Parkway, strip, viadotto e autostrada sono alcune delle tipologie stradali generate, dal secolo scorso a oggi, direttamente dall'automobile e in cui, per ragioni di sicurezza e comfort, ਠprevista la totale separazione tra flussi e forme di abitabilità dello spazio, tra l'automobilista e il pedone: per normativa, tutti i possibili utenti non motorizzati e qualsiasi pratica che non contempli il movimento veloce ne vengono infatti escluse. Questa dinamica interessa anche le maglie frammentate della città diffusa contemporanea, in cui l'automobile rappresenta l'interfaccia necessaria per poter vivere un †œterritorio allargato†�, dove la strada ਠanche motore di quella particolare urbanità che, sempre a una certa distanza, si estende lungo le reti e che potremmo definire come effetto urbano. Un tempo la gente stava sulle strade1, i pedoni al centro e carri, cavalli e altri mezzi ai lati, il dominio dell'automobile ha invertito questo rapporto, confinando, nella migliore delle ipotesi, ai bordi queste attività e utenti. Le strade delle le automobili si sono cosଠtrasformate in uno dei pi๠grossi problemi per il funzionamento delle città , non solo per la presenza invasiva del †œfenomeno infrastrutturale†�, ma anche e soprattutto perchà© esse rappresentano sempre pi๠un limite invalicabile per tutte le altre pratiche urbane; la strada ਠdiventato un sistema chiuso, che a sua volta genera discontinuità e forti vincoli per gli utenti non meccanizzati. Va aggiunto che l'influenza di un'autostrada, ad esempio, non si limita allo spazio dei sedimi carrabili, ma porta con se un perimetro molto pi๠ampio determinato dalle fasce di rispetto o pertinenza, attraverso imponenti manufatti di sostegno, nel caso di viadotti e altri rilevati, e con altrettanto importanti dispositivi di separazione e chiusura sia tecnica - gli spartitraffico - che sensoriale, barriere acustiche o visive. Se consideriamo poi le autostrade urbane, che attraversano densi tessuti residenziali, tali effetti non possono che aumentare. Questi grandi tubi per il traffico, che passano ovunque, secondo i principi della via pi๠breve, della velocità di progetto degli standard di sicurezza, si configurano come delle vere e proprie eterotopie, dei mondi paralleli, organizzati da regole proprie che frequentemente non integrano alcuna relazione con i contesti attraversati. Di fronte alla †œnecessità tecnica†� espressa da queste enclave del movimento, l'unico atteggiamento possibile sembra essere la subordinazione, la città cresce sotto, sopra, di fianco e negli interstizi, l'architettura piega i propri codici alle esigenze del manufatto viabilistico. Una condizione che puಠanche essere sfruttata vantaggiosamente: si pensi al museo Guggenheim a Bilbao e a come si †œadegua†� al viadotto soprastante. Il famoso intervento di Frank O. Gehry rimane perಠun esempio raro e isolato, l'ordinario si consuma tra barriere antirumore, guard-rail, isole spartitraffico, muri di separazione, piloni e intradossi di viadotti, elementi tanto banali quanto invasivi, i cui caratteri sono determinati dai costi, dalla normativa e dai regolamenti per la sicurezza. Elementi permanenti e †œduri†�, che chiudono l'orizzonte, che impediscono il passaggio, o che costringono i flussi lenti della città a traiettorie arzigogolate, lungo passerelle aeree o sottopassi, in un regime di separazione, che attraverso dispositivi e manufatti tecnici garantisce distanza tra le diverse velocità , generando contemporaneamente un largo †œconsumo di spazio†� e di risorse. Se questo ਠl'atteggiamento pi๠diffuso, esiste tuttavia un'ampia serie di esperienze progettuali e di teorie che hanno sperimentato forme di riavvicinamento ai canali di traffico, in aderenza ai flussi, proponendo forme di condivisione dello spazio-strada, di promiscuità d'uso, di ibridazione tra i manufatti tecnici e gli spazi dell'abita- Introduzione re, di integrazione dei sedimi automobilistici con gli spazi per il pedone, facendo del binomio velocità /frizioni una vera e propria strategia del progetto stradale. Tali esperienze dimostrano che le strade delle grandi reti che attraversano i contesti naturali e urbani possono smettere di essere esclusivamente concepite come canali che smistano i flussi secondo la sola logica dell'efficienza idraulica. Dimostrano che anche le strade delle automobili, in cui la velocità determina distanze, forme e usi, possono diventare spazi in cui vivere e soprattutto in cui stare. Questa ricerca ਠorientata, attraverso la messa in campo di tre livelli di lettura (spessori, codici e interfacce) a individuare le forme, le misure, le caratteristiche e le strategie del possibile avvicinamento e commistione dei flussi verso usi multipli delle infrastrutture di comunicazione, specialmente di quelle veloci. Questi tre livelli corrispondono anche a delle grandezze fisiche, dimensioni e dispositivi della strada, ed in particolare lo spessore ਠinteso come profondità , o spazio di emanazione connesso allo spazio-strada (sotto, sopra, affianco e tra), e non sempre usato dalle automobili; i codici sono intesi come le relazioni che legano le tre dimensioni principali della strada (sezione, tracciato e bordo); l'interfaccia ਠinfine considerata come l'insieme degli spazi-soglia che dividono e connettono il sistema strada con gli altri sistemi locali. L'intenzione ਠdi superare il dibattito attualmente polarizzato tra due posizioni inconciliabili: la prima legata a una idea di strada intesa come fattore di sviluppo a tutti i costi, incurante delle ragioni del territorio, la seconda espressa da chi vede ogni sviluppo infrastrutturale come una minaccia intollerabile all'ambiente. Si ਠquindi deciso di ripartire dalla questione primaria, vale a dire quella legata allo spazio, laddove il campo privilegiato di osservazione ਠquello del canale di traffico e la possibilità di trasformarlo in spaziostrada, ovvero in supporto dotato di un proprio specifico spessore disponibile alle molteplici funzioni associabili al movimento. In particolare, la prima parte sviluppa una riflessione sulle forme dello spessore a partire dall'ambiguità dei due principali paradigmi dello spazio-strada, ovvero quello della strada come macroarchitettura e dell'edificio come organismo complesso che integra anche la strada, e quello dello spazio-strada †œin bilico†� tra luogo e collegamento. Si ਠquindi cercato di individuarne l'origine attraverso l'osservazione di prototipi, di progetti instauratori, messi a confronto con le proposte delle avanguardie, le utopie, le visioni e le teorie degli architetti poi assunte come nucleo tematico da cui partire per una interpretazione del significato plurale della strada, da spazio aperto,inteso come superficie, a quello di manufatto, inteso come volume. Questa parte ਠdivisa in tre sezioni, di cui la prima ha come obiettivo la costruzione di un lessico, la seconda la messa a fuoco del rapporto tra infrastruttura e architettura attraverso le †œprime architetture della strada†� e la terza la sistematizzazione dei materiali iconografici e d'archivio di due casi studio, rispettivamente sulle possibilità di †œurbanizzazione†� delle autostrade italiane (Autilia di GiಠPonti) e sulla capacità della strada di diventare edificio complesso, macroarchitettura alla scala della città (Coliseum Center di Monaco e Luccichenti). La diffusione del mezzo motorizzato ha avuto un ruolo fondamentale non solo nella trasformazione dei modi di abitare il territorio, ma soprattutto riguardo agli effetti morfologici e funzionali sulle strade, divenute in diverse esperienze (raccolte e sistematizzate all'interno di questa ricerca) la ragione insediativa di architetture e sistemi urbani. La seconda e pi๠ampia parte di questa ricerca si occupa dei codici dello spazio-strada, intesi come regole e misure dello spessore.
SPESSORI, CODICI, INTERFACCE. ARCHITETTURE DELLA STRADA
-
2007
Abstract
Parkway, strip, viadotto e autostrada sono alcune delle tipologie stradali generate, dal secolo scorso a oggi, direttamente dall'automobile e in cui, per ragioni di sicurezza e comfort, ਠprevista la totale separazione tra flussi e forme di abitabilità dello spazio, tra l'automobilista e il pedone: per normativa, tutti i possibili utenti non motorizzati e qualsiasi pratica che non contempli il movimento veloce ne vengono infatti escluse. Questa dinamica interessa anche le maglie frammentate della città diffusa contemporanea, in cui l'automobile rappresenta l'interfaccia necessaria per poter vivere un †œterritorio allargato†�, dove la strada ਠanche motore di quella particolare urbanità che, sempre a una certa distanza, si estende lungo le reti e che potremmo definire come effetto urbano. Un tempo la gente stava sulle strade1, i pedoni al centro e carri, cavalli e altri mezzi ai lati, il dominio dell'automobile ha invertito questo rapporto, confinando, nella migliore delle ipotesi, ai bordi queste attività e utenti. Le strade delle le automobili si sono cosଠtrasformate in uno dei pi๠grossi problemi per il funzionamento delle città , non solo per la presenza invasiva del †œfenomeno infrastrutturale†�, ma anche e soprattutto perchà© esse rappresentano sempre pi๠un limite invalicabile per tutte le altre pratiche urbane; la strada ਠdiventato un sistema chiuso, che a sua volta genera discontinuità e forti vincoli per gli utenti non meccanizzati. Va aggiunto che l'influenza di un'autostrada, ad esempio, non si limita allo spazio dei sedimi carrabili, ma porta con se un perimetro molto pi๠ampio determinato dalle fasce di rispetto o pertinenza, attraverso imponenti manufatti di sostegno, nel caso di viadotti e altri rilevati, e con altrettanto importanti dispositivi di separazione e chiusura sia tecnica - gli spartitraffico - che sensoriale, barriere acustiche o visive. Se consideriamo poi le autostrade urbane, che attraversano densi tessuti residenziali, tali effetti non possono che aumentare. Questi grandi tubi per il traffico, che passano ovunque, secondo i principi della via pi๠breve, della velocità di progetto degli standard di sicurezza, si configurano come delle vere e proprie eterotopie, dei mondi paralleli, organizzati da regole proprie che frequentemente non integrano alcuna relazione con i contesti attraversati. Di fronte alla †œnecessità tecnica†� espressa da queste enclave del movimento, l'unico atteggiamento possibile sembra essere la subordinazione, la città cresce sotto, sopra, di fianco e negli interstizi, l'architettura piega i propri codici alle esigenze del manufatto viabilistico. Una condizione che puಠanche essere sfruttata vantaggiosamente: si pensi al museo Guggenheim a Bilbao e a come si †œadegua†� al viadotto soprastante. Il famoso intervento di Frank O. Gehry rimane perಠun esempio raro e isolato, l'ordinario si consuma tra barriere antirumore, guard-rail, isole spartitraffico, muri di separazione, piloni e intradossi di viadotti, elementi tanto banali quanto invasivi, i cui caratteri sono determinati dai costi, dalla normativa e dai regolamenti per la sicurezza. Elementi permanenti e †œduri†�, che chiudono l'orizzonte, che impediscono il passaggio, o che costringono i flussi lenti della città a traiettorie arzigogolate, lungo passerelle aeree o sottopassi, in un regime di separazione, che attraverso dispositivi e manufatti tecnici garantisce distanza tra le diverse velocità , generando contemporaneamente un largo †œconsumo di spazio†� e di risorse. Se questo ਠl'atteggiamento pi๠diffuso, esiste tuttavia un'ampia serie di esperienze progettuali e di teorie che hanno sperimentato forme di riavvicinamento ai canali di traffico, in aderenza ai flussi, proponendo forme di condivisione dello spazio-strada, di promiscuità d'uso, di ibridazione tra i manufatti tecnici e gli spazi dell'abita- Introduzione re, di integrazione dei sedimi automobilistici con gli spazi per il pedone, facendo del binomio velocità /frizioni una vera e propria strategia del progetto stradale. Tali esperienze dimostrano che le strade delle grandi reti che attraversano i contesti naturali e urbani possono smettere di essere esclusivamente concepite come canali che smistano i flussi secondo la sola logica dell'efficienza idraulica. Dimostrano che anche le strade delle automobili, in cui la velocità determina distanze, forme e usi, possono diventare spazi in cui vivere e soprattutto in cui stare. Questa ricerca ਠorientata, attraverso la messa in campo di tre livelli di lettura (spessori, codici e interfacce) a individuare le forme, le misure, le caratteristiche e le strategie del possibile avvicinamento e commistione dei flussi verso usi multipli delle infrastrutture di comunicazione, specialmente di quelle veloci. Questi tre livelli corrispondono anche a delle grandezze fisiche, dimensioni e dispositivi della strada, ed in particolare lo spessore ਠinteso come profondità , o spazio di emanazione connesso allo spazio-strada (sotto, sopra, affianco e tra), e non sempre usato dalle automobili; i codici sono intesi come le relazioni che legano le tre dimensioni principali della strada (sezione, tracciato e bordo); l'interfaccia ਠinfine considerata come l'insieme degli spazi-soglia che dividono e connettono il sistema strada con gli altri sistemi locali. L'intenzione ਠdi superare il dibattito attualmente polarizzato tra due posizioni inconciliabili: la prima legata a una idea di strada intesa come fattore di sviluppo a tutti i costi, incurante delle ragioni del territorio, la seconda espressa da chi vede ogni sviluppo infrastrutturale come una minaccia intollerabile all'ambiente. Si ਠquindi deciso di ripartire dalla questione primaria, vale a dire quella legata allo spazio, laddove il campo privilegiato di osservazione ਠquello del canale di traffico e la possibilità di trasformarlo in spaziostrada, ovvero in supporto dotato di un proprio specifico spessore disponibile alle molteplici funzioni associabili al movimento. In particolare, la prima parte sviluppa una riflessione sulle forme dello spessore a partire dall'ambiguità dei due principali paradigmi dello spazio-strada, ovvero quello della strada come macroarchitettura e dell'edificio come organismo complesso che integra anche la strada, e quello dello spazio-strada †œin bilico†� tra luogo e collegamento. Si ਠquindi cercato di individuarne l'origine attraverso l'osservazione di prototipi, di progetti instauratori, messi a confronto con le proposte delle avanguardie, le utopie, le visioni e le teorie degli architetti poi assunte come nucleo tematico da cui partire per una interpretazione del significato plurale della strada, da spazio aperto,inteso come superficie, a quello di manufatto, inteso come volume. Questa parte ਠdivisa in tre sezioni, di cui la prima ha come obiettivo la costruzione di un lessico, la seconda la messa a fuoco del rapporto tra infrastruttura e architettura attraverso le †œprime architetture della strada†� e la terza la sistematizzazione dei materiali iconografici e d'archivio di due casi studio, rispettivamente sulle possibilità di †œurbanizzazione†� delle autostrade italiane (Autilia di GiಠPonti) e sulla capacità della strada di diventare edificio complesso, macroarchitettura alla scala della città (Coliseum Center di Monaco e Luccichenti). La diffusione del mezzo motorizzato ha avuto un ruolo fondamentale non solo nella trasformazione dei modi di abitare il territorio, ma soprattutto riguardo agli effetti morfologici e funzionali sulle strade, divenute in diverse esperienze (raccolte e sistematizzate all'interno di questa ricerca) la ragione insediativa di architetture e sistemi urbani. La seconda e pi๠ampia parte di questa ricerca si occupa dei codici dello spazio-strada, intesi come regole e misure dello spessore.I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14242/232452
URN:NBN:IT:UNITS-232452