La storia di Roma nel Trecento e, più in generale, nel Basso Medioevo ha rappresentato a lungo un tòpos fortemente connotato in senso negativo e, insieme, una sfida per gli storici: grossomodo fino alle II metà del XX secolo, infatti, si è ritenuto che tra XII e XIV, secolo mentre nel resto d’Italia fioriva e si sviluppava l’esperienza comunale e si ponevano le basi dell’Umanesimo, nell’Urbe la presenza del Papa avesse sostanzialmente ingessato le istituzioni e frenato lo sviluppo di un autonomo potere locale, determinando una situazione caotica e di decadenza economica e sociale negli anni della cattività avignonese. Già a partire dal cronista fiorentino Giovanni Villani (1280- 1348) Roma iniziò ad essere additata come esempio di decadenza1 ; ma venendo a decenni meno remoti, le fondamentali opere di Ferdinand Gregorovius2 nell’Ottocento e, soprattutto, Eugenio Duprè Theseider3 nel Novecento, pur tentando di focalizzare l’attenzione sulle vicende del Comune capitolino, si lasciarono trascinare dalle fonti – ben più cospicue per la componente pontificia che per quella comunale – non arrivando mai a mettere in discussione il primato del Papato sulla città e, di conseguenza, condannando Roma ad essere considerata qualcosa di totalmente altro ed estraneo al mondo comunale italiano e tralasciando gli aspetti economici e sociali slegati dal potere pontificio4 . Oggi tale pregiudizio è finalmente superato e la visione d’insieme della società romana del tempo è ben più articolata e particolareggiata: nonostante le resistenze da parte di alcuni, Roma finalmente è tornata a pieno titolo nei discorsi che riguardano il mondo comunale italiano, con le sue peculiarità ma anche con notevoli analogie rispetto agli altre grandi comunità della penisola centrosettentrionale5 . A permettere questo ribaltamento di paradigma è intervenuta la stagione di studi apertasi negli anni ’60 grazie al pionieristico impegno di Clara Gennaro6 e di Jean Claude Maire Vigueur, che ha spostato il focus delle ricerche proprio su quegli aspetti economici, statistici e sociali che erano stati fino ad allora trascurati e ha utilizzato proficuamente nuove ricchissime fonti, primi fra tutti i protocolli notarili. Maire Vigueur restituisce un variegato affresco delle nuove acquisizioni, con apporti dalle prospettive più disparate, nel suo fondamentale lavoro L’altra Roma. Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XII – XIV)7 , un’opera ormai imprescindibile per gli studi sul periodo, che ha raccolto e messo a sistema decenni di studi e nuove acquisizioni sulla realtà romana e laziale. Ma non basta: numerose altre ricerche hanno indagato e continuano ad esplorare le prospettive più disparate, e tra i frutti certo più maturi di questa temperie va annoverato anche il recente volume Ai margini dei giganti: la vita intellettuale dei romani nel Trecento (1305-1367 ca.) di Dario Internullo8 , che è riuscito a restituire un’immagine della vita culturale e intellettuale dell’Urbe ben più vivida e lontana da quella sorta di palude asfittica che restituiva la tradizione. L’intento di queste pagine non può essere certo quello di ripercorrere puntualmente ogni aspetto della storia sociale, istituzionale e urbanistica dell’Urbe del XIV, per la quale si rimanda alla bibliografia essenziale deputata; si vuole qui fornire solo un quadro sintetico e piuttosto generale per introdurre la realtà del notariato romano e l’ambiente in cui è cresciuto, è vissuto, si è formato e ha operato il nostro notaio.
I due più antichi protocolli del notaio romano Antonio di Lorenzo di Stefanello Scambi (1363-1364)
SANTARELLI, STEFANO
2019
Abstract
La storia di Roma nel Trecento e, più in generale, nel Basso Medioevo ha rappresentato a lungo un tòpos fortemente connotato in senso negativo e, insieme, una sfida per gli storici: grossomodo fino alle II metà del XX secolo, infatti, si è ritenuto che tra XII e XIV, secolo mentre nel resto d’Italia fioriva e si sviluppava l’esperienza comunale e si ponevano le basi dell’Umanesimo, nell’Urbe la presenza del Papa avesse sostanzialmente ingessato le istituzioni e frenato lo sviluppo di un autonomo potere locale, determinando una situazione caotica e di decadenza economica e sociale negli anni della cattività avignonese. Già a partire dal cronista fiorentino Giovanni Villani (1280- 1348) Roma iniziò ad essere additata come esempio di decadenza1 ; ma venendo a decenni meno remoti, le fondamentali opere di Ferdinand Gregorovius2 nell’Ottocento e, soprattutto, Eugenio Duprè Theseider3 nel Novecento, pur tentando di focalizzare l’attenzione sulle vicende del Comune capitolino, si lasciarono trascinare dalle fonti – ben più cospicue per la componente pontificia che per quella comunale – non arrivando mai a mettere in discussione il primato del Papato sulla città e, di conseguenza, condannando Roma ad essere considerata qualcosa di totalmente altro ed estraneo al mondo comunale italiano e tralasciando gli aspetti economici e sociali slegati dal potere pontificio4 . Oggi tale pregiudizio è finalmente superato e la visione d’insieme della società romana del tempo è ben più articolata e particolareggiata: nonostante le resistenze da parte di alcuni, Roma finalmente è tornata a pieno titolo nei discorsi che riguardano il mondo comunale italiano, con le sue peculiarità ma anche con notevoli analogie rispetto agli altre grandi comunità della penisola centrosettentrionale5 . A permettere questo ribaltamento di paradigma è intervenuta la stagione di studi apertasi negli anni ’60 grazie al pionieristico impegno di Clara Gennaro6 e di Jean Claude Maire Vigueur, che ha spostato il focus delle ricerche proprio su quegli aspetti economici, statistici e sociali che erano stati fino ad allora trascurati e ha utilizzato proficuamente nuove ricchissime fonti, primi fra tutti i protocolli notarili. Maire Vigueur restituisce un variegato affresco delle nuove acquisizioni, con apporti dalle prospettive più disparate, nel suo fondamentale lavoro L’altra Roma. Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XII – XIV)7 , un’opera ormai imprescindibile per gli studi sul periodo, che ha raccolto e messo a sistema decenni di studi e nuove acquisizioni sulla realtà romana e laziale. Ma non basta: numerose altre ricerche hanno indagato e continuano ad esplorare le prospettive più disparate, e tra i frutti certo più maturi di questa temperie va annoverato anche il recente volume Ai margini dei giganti: la vita intellettuale dei romani nel Trecento (1305-1367 ca.) di Dario Internullo8 , che è riuscito a restituire un’immagine della vita culturale e intellettuale dell’Urbe ben più vivida e lontana da quella sorta di palude asfittica che restituiva la tradizione. L’intento di queste pagine non può essere certo quello di ripercorrere puntualmente ogni aspetto della storia sociale, istituzionale e urbanistica dell’Urbe del XIV, per la quale si rimanda alla bibliografia essenziale deputata; si vuole qui fornire solo un quadro sintetico e piuttosto generale per introdurre la realtà del notariato romano e l’ambiente in cui è cresciuto, è vissuto, si è formato e ha operato il nostro notaio.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/297476
URN:NBN:IT:UNIROMA2-297476