Lo sport generalmente àƒ¨ il luogo in cui si viene a contatto per la prima volta con la competizione; per questo sembra necessario scoprire se la competizione àƒ¨ qualcosa di buono o no. A una prima semplice analisi, la competizione crea una differenza tra vincitori e sconfitti. Lo sport non àƒ¨ ࢠdemocraticoࢠ, non ha tendenze egalitarie e anzi la sua natura àƒ¨ proprio segnare la differenza: la competizione sportiva prevede vincitori e sconfitti. Questo banale dato di fatto genera una quantitàƒÂ  di problemi apparentemente insormontabili, tutti riconducibili a una sola domanda: àƒ¨ giusto che ci siano sconfitti? Il motto à,«L'importante àƒ¨ partecipareà,» che si fa popolarmente risalire al barone de Coubertin, ri-fondatore dei Giochi Olimpici, àƒ¨ piuttosto chiaro. Di piàƒ¹, àƒ¨ inequivocabile: non conta vincere o perdere. Lo sport, quello imbevuto di ideali ࢠolimpiciࢠ, àƒ¨ un cimento in cui provare se stessi, e se si vince bene, altrimenti non se ne fa un dramma. Comunque, non vincere non àƒ¨ causa di squalifica sociale: il ࢠperdenteࢠnon esiste, nell'utopico ideale ࢠolimpicoࢠ. Purtroppo peràƒ² vediamo che nel mondo sportivo si impara anche a discriminare. Se la discriminazione vincitore/sconfitto àƒ¨ connaturata allo sport stesso, direi essenziale con terminologia aristotelica ࢠvale a dire che se non c'àƒ¨ quella non c'àƒ¨ lo sport, la discriminazione verso persone o gruppi ritenuti inferiori a priori non ha alcuna attinenza con i valori sportivi. Proveràƒ² a dimostrare che anzi proprio la competizione sportiva àƒ¨ il metodo migliore per sviluppare antidoti alla discriminazione. La discriminazione nello sport si realizza, come sostiene Michael Messner, per cerchi concentrici: al centro ci sono gli atleti, degli sport piàƒ¹ popolari; man mano che ci si allontana dal centro incontriamo atleti "minori", tifosi, donne, non tifosi, omosessuali e cosàƒ¬ via. Piàƒ¹ si àƒ¨ lontani dal centro, piàƒ¹ la discriminazione incide. Le donne in particolare hanno subito nei secoli una costante esclusione dallo sport. La filosofia femminista ha cercato anche in questo campo soluzioni alla diseguaglianza tra uomini e donne, e una soluzione particolarmente proficua mi àƒ¨ sembrata quella di Jane English: la distinzione tra basic e scarce benefits. I beni sono pochi, questo àƒ¨ un fatto: anche nello sport. Gli uomini hanno occupato il centro (Messner, di nuovo), dove godono della maggior quantitàƒÂ  di benefits escludendo tutti gli altri. A questo livello la competizione àƒ¨ spietata, un "vinci o muori" con poche regole. Jane English suggerisce che i beni ai quali la maggior parte della gente punta sono in realtàƒÂ  quelli meno necessari: la fama e la ricchezza. La English sostiene che questi scarce benefits non abbiano niente a che vedere con la pratica sportiva, non sono essenziali allo sport, si possono ottenere in qualsiasi altro modo. Chi vuole accedere allo sport non lo fa per questi beni scarsi, ma per i basic benefits come la salute psicofisica, la socializzazione, l'autostima. Quello che davvero rende lo sport cosàƒ¬ importante àƒ¨ che questi ultimi benefits non vengono consumati se aumenta il numero dei praticanti, ma in genere incrementano: non ha alcun senso privare ampie fette di popolazione di benefici che non sono consumabili, ma anzi rigenerabili. Quello che English sottintende àƒ¨ una "visione della vita buona" che considera non buona una vita priva di quei basic benefits. Il passaggio necessario quindi àƒ¨ cercare qualche giustificazione a una concezione di vita buona che comprenda i basic benefits. Ci sono diverse teorie di "vita buona": le etiche della virtàƒ¹ (da Platone e Aristotele fino al revival novecentesco, passando per Tommaso d'Aquino - senza dimenticare Confucio in Oriente) sono l'esempio piàƒ¹ immediato, ma anche le dottrine deontologiste e consequenzialiste hanno un ideale. Negli ultimi 30 anni circa un "nuovo" modello àƒ¨ stato proposto da Amartya Sen e Martha Nussbaum, in tempi diversi e indipendentemente l'uno dall'altra. La teoria che mi sembra piàƒ¹ applicabile àƒ¨ quella di Martha Nussbaum: la sua declinazione della teoria delle capacitàƒÂ  funziona meglio nel campo dello sport, rispetto a quella di Sen, perchàƒ© provvede a fornire concreti esempi di capacitàƒÂ  e funzionamenti di valore, mentre l'idea di Sen àƒ¨ non specificare praticamente nulla per ottenere uno strumento "universale". Si puàƒ² dire che Sen àƒ¨ piàƒ¹ kantiano e Nussbaum piàƒ¹ aristotelica, anche se la stessa autrice ultimamente ha accolto istanze (neo)kantiane. Martha Nussbaum àƒ¨ (neo)aristotelica: la sua distinzione tra capacitàƒÂ  e funzionamenti àƒ¨ ricalcata sulla distinzione che lo Stagirita proponeva tra potenza e atto. Le capacitàƒÂ  sono potenze (o potenzialitàƒÂ ) che il soggetto ha di funzionare, e i funzionamenti sono le capacitàƒÂ  esplicitate in azioni; quando un soggetto esercita un funzionamento ha la capacitàƒÂ  di farlo, e sceglie di farlo. Per Nussbaum àƒ¨ molto importante anche l'impegno personale dell'agente - la deliberazione indica infatti il set di valori dell'agente: anche questo àƒ¨ aristotelismo, le azioni rivelano il carattere dell'agente. Il fatto che i funzionamenti di valore vengano scelti àƒ¨ per Nussbaum indizio di una differenza tra animale uomo e altri animali: la razionalitàƒÂ  àƒ¨ il nostro tratto distintivo, intesa come deliberazione. In Diventare donne Nussbaum propone una lista di dieci capacitàƒÂ : vita; salute fisica; integritàƒÂ  fisica; sensi, immaginazione e pensiero; emozioni; ragione pratica; appartenenza; rapporti con le altre specie; gioco; controllo del proprio ambiente politico e materiale. Queste capacitàƒÂ  sono essenziali per una vita autenticamente umana, vale a dire che la privazione di anche una sola di queste comporta un vita non buona. Sono capacitàƒÂ  individuali, ovvero ogni individuo le ha, e per vivere una vita buona deve avere la possibilitàƒÂ  di esplicitarle in funzionamenti. Sono "quasi-diritti", non diritti in senso tradizionale perchàƒ© nel piano neoaristotelico di Nussbaum il linguaggio delle capacitàƒÂ  dovrebbe sostituire quello dei diritti, perchàƒ© i diritti sono forme, e le forme rischiano di essere vuote, mentre il richiamo alle capacitàƒÂ  dovrebbe garantire un impegno politico maggiore. Ultimamente Nussbaum ha peràƒ² affiancato diritti e capacitàƒÂ , rendendoli complementari. Quello che peràƒ² àƒ¨ interessante àƒ¨ che il progetto di Nussbaum non indica un percorso verso uno stato paternalista, dove ci si impegna a far sviluppare le capacitàƒÂ  fino in fondo. Sarebbe la negazione del liberalismo occidentale, cosa che Nussbaum, aristotelica e rawlsiana (fino a un certo punto) non puàƒ² accettare. Quindi la soluzione àƒ¨ una forma politica che garantisca lo sviluppo di capacitàƒÂ  fino a un livello di soglia, oltre il quale ogni individuo puàƒ² poi decidere autonomamente se proseguire o fermarsi, "accontentarsi". Uno stato che impone certi funzionamenti àƒ¨ dittatoriale, uno che non ne impone nessuno àƒ¨ deficitario: bisogna, aristotelicamente, trovare una via di mezzo. Per esempio quello che normalmente noi occidentali chiamiamo diritto all'istruzione dovrebbe diventare un funzionamento, tra l'altro essenziale per lo sviluppo di altre capacitàƒÂ  in altri funzionamenti - se non so leggere e scrivere non posso informarmi, non posso partecipare alla vita della comunitàƒÂ  democratica tramite il mio voto. E in parte, con l'istituzione della scuola dell'obbligo, giàƒÂ  lo interpretiamo cosàƒ¬, come funzionamento necessario. Di fatto, la soluzione della soglia permette a Nussbaum di evitare l'accusa piàƒ¹ fondata alla sua versione del capabilities approach, ovvero l'accusa di paternalismo.

Etica e sport: la competizione

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2009

Abstract

Lo sport generalmente àƒ¨ il luogo in cui si viene a contatto per la prima volta con la competizione; per questo sembra necessario scoprire se la competizione àƒ¨ qualcosa di buono o no. A una prima semplice analisi, la competizione crea una differenza tra vincitori e sconfitti. Lo sport non àƒ¨ ࢠdemocraticoࢠ, non ha tendenze egalitarie e anzi la sua natura àƒ¨ proprio segnare la differenza: la competizione sportiva prevede vincitori e sconfitti. Questo banale dato di fatto genera una quantitàƒÂ  di problemi apparentemente insormontabili, tutti riconducibili a una sola domanda: àƒ¨ giusto che ci siano sconfitti? Il motto à,«L'importante àƒ¨ partecipareà,» che si fa popolarmente risalire al barone de Coubertin, ri-fondatore dei Giochi Olimpici, àƒ¨ piuttosto chiaro. Di piàƒ¹, àƒ¨ inequivocabile: non conta vincere o perdere. Lo sport, quello imbevuto di ideali ࢠolimpiciࢠ, àƒ¨ un cimento in cui provare se stessi, e se si vince bene, altrimenti non se ne fa un dramma. Comunque, non vincere non àƒ¨ causa di squalifica sociale: il ࢠperdenteࢠnon esiste, nell'utopico ideale ࢠolimpicoࢠ. Purtroppo peràƒ² vediamo che nel mondo sportivo si impara anche a discriminare. Se la discriminazione vincitore/sconfitto àƒ¨ connaturata allo sport stesso, direi essenziale con terminologia aristotelica ࢠvale a dire che se non c'àƒ¨ quella non c'àƒ¨ lo sport, la discriminazione verso persone o gruppi ritenuti inferiori a priori non ha alcuna attinenza con i valori sportivi. Proveràƒ² a dimostrare che anzi proprio la competizione sportiva àƒ¨ il metodo migliore per sviluppare antidoti alla discriminazione. La discriminazione nello sport si realizza, come sostiene Michael Messner, per cerchi concentrici: al centro ci sono gli atleti, degli sport piàƒ¹ popolari; man mano che ci si allontana dal centro incontriamo atleti "minori", tifosi, donne, non tifosi, omosessuali e cosàƒ¬ via. Piàƒ¹ si àƒ¨ lontani dal centro, piàƒ¹ la discriminazione incide. Le donne in particolare hanno subito nei secoli una costante esclusione dallo sport. La filosofia femminista ha cercato anche in questo campo soluzioni alla diseguaglianza tra uomini e donne, e una soluzione particolarmente proficua mi àƒ¨ sembrata quella di Jane English: la distinzione tra basic e scarce benefits. I beni sono pochi, questo àƒ¨ un fatto: anche nello sport. Gli uomini hanno occupato il centro (Messner, di nuovo), dove godono della maggior quantitàƒÂ  di benefits escludendo tutti gli altri. A questo livello la competizione àƒ¨ spietata, un "vinci o muori" con poche regole. Jane English suggerisce che i beni ai quali la maggior parte della gente punta sono in realtàƒÂ  quelli meno necessari: la fama e la ricchezza. La English sostiene che questi scarce benefits non abbiano niente a che vedere con la pratica sportiva, non sono essenziali allo sport, si possono ottenere in qualsiasi altro modo. Chi vuole accedere allo sport non lo fa per questi beni scarsi, ma per i basic benefits come la salute psicofisica, la socializzazione, l'autostima. Quello che davvero rende lo sport cosàƒ¬ importante àƒ¨ che questi ultimi benefits non vengono consumati se aumenta il numero dei praticanti, ma in genere incrementano: non ha alcun senso privare ampie fette di popolazione di benefici che non sono consumabili, ma anzi rigenerabili. Quello che English sottintende àƒ¨ una "visione della vita buona" che considera non buona una vita priva di quei basic benefits. Il passaggio necessario quindi àƒ¨ cercare qualche giustificazione a una concezione di vita buona che comprenda i basic benefits. Ci sono diverse teorie di "vita buona": le etiche della virtàƒ¹ (da Platone e Aristotele fino al revival novecentesco, passando per Tommaso d'Aquino - senza dimenticare Confucio in Oriente) sono l'esempio piàƒ¹ immediato, ma anche le dottrine deontologiste e consequenzialiste hanno un ideale. Negli ultimi 30 anni circa un "nuovo" modello àƒ¨ stato proposto da Amartya Sen e Martha Nussbaum, in tempi diversi e indipendentemente l'uno dall'altra. La teoria che mi sembra piàƒ¹ applicabile àƒ¨ quella di Martha Nussbaum: la sua declinazione della teoria delle capacitàƒÂ  funziona meglio nel campo dello sport, rispetto a quella di Sen, perchàƒ© provvede a fornire concreti esempi di capacitàƒÂ  e funzionamenti di valore, mentre l'idea di Sen àƒ¨ non specificare praticamente nulla per ottenere uno strumento "universale". Si puàƒ² dire che Sen àƒ¨ piàƒ¹ kantiano e Nussbaum piàƒ¹ aristotelica, anche se la stessa autrice ultimamente ha accolto istanze (neo)kantiane. Martha Nussbaum àƒ¨ (neo)aristotelica: la sua distinzione tra capacitàƒÂ  e funzionamenti àƒ¨ ricalcata sulla distinzione che lo Stagirita proponeva tra potenza e atto. Le capacitàƒÂ  sono potenze (o potenzialitàƒÂ ) che il soggetto ha di funzionare, e i funzionamenti sono le capacitàƒÂ  esplicitate in azioni; quando un soggetto esercita un funzionamento ha la capacitàƒÂ  di farlo, e sceglie di farlo. Per Nussbaum àƒ¨ molto importante anche l'impegno personale dell'agente - la deliberazione indica infatti il set di valori dell'agente: anche questo àƒ¨ aristotelismo, le azioni rivelano il carattere dell'agente. Il fatto che i funzionamenti di valore vengano scelti àƒ¨ per Nussbaum indizio di una differenza tra animale uomo e altri animali: la razionalitàƒÂ  àƒ¨ il nostro tratto distintivo, intesa come deliberazione. In Diventare donne Nussbaum propone una lista di dieci capacitàƒÂ : vita; salute fisica; integritàƒÂ  fisica; sensi, immaginazione e pensiero; emozioni; ragione pratica; appartenenza; rapporti con le altre specie; gioco; controllo del proprio ambiente politico e materiale. Queste capacitàƒÂ  sono essenziali per una vita autenticamente umana, vale a dire che la privazione di anche una sola di queste comporta un vita non buona. Sono capacitàƒÂ  individuali, ovvero ogni individuo le ha, e per vivere una vita buona deve avere la possibilitàƒÂ  di esplicitarle in funzionamenti. Sono "quasi-diritti", non diritti in senso tradizionale perchàƒ© nel piano neoaristotelico di Nussbaum il linguaggio delle capacitàƒÂ  dovrebbe sostituire quello dei diritti, perchàƒ© i diritti sono forme, e le forme rischiano di essere vuote, mentre il richiamo alle capacitàƒÂ  dovrebbe garantire un impegno politico maggiore. Ultimamente Nussbaum ha peràƒ² affiancato diritti e capacitàƒÂ , rendendoli complementari. Quello che peràƒ² àƒ¨ interessante àƒ¨ che il progetto di Nussbaum non indica un percorso verso uno stato paternalista, dove ci si impegna a far sviluppare le capacitàƒÂ  fino in fondo. Sarebbe la negazione del liberalismo occidentale, cosa che Nussbaum, aristotelica e rawlsiana (fino a un certo punto) non puàƒ² accettare. Quindi la soluzione àƒ¨ una forma politica che garantisca lo sviluppo di capacitàƒÂ  fino a un livello di soglia, oltre il quale ogni individuo puàƒ² poi decidere autonomamente se proseguire o fermarsi, "accontentarsi". Uno stato che impone certi funzionamenti àƒ¨ dittatoriale, uno che non ne impone nessuno àƒ¨ deficitario: bisogna, aristotelicamente, trovare una via di mezzo. Per esempio quello che normalmente noi occidentali chiamiamo diritto all'istruzione dovrebbe diventare un funzionamento, tra l'altro essenziale per lo sviluppo di altre capacitàƒÂ  in altri funzionamenti - se non so leggere e scrivere non posso informarmi, non posso partecipare alla vita della comunitàƒÂ  democratica tramite il mio voto. E in parte, con l'istituzione della scuola dell'obbligo, giàƒÂ  lo interpretiamo cosàƒ¬, come funzionamento necessario. Di fatto, la soluzione della soglia permette a Nussbaum di evitare l'accusa piàƒ¹ fondata alla sua versione del capabilities approach, ovvero l'accusa di paternalismo.
2009
it
capabilities
capacitàƒÂ 
competizione
discriminazione
etica dello sport
FILOSOFIA
mutual quest for excellence
sport
Università degli Studi di Trieste
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/247179
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNITS-247179