’area di miocardio infartuata e riducendo la sopravvivenza. Questa condizione sembra si verifichi più frequentemente nei pazienti che giungono in sala di emodinamica con un elevato tempo precoronarico, quindi con una quota maggiore di trombo intracoronarico, e durante procedure interventistiche nelle quali vengono utilizzati anche sistemi meccanici di riapertura del vaso coronarico (tromboaspiratori e sistemi di protezione distale), che possono prolungare il tempo intraprocedurale. Ipotesi: Per i suddetti motivi è possibile che riducendo il tempo precoronarico ed intraprocedurale utilizzando prevalentemente l’infusione i.c. di farmaci (trombolitici, inibitori gp IIb/IIIa, adenosia, nitrati) ed ottendendo la riapertura del vaso coronarico con stenting diretto o, quando non possibile, con predilatazione della lesione culprit, si può prevenire il fenomeno del no-reflow riducendone l’incidenza. In letteratura sono disponibili dati contrastanti sull’incidenza reale di tale fenomeno e non è stata ancora validata una tecnica interventistica che possa ridurre in maniera significativa il verificarsi di questo fenomeno. Obiettivo della tesi: Scopo della presente tesi sperimentale è quello di dimostrare come pretrattando la lesione culprit con infusione i.c. di trombolitico ed inibitore della gp IIb/IIIa, ed eseguendo, quando possibile, lo stenting diretto della lesione culprit, si può prevenire il fenomeno del no-reflow in soggetti affetti da STEMI.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/195993
URN:NBN:IT:UNIROMA2-195993