Indagare il pensiero di un autore come Wilhelm Schapp (15 ottobre 1884 Großefehn - † 22 marzo 1965 Sanderbusch) significa attraversare alcune tappe decisive del Novecento, quantomeno per ciò che riguarda l’ambito storico-filosofico. Il pensiero del filosofo di Aurich cresce in effetti sotto l’ala protettiva di figure decisive che inaugurarono alcune delle correnti di pensiero dominanti nella Germania e nell’Europa del principio del secolo scorso, destinate a lasciare una traccia indelebile anche nella successiva produzione filosofica fino ai giorni nostri: lo storicismo di Dilthey, il neo-kantismo di Rickert, la fenomenologia di Husserl, di Pfänder, di Reinach e, a fianco di questi, l’insegnamento di Simmel, Lipps e Scheler. Gli imponenti tentativi di trovare strumenti nuovi a fronte di una crisi universale dei saperi e a fronte di fenomeni sociali fino ad allora inediti, di cui le opere degli autori appena menzionati rappresentano esempi emblematici, costituiscono gli assi cartesiani all’interno dei quali si orienta la riflessione filosofica di Schapp. La sua dissertazione di dottorato, discussa sotto la supervisione di Husserl nel 1909 e pubblicata nel 1910 con il titolo di Beiträge zur Phänomenologie der Wahrnehmung, raccoglie alcune istanze della fenomenologia husserliana, ma esplora nuovi orizzonti tematici soprattutto per ciò che riguarda la percezione della cosa e la sua comprensione sul piano cognitivo. I due volumi della Neue Wissenschaft vom Recht (1930/32) si inseriscono nel solco della fenomenologia reinachiana del diritto ma inaugurano un nuovo modo di interpretare fenomenologicamente concetti fondamentali quali quello di contratto e proprietà. La sua “filosofia delle storie” (In Geschichten verstrickt. Zum Sein von Mensch und Ding [1953]; Philosophie der Geschichten [1959]; Metaphysik der Naturwissenschaft [1965]), infine, riprende le istanze presenti nelle riflessioni storicistiche di Rickert e Dilthey e le declina in termini fenomenologico-ermeneutici, offrendo una via di comprensione dell’essere dell’uomo alternativa a quella tracciata da Heidegger a partire dagli anni ‘20. In mezzo alle imponenti architettoniche teoretiche dei suoi maestri e compagni di viaggio intellettuale il suo pensiero si muove dunque in maniera originale e indipendente, individuando di volta in volta soluzioni nuove e futuribili a questioni fondamentali che venivano imponendosi nel panorama culturale del tempo e che non si sono ancora esaurite. Approfondire i suoi scritti vuol dire allora non solo irradiare di nuova luce scorci e luoghi nodali di alcune delle vie di pensiero fondamentali del recente passato, che sia in ambito fenomenologico-percettivo o teorico-giuridico o narratologico-ermeneutico, ma anche trovare soluzioni alternative e opzioni interpretative nuove a quel nugolo di questioni che ancora permangono nell’universo teoretico attuale. Nel panorama della letteratura secondaria il nome di Schapp è immediatamente accostato alla filosofia delle storie. Questo è dovuto, in parte, a contingenze meramente editoriali, in parte, alla distanza cronologica che intercorre tra l’apprendistato fenomenologico (1905/10) e la pubblicazione di In Geschichten verstrickt (1953), e in parte, ancora, alla difficoltà con la quale di solito ci si approccia a quegli scritti fenomenologici che gemmano attorno alle Ricerche logiche e che, a un primo sguardo, sembrano non aggiungere nulla di nuovo all’opera del maestro e vengono spesso considerate piuttosto come commentari o note a margine. Quest’ultima riflessione vale, in generale, quasi per tutti i membri dei circoli ma assume un tono paradossale nel caso di Schapp. Alla relativamente ricca quantità di riferimenti nell’ambito degli studi narratologici non corrisponde, infatti, un interesse nemmeno lontanamente paragonabile in ambito fenomenologico. È vero, gli ultimi scritti schappiani, pur mantenendo una connessione intima e un continuo riferimento all’esperienza dei circoli, tendono a esautorarne se non i contenuti per lo meno l’attualità filosofica, ciò però non significa che, da un punto di vista della storia delle idee e dell’analisi genealogica dell’insorgere di una costellazione di problemi teoretici, non sia necessario e più che fruttuoso inseguire la traiettoria di un’evoluzione di pensiero come quella schappiana, la quale, per usare un linguaggio ormai forse abusato tra gli addetti ai lavori, si colloca di diritto nel novero delle “eresie” fenomenologiche. L’intento primario di questo lavoro è dunque innanzitutto, su un primo livello, quello di colmare un vuoto nella letteratura secondaria, proponendo una descrizione dello Schapp “fenomenologo” e dell’orizzonte ermeneutico, alquanto ricco, in cui si colloca la sua ricezione della fenomenologia di Husserl e degli altri membri dei circoli. Su un ulteriore livello, tuttavia, è anche quello di individuare le traiettorie evolutive del suo pensiero, andando a ricostruire le radici di quelle problematiche filosofiche, insorgenti nella Germania degli anni ’10 e ancora presenti nella Germania post-bellica, che fanno da pungolo e spinta motrice alla sua intera riflessione filosofica e di cui la filosofia delle storie è il risvolto più concreto e più prezioso. Come accade per altri fenomenologi della prima ora, in Schapp l’esperienza delle due Guerre e la situazione della Germania dopo la caduta del nazismo suscitano un’esigenza quasi terapeutica di ritorno a quell’ethos filosofico che aveva caratterizzato l’esperienza dei circoli. Dalla rilettura e fibrillante rielaborazione sotto la lente prospettica della mutata situazione filosofica e sociale delle tematiche trattate nei Beiträge, attraverso un confronto serrato con altri testi centrali del movimento fenomenologico pubblicati nel periodo interbellico Schapp, in una sorta di testamento spirituale, declina e ricompone tutte le istanze filosofiche che avevano caratterizzato la sua formazione in funzione di quella che per lui deve ambire a essere una quarta indemandabile rivoluzione filosofica nella storia dell’uomo dopo quelle apportate dalla filosofia greca, da Bacone e da Kant: la scoperta delle storie e dell’irretimento dell’uomo in storie. Dal punto di vista dell’approccio teoretico questo lavoro, senza né lasciarsi legare le mani né appiattirsi su di esse, si ispira a due prospettive specifiche sia nella letteratura fenomenologica che in quella più prettamente narratologica legate alla figura di Schapp. Per ciò che riguarda l’importanza di indagare il ruolo della fenomenologia in riferimento a tematiche filosofiche contemporanee, le presenti ricerche sono in parte debitrici a Ferdinand Fellmann, il quale ha di recente acutamente mostrato come la fenomenologia, in quanto innanzitutto “forma di pensiero” che matura un certo modello “storico-categoriale” di relazionarsi del soggetto nei confronti della realtà, possa contribuire alla messa a disposizione di categorie di cui l’attuale mondo digitale ha urgentemente bisogno per poter interpretare correttamente i segni del suo tempo. Tra queste categorie, egli inserisce appunto, rifacendosi a In Geschichten verstrickt, il carattere mediale della storia e della narrazione. Una simile capacità della fenomenologia di resistere agli orientamenti delle mode filosofiche e dello spirito del tempo e di rendersi dunque sempre attuale, si situa, nella produzione filosofica schappiana, all’interno di quella che è invece un’istanza del tutto storicizzata e locata nello spirito dell’Europa post-bellica: la necessità di trovare una risposta alla perdita di un senso storico e di uscire da narrazioni monolitiche e spersonalizzanti della storia. Sotto questo rispetto un’influenza specifica per ciò che concerne la visione del rapporto tra la proposta narratologica schappiana e un certo modo positivistico di intendere la narrazione in generale e il ruolo della narrazione nella ricostruzione di un evento storico, si deve al lavoro di Odo Marquard. Dalle proposte teoretiche di questi due grandi interpreti di Schapp, andati, per molti aspetti, tuttavia, oltre l’impronta lasciata nel loro pensiero dall’opera del filosofo di Aurich, le mie indagini ereditano la necessità di inglobare l’aspirazione astorica della fenomenologia di costituirsi come una possibilità metodologica di comprensione del reale sempre disponibile sull’orizzonte dello spirito contemporaneo all’interno dell’esigenza, del tutto contingente e storicizzata, di individuare un nuovo paradigma umano e una nuova forma di descrizione del suo essere nel mondo che faccia del vincolo con il proprio orizzonte storico-istoriale proprio il suo ineludibile punto di partenza, come quella schappiana. In funzione di questa antinomia, che venne già percepita nei circoli di Monaco e di Gottinga e di cui la filosofia delle storie di Schapp è un tentativo di mediazione, qualsiasi approfondimento del pensiero dell’autore non può che partire da una considerazione che sia fenomenologica in una duplice accezione: stricto sensu nella misura in cui è inevitabilmente vincolata all’insegnamento husserliano e dei primi allievi di Husserl e lato sensu nella misura in cui cerca di svincolarsi da quello stesso insegnamento per riformulare, sul piano di una ristrutturata indagine fenomenologica, un nuovo modello filosofico di comprensione del fronte sempre aperto tra l’uomo e il reale. Dal punto di vista, invece, di ciò che riguarda gli intenti pratici e il possibile contributo di questo scritto all’attuale ricerca sulla filosofia di Schapp, l’operazione di esplorazione delle origini fenomenologiche della filosofia delle storie e l’analisi approfondita del suo primo scritto fenomenologico, si inserisce idealmente nel solco – e vuole essere a essa complementare – dell’operazione di recupero e sistematizzazione del materiale edito e inedito dell’autore che è stata approntata in Germania negli ultimi venti anni. La riscoperta editoriale è cominciata nel 2004 con la quarta edizione invariata dei Beiträge, seguita poi dalla quinta nel 2013. In contemporanea veniva data alle stampe nel 2009 la terza edizione di Metaphysik der Naturwissenschaft (1965), opera conclusiva della “trilogia delle storie”, e nell’ordine: la quinta edizione dell’opera manifesto della trilogia, vale a dire In Geschichten verstrickt nel 2012, e la terza edizione dell’opera mediana Philosophie der Geschichten (1959) avvenuta nel 2015. Queste riedizioni sono state accompagnate, a partire dal 2017 e fino al 2019, dalla pubblicazione in quattro volumi di alcune parti selezionate del Nachlass di più di ventimila pagine custodito alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, curata da J. Schapp, K. Joisten e N. Thiemer, e dall’uscita di tre volumi collettanei sul pensiero dell’autore: Geschichte und Geschichten. Studien zur Geschichtenphänomenologie Wilhelm Schapps (2004) a cura di K.- H. Lembeck; Das Denken Wilhelm Schapps a cura di K. Joisten e Die Rezeption Der Geschichtenphilosophie Wilhelm Schapps: Kommentare und Fortsetzungen, a cura di J. Schapp, K. Joisten e N. Thiemer. Per ciò che riguarda l’Italia, invece, nel 2017 è stata editata da Mimesis Reti di storie. L’essere dell’uomo e della cosa, la prima traduzione italiana di In Geschichten verstrickt. Da quanto appena detto si può vedere che sia il rapporto di Schapp con la early phenomenology sia l’analisi della sua fenomenologia della percezione sono orizzonti rimasti inesplorati nella letteratura secondaria degli ultimi anni, anche se molti autori hanno evidenziato lo stretto rapporto tra la filosofia delle storie e la fenomenologia, come vedremo nel prossimo paragrafo. Con questo lavoro, dunque, si vuole partire proprio dai luoghi in cui il pensiero di Schapp è rimasto meno indagato, per poi giungere, da una prospettiva diversa, a luoghi già esplorati del suo pensiero.
Wilhelm Schapp: tra fenomenologia e filosofia delle storie
NUCCILLI, DANIELE
2022
Abstract
Indagare il pensiero di un autore come Wilhelm Schapp (15 ottobre 1884 Großefehn - † 22 marzo 1965 Sanderbusch) significa attraversare alcune tappe decisive del Novecento, quantomeno per ciò che riguarda l’ambito storico-filosofico. Il pensiero del filosofo di Aurich cresce in effetti sotto l’ala protettiva di figure decisive che inaugurarono alcune delle correnti di pensiero dominanti nella Germania e nell’Europa del principio del secolo scorso, destinate a lasciare una traccia indelebile anche nella successiva produzione filosofica fino ai giorni nostri: lo storicismo di Dilthey, il neo-kantismo di Rickert, la fenomenologia di Husserl, di Pfänder, di Reinach e, a fianco di questi, l’insegnamento di Simmel, Lipps e Scheler. Gli imponenti tentativi di trovare strumenti nuovi a fronte di una crisi universale dei saperi e a fronte di fenomeni sociali fino ad allora inediti, di cui le opere degli autori appena menzionati rappresentano esempi emblematici, costituiscono gli assi cartesiani all’interno dei quali si orienta la riflessione filosofica di Schapp. La sua dissertazione di dottorato, discussa sotto la supervisione di Husserl nel 1909 e pubblicata nel 1910 con il titolo di Beiträge zur Phänomenologie der Wahrnehmung, raccoglie alcune istanze della fenomenologia husserliana, ma esplora nuovi orizzonti tematici soprattutto per ciò che riguarda la percezione della cosa e la sua comprensione sul piano cognitivo. I due volumi della Neue Wissenschaft vom Recht (1930/32) si inseriscono nel solco della fenomenologia reinachiana del diritto ma inaugurano un nuovo modo di interpretare fenomenologicamente concetti fondamentali quali quello di contratto e proprietà. La sua “filosofia delle storie” (In Geschichten verstrickt. Zum Sein von Mensch und Ding [1953]; Philosophie der Geschichten [1959]; Metaphysik der Naturwissenschaft [1965]), infine, riprende le istanze presenti nelle riflessioni storicistiche di Rickert e Dilthey e le declina in termini fenomenologico-ermeneutici, offrendo una via di comprensione dell’essere dell’uomo alternativa a quella tracciata da Heidegger a partire dagli anni ‘20. In mezzo alle imponenti architettoniche teoretiche dei suoi maestri e compagni di viaggio intellettuale il suo pensiero si muove dunque in maniera originale e indipendente, individuando di volta in volta soluzioni nuove e futuribili a questioni fondamentali che venivano imponendosi nel panorama culturale del tempo e che non si sono ancora esaurite. Approfondire i suoi scritti vuol dire allora non solo irradiare di nuova luce scorci e luoghi nodali di alcune delle vie di pensiero fondamentali del recente passato, che sia in ambito fenomenologico-percettivo o teorico-giuridico o narratologico-ermeneutico, ma anche trovare soluzioni alternative e opzioni interpretative nuove a quel nugolo di questioni che ancora permangono nell’universo teoretico attuale. Nel panorama della letteratura secondaria il nome di Schapp è immediatamente accostato alla filosofia delle storie. Questo è dovuto, in parte, a contingenze meramente editoriali, in parte, alla distanza cronologica che intercorre tra l’apprendistato fenomenologico (1905/10) e la pubblicazione di In Geschichten verstrickt (1953), e in parte, ancora, alla difficoltà con la quale di solito ci si approccia a quegli scritti fenomenologici che gemmano attorno alle Ricerche logiche e che, a un primo sguardo, sembrano non aggiungere nulla di nuovo all’opera del maestro e vengono spesso considerate piuttosto come commentari o note a margine. Quest’ultima riflessione vale, in generale, quasi per tutti i membri dei circoli ma assume un tono paradossale nel caso di Schapp. Alla relativamente ricca quantità di riferimenti nell’ambito degli studi narratologici non corrisponde, infatti, un interesse nemmeno lontanamente paragonabile in ambito fenomenologico. È vero, gli ultimi scritti schappiani, pur mantenendo una connessione intima e un continuo riferimento all’esperienza dei circoli, tendono a esautorarne se non i contenuti per lo meno l’attualità filosofica, ciò però non significa che, da un punto di vista della storia delle idee e dell’analisi genealogica dell’insorgere di una costellazione di problemi teoretici, non sia necessario e più che fruttuoso inseguire la traiettoria di un’evoluzione di pensiero come quella schappiana, la quale, per usare un linguaggio ormai forse abusato tra gli addetti ai lavori, si colloca di diritto nel novero delle “eresie” fenomenologiche. L’intento primario di questo lavoro è dunque innanzitutto, su un primo livello, quello di colmare un vuoto nella letteratura secondaria, proponendo una descrizione dello Schapp “fenomenologo” e dell’orizzonte ermeneutico, alquanto ricco, in cui si colloca la sua ricezione della fenomenologia di Husserl e degli altri membri dei circoli. Su un ulteriore livello, tuttavia, è anche quello di individuare le traiettorie evolutive del suo pensiero, andando a ricostruire le radici di quelle problematiche filosofiche, insorgenti nella Germania degli anni ’10 e ancora presenti nella Germania post-bellica, che fanno da pungolo e spinta motrice alla sua intera riflessione filosofica e di cui la filosofia delle storie è il risvolto più concreto e più prezioso. Come accade per altri fenomenologi della prima ora, in Schapp l’esperienza delle due Guerre e la situazione della Germania dopo la caduta del nazismo suscitano un’esigenza quasi terapeutica di ritorno a quell’ethos filosofico che aveva caratterizzato l’esperienza dei circoli. Dalla rilettura e fibrillante rielaborazione sotto la lente prospettica della mutata situazione filosofica e sociale delle tematiche trattate nei Beiträge, attraverso un confronto serrato con altri testi centrali del movimento fenomenologico pubblicati nel periodo interbellico Schapp, in una sorta di testamento spirituale, declina e ricompone tutte le istanze filosofiche che avevano caratterizzato la sua formazione in funzione di quella che per lui deve ambire a essere una quarta indemandabile rivoluzione filosofica nella storia dell’uomo dopo quelle apportate dalla filosofia greca, da Bacone e da Kant: la scoperta delle storie e dell’irretimento dell’uomo in storie. Dal punto di vista dell’approccio teoretico questo lavoro, senza né lasciarsi legare le mani né appiattirsi su di esse, si ispira a due prospettive specifiche sia nella letteratura fenomenologica che in quella più prettamente narratologica legate alla figura di Schapp. Per ciò che riguarda l’importanza di indagare il ruolo della fenomenologia in riferimento a tematiche filosofiche contemporanee, le presenti ricerche sono in parte debitrici a Ferdinand Fellmann, il quale ha di recente acutamente mostrato come la fenomenologia, in quanto innanzitutto “forma di pensiero” che matura un certo modello “storico-categoriale” di relazionarsi del soggetto nei confronti della realtà, possa contribuire alla messa a disposizione di categorie di cui l’attuale mondo digitale ha urgentemente bisogno per poter interpretare correttamente i segni del suo tempo. Tra queste categorie, egli inserisce appunto, rifacendosi a In Geschichten verstrickt, il carattere mediale della storia e della narrazione. Una simile capacità della fenomenologia di resistere agli orientamenti delle mode filosofiche e dello spirito del tempo e di rendersi dunque sempre attuale, si situa, nella produzione filosofica schappiana, all’interno di quella che è invece un’istanza del tutto storicizzata e locata nello spirito dell’Europa post-bellica: la necessità di trovare una risposta alla perdita di un senso storico e di uscire da narrazioni monolitiche e spersonalizzanti della storia. Sotto questo rispetto un’influenza specifica per ciò che concerne la visione del rapporto tra la proposta narratologica schappiana e un certo modo positivistico di intendere la narrazione in generale e il ruolo della narrazione nella ricostruzione di un evento storico, si deve al lavoro di Odo Marquard. Dalle proposte teoretiche di questi due grandi interpreti di Schapp, andati, per molti aspetti, tuttavia, oltre l’impronta lasciata nel loro pensiero dall’opera del filosofo di Aurich, le mie indagini ereditano la necessità di inglobare l’aspirazione astorica della fenomenologia di costituirsi come una possibilità metodologica di comprensione del reale sempre disponibile sull’orizzonte dello spirito contemporaneo all’interno dell’esigenza, del tutto contingente e storicizzata, di individuare un nuovo paradigma umano e una nuova forma di descrizione del suo essere nel mondo che faccia del vincolo con il proprio orizzonte storico-istoriale proprio il suo ineludibile punto di partenza, come quella schappiana. In funzione di questa antinomia, che venne già percepita nei circoli di Monaco e di Gottinga e di cui la filosofia delle storie di Schapp è un tentativo di mediazione, qualsiasi approfondimento del pensiero dell’autore non può che partire da una considerazione che sia fenomenologica in una duplice accezione: stricto sensu nella misura in cui è inevitabilmente vincolata all’insegnamento husserliano e dei primi allievi di Husserl e lato sensu nella misura in cui cerca di svincolarsi da quello stesso insegnamento per riformulare, sul piano di una ristrutturata indagine fenomenologica, un nuovo modello filosofico di comprensione del fronte sempre aperto tra l’uomo e il reale. Dal punto di vista, invece, di ciò che riguarda gli intenti pratici e il possibile contributo di questo scritto all’attuale ricerca sulla filosofia di Schapp, l’operazione di esplorazione delle origini fenomenologiche della filosofia delle storie e l’analisi approfondita del suo primo scritto fenomenologico, si inserisce idealmente nel solco – e vuole essere a essa complementare – dell’operazione di recupero e sistematizzazione del materiale edito e inedito dell’autore che è stata approntata in Germania negli ultimi venti anni. La riscoperta editoriale è cominciata nel 2004 con la quarta edizione invariata dei Beiträge, seguita poi dalla quinta nel 2013. In contemporanea veniva data alle stampe nel 2009 la terza edizione di Metaphysik der Naturwissenschaft (1965), opera conclusiva della “trilogia delle storie”, e nell’ordine: la quinta edizione dell’opera manifesto della trilogia, vale a dire In Geschichten verstrickt nel 2012, e la terza edizione dell’opera mediana Philosophie der Geschichten (1959) avvenuta nel 2015. Queste riedizioni sono state accompagnate, a partire dal 2017 e fino al 2019, dalla pubblicazione in quattro volumi di alcune parti selezionate del Nachlass di più di ventimila pagine custodito alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, curata da J. Schapp, K. Joisten e N. Thiemer, e dall’uscita di tre volumi collettanei sul pensiero dell’autore: Geschichte und Geschichten. Studien zur Geschichtenphänomenologie Wilhelm Schapps (2004) a cura di K.- H. Lembeck; Das Denken Wilhelm Schapps a cura di K. Joisten e Die Rezeption Der Geschichtenphilosophie Wilhelm Schapps: Kommentare und Fortsetzungen, a cura di J. Schapp, K. Joisten e N. Thiemer. Per ciò che riguarda l’Italia, invece, nel 2017 è stata editata da Mimesis Reti di storie. L’essere dell’uomo e della cosa, la prima traduzione italiana di In Geschichten verstrickt. Da quanto appena detto si può vedere che sia il rapporto di Schapp con la early phenomenology sia l’analisi della sua fenomenologia della percezione sono orizzonti rimasti inesplorati nella letteratura secondaria degli ultimi anni, anche se molti autori hanno evidenziato lo stretto rapporto tra la filosofia delle storie e la fenomenologia, come vedremo nel prossimo paragrafo. Con questo lavoro, dunque, si vuole partire proprio dai luoghi in cui il pensiero di Schapp è rimasto meno indagato, per poi giungere, da una prospettiva diversa, a luoghi già esplorati del suo pensiero.| File | Dimensione | Formato | |
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URN:NBN:IT:UNIROMA2-215022