L'interesse per il processo de societate, con particolare riguardo alla disciplina dettata in tema di misure cautelari applicabili agli enti, nasce senza dubbio dalla considerazione che il d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231 rappresenta uno dei provvedimenti pi๠rilevanti e pi๠significativi degli ultimi decenni nel panorama normativo italiano, in quanto l'introduzione, per effetto del medesimo, di una diretta responsabilità sanzionatoria dei soggetti collettivi dipendente da reato costituisce una svolta epocale, specie per coloro che ritengono che con esso sia stato definitivamente messo al bando il †œcostoso†� principio societas delinquere (et puniri) non potest. Esigenze di politica criminale, tese ad introdurre risposte sanzionatorie per fronteggiare la sempre pi๠dilagante criminalità d'impresa, da un lato, e sollecitazioni provenienti in ambito comunitario ed internazionale, finalizzate alla armonizzazione delle risposte sanzionatorie degli Stati, dall'altro, hanno indotto il legislatore, delegante prima e delegato poi, a disciplinare la materia, superando i dubbi sull'an della responsabilità . Con riferimento al quomodo della sua formulazione, la l. delega n. 300 del 2000 e il d. lgs n. 231 del 2001 hanno qualificato come amministrativa la forma di responsabilità addebitabile all'impresa e, al contempo, hanno previsto che il suo accertamento avvenga ad opera del giudice penale con le forme del relativo processo. Tale peculiarità †" giustificata dalla necessità di coniugare efficienza e garanzie †" ha originato la querelle circa la reale natura (amministrativa, penale o mista, tale da dar luogo alla nascita di un tertium genus) della responsabilità introdotta dal d. lgs. n. 231 del 2001. Si ਠconstatato che la vexata quaestio non costituisce esercizio esegetico fine a se stesso, bensଠrisponde all'esigenza di comprendere quali siano i principi informatori della disciplina, allo scopo di verificarne anche l'ortodossia costituzionale. Ad esempio, stabilire che, al di là della etichetta adottata, si tratti in realtà di responsabilità penale significa, in primo luogo, dover superare - sul piano della dogmatica - i tradizionali ostacoli (innanzitutto il principio della responsabilità penale personale e quello rieducativo della pena ex art. 27 commi 1 e 3 Cost.) al riconoscimento di una siffatta responsabilità in capo alle persone giuridiche. In secondo luogo, vuol dire analizzare e verificare se la costruzione dell'illecito contestabile all'ente e il relativo procedimento di accertamento rispettino i canoni costituzionali propri della citata responsabilità , sia sul piano del diritto sostanziale sia su quello del diritto processuale. Sotto quest'ultimo profilo, in particolare, vengono chiamati in causa la garanzia del giudice terzo ed imparziale, il diritto ad una (effettiva) difesa, le regole del giusto processo e, non ultimo, il principio della presunzione di non colpevolezza, intesa sia come regola di trattamento - che vieta l'assimilazione dell'imputato al colpevole - sia come regola di giudizio - che impone all'accusa l'onere della prova della colpevolezza - sia, ancora, come norma fondante il riconoscimento del diritto al silenzio, con il divieto di far discendere dall'esercizio di tale facoltà conseguenze sfavorevoli per l'imputato (e, a maggior ragione, per l'indagato). Evidente che ogni qual volta si palesasse una loro ingiustificata ed irragionevole violazione si prospetterebbe l'incostituzionalità della disciplina. Tuttavia, anche qualora non si volesse giungere a qualificare come propriamente penale la natura della responsabilità in parola, non potrebbero essere revocati in dubbio i principi costituzionali che governano il processo penale, riproponendosi ugualmente la necessità di verificare il loro rigoroso rispetto, pena †" ancora †" l'illegittimità della disciplina. Tale conclusione, sul piano dell'accertamento processuale dell'illecito, consegue proprio all'opzione processual-penalistica del legislatore. Infatti, l'aver affidato l'accertamento dell'illecito amministrativo degli enti al giudice penale in seno al relativo processo (oltre che l'aver attinto ai meccanismi imputativi e punitivi dell'universo penalistico) rappresenta qualcosa in pià¹, in termini di garanzia, rispetto all'etichetta formale adottata dal legislatore. Poichਠla ratio posta a fondamento della scelta del processo penale come luogo di accertamento della responsabilità della persona giuridica risiede proprio nella necessità di assicurare alla medesima standards di garanzie maggiori di quelli offerti in sede di procedimento amministrativo (sul paradigma delineato dalla l. 689 del 1981) e poichਠtali garanzie affondano le loro radici nella Costituzione, ne consegue che le previsioni sovraordinate inerenti i diritti e le facoltà dell'imputato nel processo penale sono destinate ad assisterlo sia che questi abbia una natura fisica, sia che abbia natura giuridica, indipendentemente appunto dalla qualifica della natura della responsabilità chiamata in causa. Dunque, pi๠che alimentare la diatriba sulla reale etichetta da attribuire alla responsabilità in esame, si ਠcercato di verificare la †œqualità †� dell'impianto garantistico offerto alla societas nel corso del procedimento di accertamento della medesima. Per questa via, si ਠconstatato che la normativa, specie quella relativa alle cautele, appare poco rispettosa della Grundnorm scritta nell'art. 27 comma 2 Cost. da cui dipende il riconoscimento della presunzione di non colpevolezza dell'imputato. In effetti, il legislatore del 2001 pare ricorrere al processo penale, non tanto per perseguire le sue precipue finalità di accertamento dei fatti e di applicazione della pena, quanto piuttosto per realizzare impropri scopi di prevenzione generale e speciale. In altri termini, il processo viene utilizzato come †œmessaggio†�, attribuendogli fini di stigmatizzazione, di intimidazione, di prevenzione e di rieducazione che non gli sono propri. Ciಠਠin particolar modo testimoniato dalle inedite finalità di recupero alla legalità dell'ente-imputato, che impregnano la disciplina relativa alle cautele. Nell'ambito dell'accertamento della responsabilità dell'ente le misure cautelari applicate contra societatem vengono, infatti, piegate ad esigenza di emenda e di rieducazione, servendo a propiziare l'adozione di condotte riparatorie o riorganizzative e non a tutelare esigenze funzionali al processo. La coincidenza tra tipologia delle cautele e la corrispondente morfologia delle sanzioni incide sull'identità funzionale delle prime, che finisce per essere eccessivamente appiattita sul crisma sanzionatorio. Proprio sul versante teleologico, infatti, viene meno l'essenza dell'istituito cautelare (annullando la differenziazione tra cautele e sanzioni), in quanto il periculum in mora ਠesclusivamente identificato con il rischio di reiterazione dell'illecito: ne scaturisce un intervento cautelare marcatamente orientato verso obiettivi di prevenzione speciale, vale a dire obiettivi di matrice extraprocessuale, certamente pi๠coerenti con un intervento di tipo sanzionatorio. Si riaffacciano pertanto riserve d'ordine costituzionale non dissimili da quelle prospettate riguardo alla omologa previsione codicistica di cui all'art. 274 comma 2 lett. c c.p.p.. E', in effetti, intuibile come il fine assegnato alle misure interdittive sottintenda una equivoca fungibilità tra cautele e sanzioni, di dubbia conformità al canone costituzionale di cui all'art. 27 comma 2 Cost. inteso come regola che vieta l'assimilazione dell'imputato al colpevole.
Il sistema cautelare nel processo penale de societate tra esigenze di effettività e profili di incostituzionalità
-
2009
Abstract
L'interesse per il processo de societate, con particolare riguardo alla disciplina dettata in tema di misure cautelari applicabili agli enti, nasce senza dubbio dalla considerazione che il d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231 rappresenta uno dei provvedimenti pi๠rilevanti e pi๠significativi degli ultimi decenni nel panorama normativo italiano, in quanto l'introduzione, per effetto del medesimo, di una diretta responsabilità sanzionatoria dei soggetti collettivi dipendente da reato costituisce una svolta epocale, specie per coloro che ritengono che con esso sia stato definitivamente messo al bando il †œcostoso†� principio societas delinquere (et puniri) non potest. Esigenze di politica criminale, tese ad introdurre risposte sanzionatorie per fronteggiare la sempre pi๠dilagante criminalità d'impresa, da un lato, e sollecitazioni provenienti in ambito comunitario ed internazionale, finalizzate alla armonizzazione delle risposte sanzionatorie degli Stati, dall'altro, hanno indotto il legislatore, delegante prima e delegato poi, a disciplinare la materia, superando i dubbi sull'an della responsabilità . Con riferimento al quomodo della sua formulazione, la l. delega n. 300 del 2000 e il d. lgs n. 231 del 2001 hanno qualificato come amministrativa la forma di responsabilità addebitabile all'impresa e, al contempo, hanno previsto che il suo accertamento avvenga ad opera del giudice penale con le forme del relativo processo. Tale peculiarità †" giustificata dalla necessità di coniugare efficienza e garanzie †" ha originato la querelle circa la reale natura (amministrativa, penale o mista, tale da dar luogo alla nascita di un tertium genus) della responsabilità introdotta dal d. lgs. n. 231 del 2001. Si ਠconstatato che la vexata quaestio non costituisce esercizio esegetico fine a se stesso, bensଠrisponde all'esigenza di comprendere quali siano i principi informatori della disciplina, allo scopo di verificarne anche l'ortodossia costituzionale. Ad esempio, stabilire che, al di là della etichetta adottata, si tratti in realtà di responsabilità penale significa, in primo luogo, dover superare - sul piano della dogmatica - i tradizionali ostacoli (innanzitutto il principio della responsabilità penale personale e quello rieducativo della pena ex art. 27 commi 1 e 3 Cost.) al riconoscimento di una siffatta responsabilità in capo alle persone giuridiche. In secondo luogo, vuol dire analizzare e verificare se la costruzione dell'illecito contestabile all'ente e il relativo procedimento di accertamento rispettino i canoni costituzionali propri della citata responsabilità , sia sul piano del diritto sostanziale sia su quello del diritto processuale. Sotto quest'ultimo profilo, in particolare, vengono chiamati in causa la garanzia del giudice terzo ed imparziale, il diritto ad una (effettiva) difesa, le regole del giusto processo e, non ultimo, il principio della presunzione di non colpevolezza, intesa sia come regola di trattamento - che vieta l'assimilazione dell'imputato al colpevole - sia come regola di giudizio - che impone all'accusa l'onere della prova della colpevolezza - sia, ancora, come norma fondante il riconoscimento del diritto al silenzio, con il divieto di far discendere dall'esercizio di tale facoltà conseguenze sfavorevoli per l'imputato (e, a maggior ragione, per l'indagato). Evidente che ogni qual volta si palesasse una loro ingiustificata ed irragionevole violazione si prospetterebbe l'incostituzionalità della disciplina. Tuttavia, anche qualora non si volesse giungere a qualificare come propriamente penale la natura della responsabilità in parola, non potrebbero essere revocati in dubbio i principi costituzionali che governano il processo penale, riproponendosi ugualmente la necessità di verificare il loro rigoroso rispetto, pena †" ancora †" l'illegittimità della disciplina. Tale conclusione, sul piano dell'accertamento processuale dell'illecito, consegue proprio all'opzione processual-penalistica del legislatore. Infatti, l'aver affidato l'accertamento dell'illecito amministrativo degli enti al giudice penale in seno al relativo processo (oltre che l'aver attinto ai meccanismi imputativi e punitivi dell'universo penalistico) rappresenta qualcosa in pià¹, in termini di garanzia, rispetto all'etichetta formale adottata dal legislatore. Poichਠla ratio posta a fondamento della scelta del processo penale come luogo di accertamento della responsabilità della persona giuridica risiede proprio nella necessità di assicurare alla medesima standards di garanzie maggiori di quelli offerti in sede di procedimento amministrativo (sul paradigma delineato dalla l. 689 del 1981) e poichਠtali garanzie affondano le loro radici nella Costituzione, ne consegue che le previsioni sovraordinate inerenti i diritti e le facoltà dell'imputato nel processo penale sono destinate ad assisterlo sia che questi abbia una natura fisica, sia che abbia natura giuridica, indipendentemente appunto dalla qualifica della natura della responsabilità chiamata in causa. Dunque, pi๠che alimentare la diatriba sulla reale etichetta da attribuire alla responsabilità in esame, si ਠcercato di verificare la †œqualità †� dell'impianto garantistico offerto alla societas nel corso del procedimento di accertamento della medesima. Per questa via, si ਠconstatato che la normativa, specie quella relativa alle cautele, appare poco rispettosa della Grundnorm scritta nell'art. 27 comma 2 Cost. da cui dipende il riconoscimento della presunzione di non colpevolezza dell'imputato. In effetti, il legislatore del 2001 pare ricorrere al processo penale, non tanto per perseguire le sue precipue finalità di accertamento dei fatti e di applicazione della pena, quanto piuttosto per realizzare impropri scopi di prevenzione generale e speciale. In altri termini, il processo viene utilizzato come †œmessaggio†�, attribuendogli fini di stigmatizzazione, di intimidazione, di prevenzione e di rieducazione che non gli sono propri. Ciಠਠin particolar modo testimoniato dalle inedite finalità di recupero alla legalità dell'ente-imputato, che impregnano la disciplina relativa alle cautele. Nell'ambito dell'accertamento della responsabilità dell'ente le misure cautelari applicate contra societatem vengono, infatti, piegate ad esigenza di emenda e di rieducazione, servendo a propiziare l'adozione di condotte riparatorie o riorganizzative e non a tutelare esigenze funzionali al processo. La coincidenza tra tipologia delle cautele e la corrispondente morfologia delle sanzioni incide sull'identità funzionale delle prime, che finisce per essere eccessivamente appiattita sul crisma sanzionatorio. Proprio sul versante teleologico, infatti, viene meno l'essenza dell'istituito cautelare (annullando la differenziazione tra cautele e sanzioni), in quanto il periculum in mora ਠesclusivamente identificato con il rischio di reiterazione dell'illecito: ne scaturisce un intervento cautelare marcatamente orientato verso obiettivi di prevenzione speciale, vale a dire obiettivi di matrice extraprocessuale, certamente pi๠coerenti con un intervento di tipo sanzionatorio. Si riaffacciano pertanto riserve d'ordine costituzionale non dissimili da quelle prospettate riguardo alla omologa previsione codicistica di cui all'art. 274 comma 2 lett. c c.p.p.. E', in effetti, intuibile come il fine assegnato alle misure interdittive sottintenda una equivoca fungibilità tra cautele e sanzioni, di dubbia conformità al canone costituzionale di cui all'art. 27 comma 2 Cost. inteso come regola che vieta l'assimilazione dell'imputato al colpevole.I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14242/232402
URN:NBN:IT:UNITS-232402