Quello della revocatoria ordinaria nel fallimento rappresenta da sempre uno dei temi sui quali maggiormente si è concentrata l’attenzione della dottrina: ciò che può farsi dipendere, in definitiva, dalla stessa collocazione sistematica dell’istituto, dalla circostanza cioè che esso rappresenta, se non addirittura lo snodo1 , quantomeno il confine tra diritto civile e diritto commerciale, e, in quanto tale, si trova particolarmente esposto alle tensioni ed ai mutamenti di entrambi; tuttavia, malgrado un interesse pressoché costante nei confronti dei numerosi e articolati problemi che il tema in esame solleva2 , esso risulta ancora tra quelli più controversi dell’intera materia fallimentare. Ma se l’interesse teorico da parte della dottrina consente ormai di ritenere quello in esame un tema “classico”, soltanto recente è la sua concreta rilevanza applicativa, dal momento che solo a seguito della riforma “organica” della legge fallimentare, e segnatamente del complessivo ridimensionamento e depotenziamento dell’operatività della revocatoria fallimentare3 , la pratica ha mostrato di interessarsi all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria nel fallimento4 . Tutto ciò ha finito tuttavia per spostare l’interesse della dottrina, assecondando peraltro la diffusa sensibilità verso i profili operativi propria della dottrina commercialistica in genere (e fallimentaristica in particolare), sulla soluzione delle singole questioni applicative: ciò che in realtà dovrebbe presupporre un sostanziale consenso almeno sulle questioni, per così dire, di vertice; al contrario, le persistenti incertezze mostrate dalla pratica sui più significativi problemi specifici, derivando proprio dalla mancanza di un inquadramento teorico del fenomeno della revoca, inducono a riprendere in considerazione innanzitutto la sistemazione teorica dell’istituto5 , al limitato scopo di mettere in evidenza i tratti caratteristici e, rispettivamente, comuni delle singole e diverse posizioni dottrinali: un’esigenza, questa, che risulta particolarmente urgente alla luce della distanza “temporale” dall’originario dibattito e, soprattutto, della circostanza che il tema attualmente si presta ad essere ricostruito in un sistema sensibilmente diverso da quello allora vigente. Se la prima circostanza può consentire di delineare il quadro degli orientamenti con maggiore chiarezza, evidenziando anche eventuali difetti di comunicabilità tra le varie prospettive proposte, l’altra permette, ed anzi addirittura richiede, di verificarne le soluzioni e, prima ancora, le argomentazioni alla luce del mutato assetto normativo. Al riguardo, si allude non tanto, e comunque non solo, all’introduzione nel Codice civile della disciplina di cui all’art. 2929-bis cod. civ., quanto piuttosto, e soprattutto, alle innovazioni sul versante fallimentare: modificazioni, queste ultime, che, seppure non intervenute sul testo della disposizione diretta a regolare l’esercizio della revocatoria ordinaria nel fallimento6 , hanno invece interessato il contesto, sistematico e normativo, nel quale risulta collocata la corrispondente disciplina. Quanto si viene dicendo suggerisce, ed anzi impone, di intraprendere l’analisi della disciplina della revocatoria ordinaria esercitata nel fallimento a partire da quella, codicistica, della revocatoria esercitata al di fuori del fallimento, e di impostarla alla luce di un confronto costante con la revocatoria fallimentare: non tanto al fine di offrire un quadro il più possibile completo della garanzia patrimoniale dell’impresa, quanto piuttosto perché solo all’esito di tale confronto sarà possibile individuare lo stesso significato sistematico della revocatoria ordinaria nel fallimento. Se infatti della revocatoria ordinaria nel fallimento è in generale chiaro che il suo esercizio risulta vantaggioso per l’intera massa dei creditori, tutto il resto è, di fatto, oscuro, a partire dal ruolo, e prima ancora, dallo stesso significato della autonoma previsione nell’ambito del sistema revocatorio fallimentare: e proprio dalla collocazione sistematica vale allora la pena di prendere le mosse. Al riguardo, si consideri fin d’ora che mentre si è soliti interrogarsi in ordine al valore precettivo da attribuire al riferimento “secondo le norme del codice civile” di cui al primo comma dell’art. 66 l. fall., la dottrina ha mostrato di trascurare la riflessione intorno al senso, e alla portata, da riconoscere al complessivo primo comma. In altri termini, la dottrina non sempre ha avvertito l’esigenza di ricercare se non una giustificazione, quantomeno una spiegazione dell’espresso riconoscimento al curatore del potere di esercitare l’azione revocatoria ordinaria nell’ambito della procedura fallimentare. La ragione di siffatta previsione, a fronte della più articolata disciplina della revocatoria fallimentare, è infatti tutt’altro che evidente. Se è sufficientemente incontroverso che la previsione della revocatoria fallimentare presuppone quantomeno un giudizio di insufficienza di quella ordinaria7 , è invece del tutto trascurata in dottrina la considerazione, solo apparentemente paradossale, che, nella prospettiva dell’ordinamento, l’aver mantenuto la seconda induce a ritenere altrettanto insufficiente, da sola, la prima, e incompleto un sistema revocatorio fallimentare privo della revocatoria ordinaria: ed è proprio a siffatta abitudine che si devono ricondurre, oltre che la rarissima applicazione di quest’ultima nel vigore della originaria legge fallimentare, talune conclusioni indebite e incongrue cui la dottrina è pervenuta. Un atteggiamento siffatto, d’altra parte, non terrebbe in adeguata considerazione da un lato l’impatto della riforma “organica” delle procedure concorsuali sulla disciplina dello strumento revocatorio che ha finito per rilanciare, in una con la sua portata applicativa, la stessa centralità sistematica della revocatoria ordinaria, dall’altro, e per certi versi soprattutto, la circostanza che la disciplina della revocatoria ordinaria rappresenta pur sempre una parte integrante del sistema revocatorio fallimentare, dalla quale non appare legittimo prescindere al fine di ricostruirne i tratti generali.
La revocatoria ordinaria nel fallimento
POMPILI, MATTIA
2019
Abstract
Quello della revocatoria ordinaria nel fallimento rappresenta da sempre uno dei temi sui quali maggiormente si è concentrata l’attenzione della dottrina: ciò che può farsi dipendere, in definitiva, dalla stessa collocazione sistematica dell’istituto, dalla circostanza cioè che esso rappresenta, se non addirittura lo snodo1 , quantomeno il confine tra diritto civile e diritto commerciale, e, in quanto tale, si trova particolarmente esposto alle tensioni ed ai mutamenti di entrambi; tuttavia, malgrado un interesse pressoché costante nei confronti dei numerosi e articolati problemi che il tema in esame solleva2 , esso risulta ancora tra quelli più controversi dell’intera materia fallimentare. Ma se l’interesse teorico da parte della dottrina consente ormai di ritenere quello in esame un tema “classico”, soltanto recente è la sua concreta rilevanza applicativa, dal momento che solo a seguito della riforma “organica” della legge fallimentare, e segnatamente del complessivo ridimensionamento e depotenziamento dell’operatività della revocatoria fallimentare3 , la pratica ha mostrato di interessarsi all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria nel fallimento4 . Tutto ciò ha finito tuttavia per spostare l’interesse della dottrina, assecondando peraltro la diffusa sensibilità verso i profili operativi propria della dottrina commercialistica in genere (e fallimentaristica in particolare), sulla soluzione delle singole questioni applicative: ciò che in realtà dovrebbe presupporre un sostanziale consenso almeno sulle questioni, per così dire, di vertice; al contrario, le persistenti incertezze mostrate dalla pratica sui più significativi problemi specifici, derivando proprio dalla mancanza di un inquadramento teorico del fenomeno della revoca, inducono a riprendere in considerazione innanzitutto la sistemazione teorica dell’istituto5 , al limitato scopo di mettere in evidenza i tratti caratteristici e, rispettivamente, comuni delle singole e diverse posizioni dottrinali: un’esigenza, questa, che risulta particolarmente urgente alla luce della distanza “temporale” dall’originario dibattito e, soprattutto, della circostanza che il tema attualmente si presta ad essere ricostruito in un sistema sensibilmente diverso da quello allora vigente. Se la prima circostanza può consentire di delineare il quadro degli orientamenti con maggiore chiarezza, evidenziando anche eventuali difetti di comunicabilità tra le varie prospettive proposte, l’altra permette, ed anzi addirittura richiede, di verificarne le soluzioni e, prima ancora, le argomentazioni alla luce del mutato assetto normativo. Al riguardo, si allude non tanto, e comunque non solo, all’introduzione nel Codice civile della disciplina di cui all’art. 2929-bis cod. civ., quanto piuttosto, e soprattutto, alle innovazioni sul versante fallimentare: modificazioni, queste ultime, che, seppure non intervenute sul testo della disposizione diretta a regolare l’esercizio della revocatoria ordinaria nel fallimento6 , hanno invece interessato il contesto, sistematico e normativo, nel quale risulta collocata la corrispondente disciplina. Quanto si viene dicendo suggerisce, ed anzi impone, di intraprendere l’analisi della disciplina della revocatoria ordinaria esercitata nel fallimento a partire da quella, codicistica, della revocatoria esercitata al di fuori del fallimento, e di impostarla alla luce di un confronto costante con la revocatoria fallimentare: non tanto al fine di offrire un quadro il più possibile completo della garanzia patrimoniale dell’impresa, quanto piuttosto perché solo all’esito di tale confronto sarà possibile individuare lo stesso significato sistematico della revocatoria ordinaria nel fallimento. Se infatti della revocatoria ordinaria nel fallimento è in generale chiaro che il suo esercizio risulta vantaggioso per l’intera massa dei creditori, tutto il resto è, di fatto, oscuro, a partire dal ruolo, e prima ancora, dallo stesso significato della autonoma previsione nell’ambito del sistema revocatorio fallimentare: e proprio dalla collocazione sistematica vale allora la pena di prendere le mosse. Al riguardo, si consideri fin d’ora che mentre si è soliti interrogarsi in ordine al valore precettivo da attribuire al riferimento “secondo le norme del codice civile” di cui al primo comma dell’art. 66 l. fall., la dottrina ha mostrato di trascurare la riflessione intorno al senso, e alla portata, da riconoscere al complessivo primo comma. In altri termini, la dottrina non sempre ha avvertito l’esigenza di ricercare se non una giustificazione, quantomeno una spiegazione dell’espresso riconoscimento al curatore del potere di esercitare l’azione revocatoria ordinaria nell’ambito della procedura fallimentare. La ragione di siffatta previsione, a fronte della più articolata disciplina della revocatoria fallimentare, è infatti tutt’altro che evidente. Se è sufficientemente incontroverso che la previsione della revocatoria fallimentare presuppone quantomeno un giudizio di insufficienza di quella ordinaria7 , è invece del tutto trascurata in dottrina la considerazione, solo apparentemente paradossale, che, nella prospettiva dell’ordinamento, l’aver mantenuto la seconda induce a ritenere altrettanto insufficiente, da sola, la prima, e incompleto un sistema revocatorio fallimentare privo della revocatoria ordinaria: ed è proprio a siffatta abitudine che si devono ricondurre, oltre che la rarissima applicazione di quest’ultima nel vigore della originaria legge fallimentare, talune conclusioni indebite e incongrue cui la dottrina è pervenuta. Un atteggiamento siffatto, d’altra parte, non terrebbe in adeguata considerazione da un lato l’impatto della riforma “organica” delle procedure concorsuali sulla disciplina dello strumento revocatorio che ha finito per rilanciare, in una con la sua portata applicativa, la stessa centralità sistematica della revocatoria ordinaria, dall’altro, e per certi versi soprattutto, la circostanza che la disciplina della revocatoria ordinaria rappresenta pur sempre una parte integrante del sistema revocatorio fallimentare, dalla quale non appare legittimo prescindere al fine di ricostruirne i tratti generali.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/218623
URN:NBN:IT:UNIROMA2-218623