Gli ultimi due decenni sono caratterizzati da dinamiche trasformative territoriali inedite. Seppur ancora non si possa parlare di crisi urbana e continuino a proseguire gli abbandoni definitivi dalle aree interne, alcuni piccoli paesi italiani sono interessati da una controtendenza: aumentano le migrazioni – per scelta, per necessità, di ritorno – che vanno a ripopolare alcune di queste realtà (Lanzani & Zanfi, 2018). Nell’ambito della costruzione di nuove dinamiche di sviluppo di quelli che vengono definiti “comuni ai margini”, numerosi studi stanno concentrando i loro sforzi sul legame tra possibili rinascite delle aree interne e mobilità internazionale. In particolare, la maturata consapevolezza del carattere strutturale del fenomeno migratorio, unita ad una progressiva decrescita demografica dei comuni ai margini, ha indotto alcuni luoghi a costruire delle politiche di accoglienza e integrazione che guardassero alle migrazioni non come un evento emergenziale di breve periodo, ma come parte di una strategia di sviluppo del territorio ben definita (Caroli Casavola et al., 2022). La progressiva inclinazione da parte dei piccoli paesi ad attuare o a ridefinire progetti di accoglienza ordinaria, anche in via complementare con politiche di coesione e di sviluppo territoriale, trova conferma nell’ultimo rapporto SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione), i cui dati mettono in luce come quasi il 50% degli enti locali che ha aderito alla Rete sia caratterizzato da dimensioni demografiche contenute, e abbia meno di 5.000 abitanti (https://www.retesai.it/). L’analisi della letteratura ha evidenziato come la maggior parte degli studi sul rapporto tra nuovi arrivi e rinascita delle aree interne siano incentrati sullo sviluppo di un quadro teorico, con limitati esperimenti di ricerca empirica sul campo. Ciò che rischia di non emergere è il punto di vista dei newcomers stessi. Per rispondere all’esigenza di analizzare le migrazioni internazionali come un fenomeno complesso, diversi ricercatori sociali, negli ultimi anni, stanno sperimentando, sempre più frequentemente, metodi visivi-partecipativi, applicati attraverso strumenti creativi, come fotografie, mostre d’arte e documentari. Non è inusuale, inoltre, che gli strumenti di indagine partecipativa vengano applicati in contesti rurali e di piccole dimensioni, dove marginalità territoriale e migrazioni hanno modo di relazionarsi (Moralli, 2024; Nikielska-Sekula, 2020). Partendo da queste considerazioni, l’obiettivo di questo lavoro è di analizzare da vicino i progetti di accoglienza e integrazione (SAI) attivi in comuni italiani di piccole dimensioni, attraverso la realizzazione di una ricerca-azione partecipata, sviluppata attraverso metodi visuali affiancati da altri strumenti di analisi qualitativa, con l’obiettivo di ascoltare le voci dei beneficiari dei progetti. L’indagine si è svolta attraverso due ricerche sul campo condotte in due comuni italiani (uno in Calabria e l’altro in Piemonte), entrambi interessati da un progressivo spopolamento e promotori/gestori di politiche di accoglienza e integrazione. Le ricerche sono state guidate da alcuni interrogativi: è davvero possibile il raggiungimento della piena autonomia e integrazione sociale ed economica dei migranti ospiti in piccoli comuni aderenti alla rete SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione)? Quali sono gli elementi che facilitano l’accoglienza e l’integrazione dei beneficiari dei progetti in territori di dimensioni ridotte e quali, invece, i fattori che ne determinano l’esclusione dalla vita sociale ed economica del paese? In che modo la presenza e il coinvolgimento dei newcomers può contribuire alla rigenerazione e allo sviluppo socioeconomico dei comuni? Per via delle specificità dei singoli territori, la ricerca non ha finalità comparative, ma intende tracciare le principali narrazioni emerse dai partecipanti all’indagine, al fine di individuare caratteristiche comuni e differenze all’interno dei due casi analizzati. Il primo capitolo riflette sul significato e sulle modalità attraverso le quali le aree marginali si sono evolute negli ultimi anni, a livello europeo e nel contesto italiano, esplorando, inoltre, il ruolo che possono avere le migrazioni internazionali come motore di sviluppo in questi territori. La seconda sezione approfondisce l’evoluzione e le motivazioni delle migrazioni in Europa e in Italia, mentre il terzo capitolo esplora il contributo della sociologia visuale e della ricerca partecipativa agli studi migratori, e i suoi strumenti e campi di applicazione. Il quarto capitolo riporta il funzionamento delle politiche di accoglienza e integrazione all’interno del contesto italiano, con particolare riferimento al sistema di seconda accoglienza e la sua declinazione a livello locale. Il quinto e il sesto capitolo sono dedicati, infine, alla metodologia di indagine, alla presentazione dei casi di studio, allo svolgimento e ai risultati della ricerca. La metodologia di indagine principale utilizzata durante le field research è stata quella del photovoice, un metodo di ricerca-azione partecipata che, attraverso la fotografia, mira a creare le condizioni in cui i partecipanti, generalmente persone escluse dai processi decisionali, abbiano il potere di far sentire la propria voce (Wang, 1999). Questo metodo affonda le sue radici nella teoria dell’empowerment e prevede che i ricercatori lavorino in collaborazione con i partecipanti e non in loro vece; viene spesso utilizzato per promuovere un cambiamento nella vita di molti gruppi oppressi e privati dei diritti umani, compresi i rifugiati e altre vittime di violenza politica (Green & Kloos, 2009). Per rendere questo lavoro di ricerca maggiormente robusto, al photovoice sono state affiancate due tecniche di rilevazione dei dati: i focus group e le interviste a testimoni privilegiati, che hanno confermato, approfondito, o confutato le ipotesi teoriche emerse successivamente alla fase di ricerca-azione partecipata. Contestualmente, sono state appuntate delle note di campo basate sull’osservazione/partecipazione alle attività simboliche e materiali avvenute durante il processo di ricerca. L'uso di una metodologia partecipativa, seppur non esente da alcune criticità, si è rivelata particolarmente utile per promuovere il coinvolgimento dei partecipanti in qualità di cittadini attivi, consentendo la co-costruzione di ipotesi condivise al fine di rendere i luoghi del vivere quotidiano maggiormente accessibili e accoglienti per tutta la comunità. Tuttavia, le pluralità di voci ascoltate sembrano non essere completamente allineate con l’idea che alcuni responsabili politici e del terzo settore, operanti nei comuni interessati, hanno rispetto ai temi dell’accoglienza e dell’integrazione. Nello specifico, in un territorio più che un altro, è emerso un sentimento di indifferenza rispetto ai reali bisogni dei nuovi residenti, che non possono essere soddisfatti unicamente attraverso interventi o eventi saltuari organizzati in determinati periodi dell’anno. Inoltre, la mancanza, in entrambi i casi, di un programma specifico per l’integrazione a livello comunale, mina – in mancanza di una visione di lungo periodo - l’impatto positivo che potrebbero avere i newcomers sui luoghi colpiti, ancora oggi, da un progressivo abbandono.

Co-costruire una narrazione alternativa del fenomeno migratorio: evidenze a partire da una ricerca visuale partecipativa in due comuni delle aree interne

LANG, GIULIA
2025

Abstract

Gli ultimi due decenni sono caratterizzati da dinamiche trasformative territoriali inedite. Seppur ancora non si possa parlare di crisi urbana e continuino a proseguire gli abbandoni definitivi dalle aree interne, alcuni piccoli paesi italiani sono interessati da una controtendenza: aumentano le migrazioni – per scelta, per necessità, di ritorno – che vanno a ripopolare alcune di queste realtà (Lanzani & Zanfi, 2018). Nell’ambito della costruzione di nuove dinamiche di sviluppo di quelli che vengono definiti “comuni ai margini”, numerosi studi stanno concentrando i loro sforzi sul legame tra possibili rinascite delle aree interne e mobilità internazionale. In particolare, la maturata consapevolezza del carattere strutturale del fenomeno migratorio, unita ad una progressiva decrescita demografica dei comuni ai margini, ha indotto alcuni luoghi a costruire delle politiche di accoglienza e integrazione che guardassero alle migrazioni non come un evento emergenziale di breve periodo, ma come parte di una strategia di sviluppo del territorio ben definita (Caroli Casavola et al., 2022). La progressiva inclinazione da parte dei piccoli paesi ad attuare o a ridefinire progetti di accoglienza ordinaria, anche in via complementare con politiche di coesione e di sviluppo territoriale, trova conferma nell’ultimo rapporto SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione), i cui dati mettono in luce come quasi il 50% degli enti locali che ha aderito alla Rete sia caratterizzato da dimensioni demografiche contenute, e abbia meno di 5.000 abitanti (https://www.retesai.it/). L’analisi della letteratura ha evidenziato come la maggior parte degli studi sul rapporto tra nuovi arrivi e rinascita delle aree interne siano incentrati sullo sviluppo di un quadro teorico, con limitati esperimenti di ricerca empirica sul campo. Ciò che rischia di non emergere è il punto di vista dei newcomers stessi. Per rispondere all’esigenza di analizzare le migrazioni internazionali come un fenomeno complesso, diversi ricercatori sociali, negli ultimi anni, stanno sperimentando, sempre più frequentemente, metodi visivi-partecipativi, applicati attraverso strumenti creativi, come fotografie, mostre d’arte e documentari. Non è inusuale, inoltre, che gli strumenti di indagine partecipativa vengano applicati in contesti rurali e di piccole dimensioni, dove marginalità territoriale e migrazioni hanno modo di relazionarsi (Moralli, 2024; Nikielska-Sekula, 2020). Partendo da queste considerazioni, l’obiettivo di questo lavoro è di analizzare da vicino i progetti di accoglienza e integrazione (SAI) attivi in comuni italiani di piccole dimensioni, attraverso la realizzazione di una ricerca-azione partecipata, sviluppata attraverso metodi visuali affiancati da altri strumenti di analisi qualitativa, con l’obiettivo di ascoltare le voci dei beneficiari dei progetti. L’indagine si è svolta attraverso due ricerche sul campo condotte in due comuni italiani (uno in Calabria e l’altro in Piemonte), entrambi interessati da un progressivo spopolamento e promotori/gestori di politiche di accoglienza e integrazione. Le ricerche sono state guidate da alcuni interrogativi: è davvero possibile il raggiungimento della piena autonomia e integrazione sociale ed economica dei migranti ospiti in piccoli comuni aderenti alla rete SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione)? Quali sono gli elementi che facilitano l’accoglienza e l’integrazione dei beneficiari dei progetti in territori di dimensioni ridotte e quali, invece, i fattori che ne determinano l’esclusione dalla vita sociale ed economica del paese? In che modo la presenza e il coinvolgimento dei newcomers può contribuire alla rigenerazione e allo sviluppo socioeconomico dei comuni? Per via delle specificità dei singoli territori, la ricerca non ha finalità comparative, ma intende tracciare le principali narrazioni emerse dai partecipanti all’indagine, al fine di individuare caratteristiche comuni e differenze all’interno dei due casi analizzati. Il primo capitolo riflette sul significato e sulle modalità attraverso le quali le aree marginali si sono evolute negli ultimi anni, a livello europeo e nel contesto italiano, esplorando, inoltre, il ruolo che possono avere le migrazioni internazionali come motore di sviluppo in questi territori. La seconda sezione approfondisce l’evoluzione e le motivazioni delle migrazioni in Europa e in Italia, mentre il terzo capitolo esplora il contributo della sociologia visuale e della ricerca partecipativa agli studi migratori, e i suoi strumenti e campi di applicazione. Il quarto capitolo riporta il funzionamento delle politiche di accoglienza e integrazione all’interno del contesto italiano, con particolare riferimento al sistema di seconda accoglienza e la sua declinazione a livello locale. Il quinto e il sesto capitolo sono dedicati, infine, alla metodologia di indagine, alla presentazione dei casi di studio, allo svolgimento e ai risultati della ricerca. La metodologia di indagine principale utilizzata durante le field research è stata quella del photovoice, un metodo di ricerca-azione partecipata che, attraverso la fotografia, mira a creare le condizioni in cui i partecipanti, generalmente persone escluse dai processi decisionali, abbiano il potere di far sentire la propria voce (Wang, 1999). Questo metodo affonda le sue radici nella teoria dell’empowerment e prevede che i ricercatori lavorino in collaborazione con i partecipanti e non in loro vece; viene spesso utilizzato per promuovere un cambiamento nella vita di molti gruppi oppressi e privati dei diritti umani, compresi i rifugiati e altre vittime di violenza politica (Green & Kloos, 2009). Per rendere questo lavoro di ricerca maggiormente robusto, al photovoice sono state affiancate due tecniche di rilevazione dei dati: i focus group e le interviste a testimoni privilegiati, che hanno confermato, approfondito, o confutato le ipotesi teoriche emerse successivamente alla fase di ricerca-azione partecipata. Contestualmente, sono state appuntate delle note di campo basate sull’osservazione/partecipazione alle attività simboliche e materiali avvenute durante il processo di ricerca. L'uso di una metodologia partecipativa, seppur non esente da alcune criticità, si è rivelata particolarmente utile per promuovere il coinvolgimento dei partecipanti in qualità di cittadini attivi, consentendo la co-costruzione di ipotesi condivise al fine di rendere i luoghi del vivere quotidiano maggiormente accessibili e accoglienti per tutta la comunità. Tuttavia, le pluralità di voci ascoltate sembrano non essere completamente allineate con l’idea che alcuni responsabili politici e del terzo settore, operanti nei comuni interessati, hanno rispetto ai temi dell’accoglienza e dell’integrazione. Nello specifico, in un territorio più che un altro, è emerso un sentimento di indifferenza rispetto ai reali bisogni dei nuovi residenti, che non possono essere soddisfatti unicamente attraverso interventi o eventi saltuari organizzati in determinati periodi dell’anno. Inoltre, la mancanza, in entrambi i casi, di un programma specifico per l’integrazione a livello comunale, mina – in mancanza di una visione di lungo periodo - l’impatto positivo che potrebbero avere i newcomers sui luoghi colpiti, ancora oggi, da un progressivo abbandono.
18-lug-2025
Italiano
MOINI, Giulio
DE VITA, LUISA
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
211
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/223248
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIROMA1-223248