La disciplina fallimentare dettata nel r.d. 16 marzo 1942, n. 267 ਠrimasta per oltre un sessantennio sostanzialmente immutata. Il legislatore, infatti, ਠrestato a lungo sordo alle richieste della dottrina che lamentava l'inadeguatezza del sistema normativo in parola rispetto alla nuova realtà economica. Soltanto con il D.Lvo 9 gennaio 2006 n. 5 si ਠrealizzata una riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali contenuta nella legge fallimentare. Nell'ambito di questa novellazione vengono rivisti i requisiti soggettivi di fallibilità , modificati nuovamente con il successivo decreto correttivo n. 169/2007. Viene, infatti, riscritto l'art. 1 L.fall., abolendo ogni riferimento alla nozione di †œpiccolo imprenditore†� e fissando dei parametri dimensionali per l'esclusione dal fallimento. Tale novazione legislativa ha inciso anche sulle fattispecie di bancarotta sanzionate negli artt. 216 e 217 L.fall. In particolare, si ਠposto un problema di successione di norme integratrici in relazione ai casi in cui, dopo la riforma, il soggetto attivo del reato avrebbe rivestito la qualità di piccolo imprenditore. Su questo tema sono intervenute le Sezioni Unite con la famosa sentenza Niccoli, in quanto si era creato un contrasto giurisprudenziale tra chi riteneva si fosse verificata un'ipotesi di abolitio criminis parziale e chi, al contrario, riteneva si dovesse applicare ancora la vecchia legge fallimentare. Il Supremo Collegio ha liquidato in poche righe la questione della successione mediata ed ha affermato l'insindacabilità in sede penale della sentenza dichiarativa di fallimento circa la qualifica di imprenditore ai sensi dell'art. 1 L.fall. La posizione assunta dalla giurisprudenza non sembra, tuttavia, coerente con i principi ispiratori del codice di procedura penale e lesiva del diritto di difesa garantito al livello pi๠alto della gerarchia delle fonti.
Il fallimento del "piccolo imprenditore": profili penali
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2013
Abstract
La disciplina fallimentare dettata nel r.d. 16 marzo 1942, n. 267 ਠrimasta per oltre un sessantennio sostanzialmente immutata. Il legislatore, infatti, ਠrestato a lungo sordo alle richieste della dottrina che lamentava l'inadeguatezza del sistema normativo in parola rispetto alla nuova realtà economica. Soltanto con il D.Lvo 9 gennaio 2006 n. 5 si ਠrealizzata una riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali contenuta nella legge fallimentare. Nell'ambito di questa novellazione vengono rivisti i requisiti soggettivi di fallibilità , modificati nuovamente con il successivo decreto correttivo n. 169/2007. Viene, infatti, riscritto l'art. 1 L.fall., abolendo ogni riferimento alla nozione di †œpiccolo imprenditore†� e fissando dei parametri dimensionali per l'esclusione dal fallimento. Tale novazione legislativa ha inciso anche sulle fattispecie di bancarotta sanzionate negli artt. 216 e 217 L.fall. In particolare, si ਠposto un problema di successione di norme integratrici in relazione ai casi in cui, dopo la riforma, il soggetto attivo del reato avrebbe rivestito la qualità di piccolo imprenditore. Su questo tema sono intervenute le Sezioni Unite con la famosa sentenza Niccoli, in quanto si era creato un contrasto giurisprudenziale tra chi riteneva si fosse verificata un'ipotesi di abolitio criminis parziale e chi, al contrario, riteneva si dovesse applicare ancora la vecchia legge fallimentare. Il Supremo Collegio ha liquidato in poche righe la questione della successione mediata ed ha affermato l'insindacabilità in sede penale della sentenza dichiarativa di fallimento circa la qualifica di imprenditore ai sensi dell'art. 1 L.fall. La posizione assunta dalla giurisprudenza non sembra, tuttavia, coerente con i principi ispiratori del codice di procedura penale e lesiva del diritto di difesa garantito al livello pi๠alto della gerarchia delle fonti.I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14242/269646
URN:NBN:IT:UNITS-269646