Il presente lavoro prende spunto dal riordino della disciplina delle società pubbliche, che offre motivo di riflessione e di approfondimento sul complesso delle tematiche che tale materia coinvolge, dalla individuazione del concetto di pubblica amministrazione, alla definibilità delle finalità pubbliche, alla espansione dell’azione amministrativa attraverso strumenti di diritto privato, alla tutela della concorrenza e dei principi eurounitari. Il nuovo assetto ordinamentale – valorizzando i generali principi posti a tutela della libera concorrenza, della trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa – manifesta un intento di semplificazione e razionalizzazione del quadro delle regole vigenti in materia di società partecipazione pubblica, finalizzato a superare la frammentarietà e disomogeneità della regolamentazione previgente, risultante dai molteplici e spesso mal coordinati interventi legislativi succedutesi nel tempo. Perno della nuova disciplina sembra essere un giudizio di disvalore precostituito e generalizzato in ordine alla partecipazione pubblica in organismi di diritto privato, che si esprime con un “divieto”, rispetto al quale, vincoli di scopo e di attività fungono come altrettante condizioni perché il divieto si converta in potere organizzativo singolare, di ciascuna Amministrazione pubblica (ma limitato, in senso soggettivo e oggettivo) di costituire (direttamente o indirettamente) società, o di acquisirne partecipazioni, purché nell’osservanza dei limiti anzidetti, ai quali vanno ad aggiungersi quelli afferenti alle tipologie societarie praticabili (comunque riconducibili alle connotazioni tipiche delle società di capitale) e i vincoli procedimentali che richiedono sempre e in ogni caso deliberazioni prodromiche idonee a consentire l’ordinario controllo giurisdizionale che la Costituzione prevede e predispone a tutela delle posizioni soggettive nelle dinamiche relazionali autorità/libertà. Tutto ciò, peraltro, è vero soltanto in parte, poiché, numerose sono, poi, deroghe ed eccezioni all’interno e al di fuori dal T.U.S.P.P., restando fermo soltanto un punto sul quale il legislatore delegato ha inteso essere perentorio e assoluto: fonti regolatrici di carattere “generale” delle società a partecipazione pubblica sono il codice civile e le norme generali di diritto privato salvo per quanto «derogato dalle disposizioni del presente decreto», il che implica anche che ogni qual volta ci si trovi al cospetto di strutture societarie, a partecipazione pubblica, iscritte negli appositi registri, trovano applicazione regole di governance e dei rapporti di agency fissati nel codice civile e nelle altre norme di diritto privato e che eventuali deroghe al diritto comune – salvo quanto previsto dalla disciplina sulle società di diritto singolare o speciale – vanno ricercate nelle maglie del T.U. Ma, indipendentemente da tali precisazioni, è proprio quello che si è definito il “perno” della nuova sistemazione normativa a costituire il punto di partenza della presente indagine, che – ripercorrendo l’evoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinaria – vuole soffermarsi sulla natura e sulle caratteristiche delle società a partecipazione pubblica, al fine di vagliare l’esistenza e la latitudine degli spazi della potestà organizzativa singolare delle Amministrazioni pubbliche, dai quali dipendono poi, in relazione di necessaria consequenzialità, l’autonomia che il T.U. ha inteso riconoscere in capo alle medesime, definendo “in concreto” i limiti della capacità di diritto privato, che l’art. 11 c.c., con previsione generale e astratta, lascia da definire a «le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico». Chi scrive ha, invero, individuato due elementi che convergono nel ricondurre ‘a sistema’ le disposizioni legislative che disciplinano le società pubbliche: l’assoggettamento della discrezionalità organizzativa all’indirizzo politico-legislativo in ragione della specifica missione assegnata a ciascuna Amministrazione pubblica, e la delimitazione “in concreto” della capacità di diritto privato, intesi entrambi, quali essenziali, nella ricerca del modo migliore per il perseguimento dell’interesse pubblico positivamente determinato. Se l’obiettivo del legislatore delegato è stato quello di dar vita ad una disciplina organica e unitaria, destinata a perseguire il migliore utilizzo delle risorse pubbliche e i risparmi di spesa pubblica, in forza anche di regole più chiare e certe, nonché la promozione della concorrenza e del mercato, il contenimento delle società partecipate – in ragione della stretta necessità della esternalizzazione della attività e della sua adeguatezza sulla base di un giudizio formulato a priori dallo stesso legislatore – potrebbe non rivelarsi pienamente adeguato il risultato raggiunto ed è del resto lo stesso legislatore a individuarne i limiti introducendo nello stesso d.lgs. n. 175 del 2016, deroghe ed eccezioni. Resta, tuttavia, commendevole, perché conforme al dettato costituzionale dell’art. 97, co. 1 e 2, sia il disegno di ancorare al vincolo di scopo la scelta organizzativa sia quello di precostituire criteri oggettivi di adeguatezza allo scopo, purché non si risolva nell’equivoco di un generalizzato ripudio dell’intervento pubblico nell’economia. Le società partecipate sono (o possono essere) caratterizzate dalla capacità di realizzare al meglio il principio di economicità dell’azione amministrativa, almeno con riferimento alle attività che è loro concesso realizzare. Ma non si può prescinde dalla centralità di un nesso qualificato tra la forma societaria e lo scopo pubblico che le amministrazioni devono perseguire in ragione della missione alle stessa assegnata, tanto quando si configurano come proprietarie, ovvero socio-pubblico, quanto quando siano mere titolari di diritti amministrativi. Ne discende che il campo di analisi si caratterizza per la compresenza dei seguenti “fattori”: la natura pubblica delle regole che presiedono al perseguimento delle finalità mediante esternalizzazione; la doverosità dello svolgimento delle attività in stretta correlazione con l’indicazione di scopo contenuta nella deliberazione prodromica, di tal che l’interesse pubblico possa transitare, per il tramite del socio pubblico in ambito societario trasfigurato in obiettivo da perseguire, senza che della differente organizzazione sia alterata la natura privatistica; il carattere economico e produttivo delle attività societaria; la destinazione a vantaggio di una collettività, più o meno ampia, di partecipanti o comunque di terzi beneficiari delle utilità conseguite, secondo le regole che disciplinando nelle società i rapporti di agency. È alla luce dei parametri evidenziati e degli elementi – così come ora elencati – di un siffatto scenario che trova soluzione la dibattuta questione di teoria generale in ordine alla sussistenza di una capacità, di diritto privato in capo alle pubbliche amministrazioni che dalle maglie non tutte chiarissime del tessuto normativo esce “speciale in concreto”, non certo come obiettivo primario del testo (o per gli effetti che si determinano in ambito societario, in cui il socio pubblico o l’amministrazione detentrice di poteri di amministrazione opera come un “qualsiasi” altro privato), bensì come conseguenza delle stesse limitazioni che l’indirizzo politico-legislativo impone al potere organizzativo proprio di ciascuna amministrazione . Ed è proprio in ciò che sarà possibile riconoscere, attraverso il coordinamento delle singole disposizioni, la coerenza del sistema. Del resto, come si noterà nella trattazione, già la legge generale sul procedimento amministrativo contiene una ‘dicotomica’ previsione della capacità di diritto privato delle pubbliche amministrazioni, che richiede approfondimento. L’interesse per tale ambito di ricerca è sollecitato proprio dalla constatazione di come l’attività di diritto privato della pubblica amministrazione va diventando, laddove possibile, strumento privilegiato di composizione di interessi, nell’ambito delle relazioni pubblico/privato, ma la scelta di moduli organizzativi differenti da quelli pubblicistici, pur prospettandosi come una modalità evolutiva delle istituzioni non può risolversi nella sottrazione delle scelte amministrative al controllo della legalità- indirizzo.
I limiti funzionali delle società pubbliche e la capacità giuridica della P.A.
TEDESCHI, ESPER
2019
Abstract
Il presente lavoro prende spunto dal riordino della disciplina delle società pubbliche, che offre motivo di riflessione e di approfondimento sul complesso delle tematiche che tale materia coinvolge, dalla individuazione del concetto di pubblica amministrazione, alla definibilità delle finalità pubbliche, alla espansione dell’azione amministrativa attraverso strumenti di diritto privato, alla tutela della concorrenza e dei principi eurounitari. Il nuovo assetto ordinamentale – valorizzando i generali principi posti a tutela della libera concorrenza, della trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa – manifesta un intento di semplificazione e razionalizzazione del quadro delle regole vigenti in materia di società partecipazione pubblica, finalizzato a superare la frammentarietà e disomogeneità della regolamentazione previgente, risultante dai molteplici e spesso mal coordinati interventi legislativi succedutesi nel tempo. Perno della nuova disciplina sembra essere un giudizio di disvalore precostituito e generalizzato in ordine alla partecipazione pubblica in organismi di diritto privato, che si esprime con un “divieto”, rispetto al quale, vincoli di scopo e di attività fungono come altrettante condizioni perché il divieto si converta in potere organizzativo singolare, di ciascuna Amministrazione pubblica (ma limitato, in senso soggettivo e oggettivo) di costituire (direttamente o indirettamente) società, o di acquisirne partecipazioni, purché nell’osservanza dei limiti anzidetti, ai quali vanno ad aggiungersi quelli afferenti alle tipologie societarie praticabili (comunque riconducibili alle connotazioni tipiche delle società di capitale) e i vincoli procedimentali che richiedono sempre e in ogni caso deliberazioni prodromiche idonee a consentire l’ordinario controllo giurisdizionale che la Costituzione prevede e predispone a tutela delle posizioni soggettive nelle dinamiche relazionali autorità/libertà. Tutto ciò, peraltro, è vero soltanto in parte, poiché, numerose sono, poi, deroghe ed eccezioni all’interno e al di fuori dal T.U.S.P.P., restando fermo soltanto un punto sul quale il legislatore delegato ha inteso essere perentorio e assoluto: fonti regolatrici di carattere “generale” delle società a partecipazione pubblica sono il codice civile e le norme generali di diritto privato salvo per quanto «derogato dalle disposizioni del presente decreto», il che implica anche che ogni qual volta ci si trovi al cospetto di strutture societarie, a partecipazione pubblica, iscritte negli appositi registri, trovano applicazione regole di governance e dei rapporti di agency fissati nel codice civile e nelle altre norme di diritto privato e che eventuali deroghe al diritto comune – salvo quanto previsto dalla disciplina sulle società di diritto singolare o speciale – vanno ricercate nelle maglie del T.U. Ma, indipendentemente da tali precisazioni, è proprio quello che si è definito il “perno” della nuova sistemazione normativa a costituire il punto di partenza della presente indagine, che – ripercorrendo l’evoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinaria – vuole soffermarsi sulla natura e sulle caratteristiche delle società a partecipazione pubblica, al fine di vagliare l’esistenza e la latitudine degli spazi della potestà organizzativa singolare delle Amministrazioni pubbliche, dai quali dipendono poi, in relazione di necessaria consequenzialità, l’autonomia che il T.U. ha inteso riconoscere in capo alle medesime, definendo “in concreto” i limiti della capacità di diritto privato, che l’art. 11 c.c., con previsione generale e astratta, lascia da definire a «le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico». Chi scrive ha, invero, individuato due elementi che convergono nel ricondurre ‘a sistema’ le disposizioni legislative che disciplinano le società pubbliche: l’assoggettamento della discrezionalità organizzativa all’indirizzo politico-legislativo in ragione della specifica missione assegnata a ciascuna Amministrazione pubblica, e la delimitazione “in concreto” della capacità di diritto privato, intesi entrambi, quali essenziali, nella ricerca del modo migliore per il perseguimento dell’interesse pubblico positivamente determinato. Se l’obiettivo del legislatore delegato è stato quello di dar vita ad una disciplina organica e unitaria, destinata a perseguire il migliore utilizzo delle risorse pubbliche e i risparmi di spesa pubblica, in forza anche di regole più chiare e certe, nonché la promozione della concorrenza e del mercato, il contenimento delle società partecipate – in ragione della stretta necessità della esternalizzazione della attività e della sua adeguatezza sulla base di un giudizio formulato a priori dallo stesso legislatore – potrebbe non rivelarsi pienamente adeguato il risultato raggiunto ed è del resto lo stesso legislatore a individuarne i limiti introducendo nello stesso d.lgs. n. 175 del 2016, deroghe ed eccezioni. Resta, tuttavia, commendevole, perché conforme al dettato costituzionale dell’art. 97, co. 1 e 2, sia il disegno di ancorare al vincolo di scopo la scelta organizzativa sia quello di precostituire criteri oggettivi di adeguatezza allo scopo, purché non si risolva nell’equivoco di un generalizzato ripudio dell’intervento pubblico nell’economia. Le società partecipate sono (o possono essere) caratterizzate dalla capacità di realizzare al meglio il principio di economicità dell’azione amministrativa, almeno con riferimento alle attività che è loro concesso realizzare. Ma non si può prescinde dalla centralità di un nesso qualificato tra la forma societaria e lo scopo pubblico che le amministrazioni devono perseguire in ragione della missione alle stessa assegnata, tanto quando si configurano come proprietarie, ovvero socio-pubblico, quanto quando siano mere titolari di diritti amministrativi. Ne discende che il campo di analisi si caratterizza per la compresenza dei seguenti “fattori”: la natura pubblica delle regole che presiedono al perseguimento delle finalità mediante esternalizzazione; la doverosità dello svolgimento delle attività in stretta correlazione con l’indicazione di scopo contenuta nella deliberazione prodromica, di tal che l’interesse pubblico possa transitare, per il tramite del socio pubblico in ambito societario trasfigurato in obiettivo da perseguire, senza che della differente organizzazione sia alterata la natura privatistica; il carattere economico e produttivo delle attività societaria; la destinazione a vantaggio di una collettività, più o meno ampia, di partecipanti o comunque di terzi beneficiari delle utilità conseguite, secondo le regole che disciplinando nelle società i rapporti di agency. È alla luce dei parametri evidenziati e degli elementi – così come ora elencati – di un siffatto scenario che trova soluzione la dibattuta questione di teoria generale in ordine alla sussistenza di una capacità, di diritto privato in capo alle pubbliche amministrazioni che dalle maglie non tutte chiarissime del tessuto normativo esce “speciale in concreto”, non certo come obiettivo primario del testo (o per gli effetti che si determinano in ambito societario, in cui il socio pubblico o l’amministrazione detentrice di poteri di amministrazione opera come un “qualsiasi” altro privato), bensì come conseguenza delle stesse limitazioni che l’indirizzo politico-legislativo impone al potere organizzativo proprio di ciascuna amministrazione . Ed è proprio in ciò che sarà possibile riconoscere, attraverso il coordinamento delle singole disposizioni, la coerenza del sistema. Del resto, come si noterà nella trattazione, già la legge generale sul procedimento amministrativo contiene una ‘dicotomica’ previsione della capacità di diritto privato delle pubbliche amministrazioni, che richiede approfondimento. L’interesse per tale ambito di ricerca è sollecitato proprio dalla constatazione di come l’attività di diritto privato della pubblica amministrazione va diventando, laddove possibile, strumento privilegiato di composizione di interessi, nell’ambito delle relazioni pubblico/privato, ma la scelta di moduli organizzativi differenti da quelli pubblicistici, pur prospettandosi come una modalità evolutiva delle istituzioni non può risolversi nella sottrazione delle scelte amministrative al controllo della legalità- indirizzo.| File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/307728
URN:NBN:IT:UNIROMA2-307728