Il presente lavoro è nato da due motivazioni fondamentali tra loro interconnesse. La prima è che mancava, a tutt’oggi [considerando anche il recente volume Metodisti in Italia, uscito nel corso del presente anno per i tipi della Claudiana editrice] a differenza di altre confessioni evangeliche, prima fra tutte la Chiesa Valdese, una storia del metodismo italiano relativamente all’età fascista. Su questo periodo la storiografia si è infatti incentrata essenzialmente su un singolo aspetto: la repressione. Ovvero, il rapporto Chiese evangeliche - fascismo è stato studiato quasi esclusivamente dal punto di vista delle politiche repressive messe in atto dal regime nei confronti dei nemici, reali o presunti, dello Stato totalitario. Inoltre è stato posto l'accento sull'anti-protestantesimo di matrice cattolica nei confronti anche delle comunità metodiste, in special modo al Sud, coinvolgendo nella sua azione gli apparati di polizia dello Stato fascista. In sostanza, storiograficamente parlando, si avverte la mancanza di un giudizio sul ruolo svolto, durante gli anni del regime, da parte dei vertici, dei pastori e dei membri dei due rami del metodismo italiano. Giudizio teso a definire, in prospettiva, quelle forme cui collocare la propria organizzazione nel dopoguerra. E’ evidente quindi che, a guerra finita, come per la Chiesa cattolica, anche per il metodismo sia prevalso un orientamento teso a evitare una riflessione critica sulle responsabilità dei suoi membri nel sostegno al regime e tendente, viceversa, a rimarcarne il ruolo svolto nella lotta contro il fascismo. E ciò per consentirne la partecipazione alla ricostruzione democratica del paese. In sostanza, questo lavoro di ricerca vuole rendere un’immagine più chiara e a tutto tondo del Metodismo italiano, cercando anche di comprendere in che modo l’ideologia fascista sia entrata nel mondo metodista e come esso si andato a interfacciarsi con il nuovo ordine di idee. Sia accettandole che combattendole a vari livelli e con diverse modalità. Si è tentato quindi di rispondere, prima di tutto, alla domanda se si possa parlare o meno di un antifascismo specificatamente metodista e, in secondo luogo, se si possa tracciare un lungo filo rosso ideale che si snodi dalle origini, ovvero dall’attivismo sociale dei primi metodisti inglesi e americani, per giungere fino alla Resistenza passando attraverso le missioni, giunte nel nostro Paese nel momento della formazione dello Stato unitario. Cercare quindi di comprendere dove i metodisti antifascisti affondino le loro radici e cosa ne sia stato di quello “spirito” che la storiografia attribuisce al primo metodismo italiano, ovvero il suo essere democratico, mazziniano e garibaldino, e di come esso sia arrivato fino all’ultimo atto del fascismo italiano con la Repubblica Sociale e la sua re-interpretazione di Mazzini e Garibaldi. In pratica, se le idee sottostanti la creazione e il successivo sviluppo delle missioni metodiste in Italia costituiscano, o meno, la “linfa” vitale dell’antifascismo e della partecipazione alla Resistenza da parte di molti metodisti. Date queste premesse, si è però giunti alla conclusione che Il fascismo attraversa le chiese metodiste, più di quelle valdesi e delle altre confessioni evangeliche. Vi furono quindi diversi metodisti che aderirono convintamente al fascismo. In qualche caso per semplice opportunismo e conformismo, ma in altri perché lo interpretarono come compimento della rivoluzione risorgimentale e della I guerra mondiale, inserendosi anch'essi nel solco della tradizione risorgimentale. Molti metodisti videro inoltre, anche all’indomani della Conciliazione, nel fascismo una sorta di “argine” all’anti-protestantesimo di matrice cattolica, mostrandosi disponibili a contatti di varia natura con le autorità di polizia. Un'adesione che si verificherà anche nell’ultimo atto del regime, con due esempi di pastori e al tempo stesso militari inquadrati nella Repubblica di Salò. Inoltre, la presente ricerca ha messo in luce come Il fascismo abbia cercato di entrare nel mondo metodista per tentare di realizzare delle Chiese evangeliche nazionali, troncandone i legami con le Chiese madri inglese e americane. Per farlo infiltrò, sia a livello locale (si veda il caso di Padova) che a livello di vertice (come per gli episcopali così anche per gli wesleyani) degli elementi in grado di lavorare dall’interno per raggiungere tale obiettivo scalzando i rispettivi Soprintendente e Presidente. Inoltre, è emerso come i tentativi di autonomia dalle Chiese madri si pongano già all’indomani della Grande Guerra, nel clima di “nuovo Risveglio” generato dalla Conferenza Ecumenica Metodista di Londra del ’21, in anticipo quindi rispetto alle trattative con il Board della prima metà degli anni Trenta per gli episcopali e al sequestro dei beni della Missione wesleyana a seguito della nostra entrata in guerra nel ’40. Un’autonomia che, nel primo caso, è evidenziata da una nuova fase del metodismo episcopale: “The Internal Readjustment” che costituisce un’evoluzione successiva al “massonevangelismo” di William Burt. Vi furono anche dei metodisti antifascisti, ma non si può parlare di uno specifico "antifascismo metodista": troppo diversi i personaggi, troppo scoordinati tra loro (a parte il caso della cellula antifascista individuata all'interno della Chiesa Metodista di Padova) e troppo pochi rispetto al peso specifico delle varie comunità. Questo antifascismo ha una sua natura teologico-spirituale, strettamente legata a quella politico-ideologica, stante la conversione al metodismo di diversi esponenti del mondo repubblicano e socialista già attivi nelle rispettive organizzazioni giovanili di partito, mentre i giovani metodisti formatisi all’interno delle ACDG aderiranno successivamente al Partito d’Azione o al Partito Comunista. E' quindi emerso come i metodisti antifascisti non fossero iscritti a logge massoniche a differenza di coloro che aderirono al fascismo. A tal riguardo, si è inoltre messo in luce come il cosiddetto “masson-evangelismo”, particolarmente evidente in casa episcopale con oltre il 70% dei pastori affiliati alle logge, non termini con la Grande Guerra ma prosegua, in forma più o meno carsica, durante il fascismo per riemergere, prepotentemente poco prima della Liberazione, con la ripresa dell’attività delle logge e i loro collegamenti con il mondo americano tramite anche i servizi segreti. Soprattutto in relazione alle vicende del confine orientale, come evidenzia il caso di Giorgio Baccolis a Trieste con la scoperta della posizione autorevole di quest'ultimo, a livello nazionale, nell’ambito della Massoneria, seconda solo al Soprintendente metodista episcopale Tito Signorelli e l’affiliazione dei giudici della Corte d’Assise Straordinaria con il conseguente tentativo di manipolare il verdetto e l'opinione pubblica. Il tutto nell’ottica di un rinnovato legame Italia - Stati Uniti a guerra finita. Infine, si è rilevato come il peso specifico del metodismo italiano, all’interno del mondo protestante, sia da rivedere, non solo in termini qualitativi, ma anche quantitativi: dai dodicimila membri che la storiografia ha finora riportato quale numero complessivo durante l'epoca fascista, ai ventimila emersi in questa ricerca. Un numero quasi doppio anche per quanto riguarda le comunità in cui essi erano distribuiti: da poco più di cinquanta, come attestato finora, a un’ottantina variamente distribuite nel territorio nazionale.

Le chiese evangeliche metodiste in Italia negli anni del fascismo

RAMPAZZO, DANIELE
2025

Abstract

Il presente lavoro è nato da due motivazioni fondamentali tra loro interconnesse. La prima è che mancava, a tutt’oggi [considerando anche il recente volume Metodisti in Italia, uscito nel corso del presente anno per i tipi della Claudiana editrice] a differenza di altre confessioni evangeliche, prima fra tutte la Chiesa Valdese, una storia del metodismo italiano relativamente all’età fascista. Su questo periodo la storiografia si è infatti incentrata essenzialmente su un singolo aspetto: la repressione. Ovvero, il rapporto Chiese evangeliche - fascismo è stato studiato quasi esclusivamente dal punto di vista delle politiche repressive messe in atto dal regime nei confronti dei nemici, reali o presunti, dello Stato totalitario. Inoltre è stato posto l'accento sull'anti-protestantesimo di matrice cattolica nei confronti anche delle comunità metodiste, in special modo al Sud, coinvolgendo nella sua azione gli apparati di polizia dello Stato fascista. In sostanza, storiograficamente parlando, si avverte la mancanza di un giudizio sul ruolo svolto, durante gli anni del regime, da parte dei vertici, dei pastori e dei membri dei due rami del metodismo italiano. Giudizio teso a definire, in prospettiva, quelle forme cui collocare la propria organizzazione nel dopoguerra. E’ evidente quindi che, a guerra finita, come per la Chiesa cattolica, anche per il metodismo sia prevalso un orientamento teso a evitare una riflessione critica sulle responsabilità dei suoi membri nel sostegno al regime e tendente, viceversa, a rimarcarne il ruolo svolto nella lotta contro il fascismo. E ciò per consentirne la partecipazione alla ricostruzione democratica del paese. In sostanza, questo lavoro di ricerca vuole rendere un’immagine più chiara e a tutto tondo del Metodismo italiano, cercando anche di comprendere in che modo l’ideologia fascista sia entrata nel mondo metodista e come esso si andato a interfacciarsi con il nuovo ordine di idee. Sia accettandole che combattendole a vari livelli e con diverse modalità. Si è tentato quindi di rispondere, prima di tutto, alla domanda se si possa parlare o meno di un antifascismo specificatamente metodista e, in secondo luogo, se si possa tracciare un lungo filo rosso ideale che si snodi dalle origini, ovvero dall’attivismo sociale dei primi metodisti inglesi e americani, per giungere fino alla Resistenza passando attraverso le missioni, giunte nel nostro Paese nel momento della formazione dello Stato unitario. Cercare quindi di comprendere dove i metodisti antifascisti affondino le loro radici e cosa ne sia stato di quello “spirito” che la storiografia attribuisce al primo metodismo italiano, ovvero il suo essere democratico, mazziniano e garibaldino, e di come esso sia arrivato fino all’ultimo atto del fascismo italiano con la Repubblica Sociale e la sua re-interpretazione di Mazzini e Garibaldi. In pratica, se le idee sottostanti la creazione e il successivo sviluppo delle missioni metodiste in Italia costituiscano, o meno, la “linfa” vitale dell’antifascismo e della partecipazione alla Resistenza da parte di molti metodisti. Date queste premesse, si è però giunti alla conclusione che Il fascismo attraversa le chiese metodiste, più di quelle valdesi e delle altre confessioni evangeliche. Vi furono quindi diversi metodisti che aderirono convintamente al fascismo. In qualche caso per semplice opportunismo e conformismo, ma in altri perché lo interpretarono come compimento della rivoluzione risorgimentale e della I guerra mondiale, inserendosi anch'essi nel solco della tradizione risorgimentale. Molti metodisti videro inoltre, anche all’indomani della Conciliazione, nel fascismo una sorta di “argine” all’anti-protestantesimo di matrice cattolica, mostrandosi disponibili a contatti di varia natura con le autorità di polizia. Un'adesione che si verificherà anche nell’ultimo atto del regime, con due esempi di pastori e al tempo stesso militari inquadrati nella Repubblica di Salò. Inoltre, la presente ricerca ha messo in luce come Il fascismo abbia cercato di entrare nel mondo metodista per tentare di realizzare delle Chiese evangeliche nazionali, troncandone i legami con le Chiese madri inglese e americane. Per farlo infiltrò, sia a livello locale (si veda il caso di Padova) che a livello di vertice (come per gli episcopali così anche per gli wesleyani) degli elementi in grado di lavorare dall’interno per raggiungere tale obiettivo scalzando i rispettivi Soprintendente e Presidente. Inoltre, è emerso come i tentativi di autonomia dalle Chiese madri si pongano già all’indomani della Grande Guerra, nel clima di “nuovo Risveglio” generato dalla Conferenza Ecumenica Metodista di Londra del ’21, in anticipo quindi rispetto alle trattative con il Board della prima metà degli anni Trenta per gli episcopali e al sequestro dei beni della Missione wesleyana a seguito della nostra entrata in guerra nel ’40. Un’autonomia che, nel primo caso, è evidenziata da una nuova fase del metodismo episcopale: “The Internal Readjustment” che costituisce un’evoluzione successiva al “massonevangelismo” di William Burt. Vi furono anche dei metodisti antifascisti, ma non si può parlare di uno specifico "antifascismo metodista": troppo diversi i personaggi, troppo scoordinati tra loro (a parte il caso della cellula antifascista individuata all'interno della Chiesa Metodista di Padova) e troppo pochi rispetto al peso specifico delle varie comunità. Questo antifascismo ha una sua natura teologico-spirituale, strettamente legata a quella politico-ideologica, stante la conversione al metodismo di diversi esponenti del mondo repubblicano e socialista già attivi nelle rispettive organizzazioni giovanili di partito, mentre i giovani metodisti formatisi all’interno delle ACDG aderiranno successivamente al Partito d’Azione o al Partito Comunista. E' quindi emerso come i metodisti antifascisti non fossero iscritti a logge massoniche a differenza di coloro che aderirono al fascismo. A tal riguardo, si è inoltre messo in luce come il cosiddetto “masson-evangelismo”, particolarmente evidente in casa episcopale con oltre il 70% dei pastori affiliati alle logge, non termini con la Grande Guerra ma prosegua, in forma più o meno carsica, durante il fascismo per riemergere, prepotentemente poco prima della Liberazione, con la ripresa dell’attività delle logge e i loro collegamenti con il mondo americano tramite anche i servizi segreti. Soprattutto in relazione alle vicende del confine orientale, come evidenzia il caso di Giorgio Baccolis a Trieste con la scoperta della posizione autorevole di quest'ultimo, a livello nazionale, nell’ambito della Massoneria, seconda solo al Soprintendente metodista episcopale Tito Signorelli e l’affiliazione dei giudici della Corte d’Assise Straordinaria con il conseguente tentativo di manipolare il verdetto e l'opinione pubblica. Il tutto nell’ottica di un rinnovato legame Italia - Stati Uniti a guerra finita. Infine, si è rilevato come il peso specifico del metodismo italiano, all’interno del mondo protestante, sia da rivedere, non solo in termini qualitativi, ma anche quantitativi: dai dodicimila membri che la storiografia ha finora riportato quale numero complessivo durante l'epoca fascista, ai ventimila emersi in questa ricerca. Un numero quasi doppio anche per quanto riguarda le comunità in cui essi erano distribuiti: da poco più di cinquanta, come attestato finora, a un’ottantina variamente distribuite nel territorio nazionale.
21-mar-2025
Italiano
GAGLIARDI, ALESSIO
NASO, PAOLO
SAGGIORO, Alessandro
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
411
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/211287
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIROMA1-211287