Perché parlare di educazione femminile? E perché proprio nel periodo napoleonico? La risposta è piuttosto semplice: perché, nel passaggio tra XVIII e XIX secolo – in quello che la storiografia internazionale percepisce come il punto di cambio tra l’età moderna e l’età contemporanea – si verificarono alcune fondamentali trasformazioni che colpirono e modificarono profondamente la società, portandola sempre più verso la contemporaneità. Fra queste, appaiono di estremo interesse quelle riguardanti la storia dell’emancipazione delle donne e della loro lotta per il riconoscimento dei propri diritti, primo fra tutti quello all’istruzione. Infatti, come suggerito dalla Déclaration des Droits de la Femme et de la Citoyenne di Olympe de Gouges, e come indicato dai lavori di Anna Rossi Doria e di Annarita Buttafuoco, durante quei concitatissimi anni, una nuova immagine femminile iniziò a farsi strada sempre più insistentemente, una figura che si rifiutava di rimanere confinata alla sfera domestica e privata e che chiedeva a gran voce di abbandonare i tradizionali ruoli di moglie e di madre assegnatile da una società paternale – poco, o per niente, incline a lasciare entrare le donne negli ambiti politici, istituzionali e di dibattito pubblico –, e pronta a lottare per farsi ufficialmente riconoscere come cittadina dotata d’intelletto, in grado di essere socialmente e politicamente attiva, pienamente e perfettamente consapevole delle proprie abilità e possibilità intellettuali1 . In questo clima, in questo lento processo di riconoscimento della nuova posizione femminile, una fase di transizione particolarmente critica e decisamente controversa è rappresentata dall’età napoleonica. Tale criticità deriva principalmente dall’ambiguità della linea di azione di Bonaparte nei confronti del sesso femminile: se, da un lato, Napoleone favorì notevoli trasformazioni, soprattutto nell’ambito dell’educazione, dall’altro soppresse alcuni traguardi raggiunti dalle donne sia durante la Rivoluzione sia negli anni a essa immediatamente precedenti. Ne è un esempio il trattamento riservato ai salotti – di cui si tratterà nel capitolo I. Nel 2002, infatti, Steven Kale ha evidenziato come da una parte, negli anni del Consolato e dell’Impero,si fecero grandi sforzi per riportare i salotti allo splendore di cui godevano prima degli eventi del 1789, in quanto percepiti come luoghi di forte sociabilità, in grado non soltanto di fare nuovamente di Parigi e della Francia intera le capitali europee dell’eleganza e del piacere ma, e forse soprattutto, in grado di incoraggiare la fusione fra le vecchie élites, promuovendo il loro ritorno in patria, e la nuova nobiltà napoleonica. Dall’altra parte, però, l’Imperatore concepì salotti senza salonnières, salotti, cioè, che le donne non avrebbero potuto usare come mezzo di accesso alla vita pubblica e di potenziale opposizione al nuovo regime, ma di cui si sarebbero limitate a essere le guardiane di “tutto ciò che concerne l’etichetta, la vita di società, e il mondo”2 . Si trattava, insomma, di applicare quello che continuava a essere ritenuto il ruolo delle donne anche al di fuori della vita familiare. A questa nuova generazione di salonnières venne affidato il compito di sostenere Bonaparte e di promuovere la cultura dell’obbedienza e dell’asservimento, proiettando così due delle principali caratteristiche femminili a tutta la società. E l’educazione divenne l’elemento indispensabile per garantirsi questa lealtà: le maisons per le fanciulle dell’alta società, le scuole per le fanciulle del popolo, gli ospedali per trovatelli, gli orfanotrofi e i conservatori furono pensati o ripensati per adeguarsi alle nuove direttrici imperiali, per garantire la crescita di sudditi utili alla società, per assicurarsi la loro lealtà e per andare incontro – anche se limitatamente – alle nuove richieste politiche e sociali portate dai venti rivoluzionari: le donne, infatti, volevano un’adeguata istruzione, di carattere illuminista – quindi razionale –, per raggiungere quella crescita intellettuale di cui necessitavano al fine di essere riconosciute come essere intelligenti al pari degli uomini e, al limite – alcune portarono infatti il discorso ancora più avanti –, in grado di ottenere anche gli stessi diritti politici. Allo stesso tempo Napoleone e i sovrani napoleonici promossero come poterono l’istruzione femminile per riportare le donne tra le mura domestiche a cui la maggior parte dei pensatori continuava a ritenere appartenessero: mogli e madri maggiormente istruite sarebbero state di maggiore supporto ai loro consorti, comprendendo meglio i loro problemi, tenendo vivo l’interesse nei loro confronti e crescendo i propri figli con un forte senso di attaccamento a Bonaparte e alla sua dinastia. L’obiettivo, quindi, fu riformare l’educazione per non riformare la società.

L’interruzione della tradizione? Modelli e istituzioni educative per le donne nell’Europa tra Sette e Ottocento

PALMIERI, GIULIA
2019

Abstract

Perché parlare di educazione femminile? E perché proprio nel periodo napoleonico? La risposta è piuttosto semplice: perché, nel passaggio tra XVIII e XIX secolo – in quello che la storiografia internazionale percepisce come il punto di cambio tra l’età moderna e l’età contemporanea – si verificarono alcune fondamentali trasformazioni che colpirono e modificarono profondamente la società, portandola sempre più verso la contemporaneità. Fra queste, appaiono di estremo interesse quelle riguardanti la storia dell’emancipazione delle donne e della loro lotta per il riconoscimento dei propri diritti, primo fra tutti quello all’istruzione. Infatti, come suggerito dalla Déclaration des Droits de la Femme et de la Citoyenne di Olympe de Gouges, e come indicato dai lavori di Anna Rossi Doria e di Annarita Buttafuoco, durante quei concitatissimi anni, una nuova immagine femminile iniziò a farsi strada sempre più insistentemente, una figura che si rifiutava di rimanere confinata alla sfera domestica e privata e che chiedeva a gran voce di abbandonare i tradizionali ruoli di moglie e di madre assegnatile da una società paternale – poco, o per niente, incline a lasciare entrare le donne negli ambiti politici, istituzionali e di dibattito pubblico –, e pronta a lottare per farsi ufficialmente riconoscere come cittadina dotata d’intelletto, in grado di essere socialmente e politicamente attiva, pienamente e perfettamente consapevole delle proprie abilità e possibilità intellettuali1 . In questo clima, in questo lento processo di riconoscimento della nuova posizione femminile, una fase di transizione particolarmente critica e decisamente controversa è rappresentata dall’età napoleonica. Tale criticità deriva principalmente dall’ambiguità della linea di azione di Bonaparte nei confronti del sesso femminile: se, da un lato, Napoleone favorì notevoli trasformazioni, soprattutto nell’ambito dell’educazione, dall’altro soppresse alcuni traguardi raggiunti dalle donne sia durante la Rivoluzione sia negli anni a essa immediatamente precedenti. Ne è un esempio il trattamento riservato ai salotti – di cui si tratterà nel capitolo I. Nel 2002, infatti, Steven Kale ha evidenziato come da una parte, negli anni del Consolato e dell’Impero,si fecero grandi sforzi per riportare i salotti allo splendore di cui godevano prima degli eventi del 1789, in quanto percepiti come luoghi di forte sociabilità, in grado non soltanto di fare nuovamente di Parigi e della Francia intera le capitali europee dell’eleganza e del piacere ma, e forse soprattutto, in grado di incoraggiare la fusione fra le vecchie élites, promuovendo il loro ritorno in patria, e la nuova nobiltà napoleonica. Dall’altra parte, però, l’Imperatore concepì salotti senza salonnières, salotti, cioè, che le donne non avrebbero potuto usare come mezzo di accesso alla vita pubblica e di potenziale opposizione al nuovo regime, ma di cui si sarebbero limitate a essere le guardiane di “tutto ciò che concerne l’etichetta, la vita di società, e il mondo”2 . Si trattava, insomma, di applicare quello che continuava a essere ritenuto il ruolo delle donne anche al di fuori della vita familiare. A questa nuova generazione di salonnières venne affidato il compito di sostenere Bonaparte e di promuovere la cultura dell’obbedienza e dell’asservimento, proiettando così due delle principali caratteristiche femminili a tutta la società. E l’educazione divenne l’elemento indispensabile per garantirsi questa lealtà: le maisons per le fanciulle dell’alta società, le scuole per le fanciulle del popolo, gli ospedali per trovatelli, gli orfanotrofi e i conservatori furono pensati o ripensati per adeguarsi alle nuove direttrici imperiali, per garantire la crescita di sudditi utili alla società, per assicurarsi la loro lealtà e per andare incontro – anche se limitatamente – alle nuove richieste politiche e sociali portate dai venti rivoluzionari: le donne, infatti, volevano un’adeguata istruzione, di carattere illuminista – quindi razionale –, per raggiungere quella crescita intellettuale di cui necessitavano al fine di essere riconosciute come essere intelligenti al pari degli uomini e, al limite – alcune portarono infatti il discorso ancora più avanti –, in grado di ottenere anche gli stessi diritti politici. Allo stesso tempo Napoleone e i sovrani napoleonici promossero come poterono l’istruzione femminile per riportare le donne tra le mura domestiche a cui la maggior parte dei pensatori continuava a ritenere appartenessero: mogli e madri maggiormente istruite sarebbero state di maggiore supporto ai loro consorti, comprendendo meglio i loro problemi, tenendo vivo l’interesse nei loro confronti e crescendo i propri figli con un forte senso di attaccamento a Bonaparte e alla sua dinastia. L’obiettivo, quindi, fu riformare l’educazione per non riformare la società.
2019
Italiano
FORMICA, MARINA
Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/218615
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIROMA2-218615