I cavalieri medievali soffrivano di Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD)? Da questa domanda volutamente provocatoria ha preso l’abbrivio il progetto di ricerca che, analizzando fonti storiche, artistiche, letterarie, ha inteso tracciare il profilo psicopatologico di uomini costretti a misurarsi quotidianamente con la violenza, essendo quanto richiesto dal loro status, chiedendoci se ciò non abbia avuto serie ripercussioni sulle loro menti. Accanto alle testimonianze, per lo più letterarie, di audaci condottieri senza macchia e senza paura, se ne trovano altre più plausibili e meno decantate di vili codardi, puniti a dovere per non aver accolto col dovuto entusiasmo l’idea di andare a morire sul campo di battaglia, o durante una giostra. Ma la linea di demarcazione fra il pavido e l’impavido non sembra poi così netta. Si suggerisce, così, di ravvisare, fra le righe di un poema che nel rispetto dei dettami della fin’amor decanta le doti dell’amata domina, il celato timore di quanto non può essere espresso con aperta fermezza: la paura della morte e del dolore. Il canto languido del trovatore diventa quindi occasione per un’introspezione “anacronistica” del suo timore più recondito e intimo, quello nei confronti della morte. Il suo ruolo sociale lo ingloba completamente, diventando spauracchio delle sue fragilità, e per suo tramite si realizza l’atto performativo che definitivamente lo redime dal suo essere umano.
IL CAVALIERE MEDIEVALE E LA MALINCONIA. UN’INDAGINE PSICO-PATOLOGICA ANTE LITTERAM.
PAGANO, Maria Valentina
2024
Abstract
I cavalieri medievali soffrivano di Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD)? Da questa domanda volutamente provocatoria ha preso l’abbrivio il progetto di ricerca che, analizzando fonti storiche, artistiche, letterarie, ha inteso tracciare il profilo psicopatologico di uomini costretti a misurarsi quotidianamente con la violenza, essendo quanto richiesto dal loro status, chiedendoci se ciò non abbia avuto serie ripercussioni sulle loro menti. Accanto alle testimonianze, per lo più letterarie, di audaci condottieri senza macchia e senza paura, se ne trovano altre più plausibili e meno decantate di vili codardi, puniti a dovere per non aver accolto col dovuto entusiasmo l’idea di andare a morire sul campo di battaglia, o durante una giostra. Ma la linea di demarcazione fra il pavido e l’impavido non sembra poi così netta. Si suggerisce, così, di ravvisare, fra le righe di un poema che nel rispetto dei dettami della fin’amor decanta le doti dell’amata domina, il celato timore di quanto non può essere espresso con aperta fermezza: la paura della morte e del dolore. Il canto languido del trovatore diventa quindi occasione per un’introspezione “anacronistica” del suo timore più recondito e intimo, quello nei confronti della morte. Il suo ruolo sociale lo ingloba completamente, diventando spauracchio delle sue fragilità, e per suo tramite si realizza l’atto performativo che definitivamente lo redime dal suo essere umano.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/208579
URN:NBN:IT:UNIME-208579