“Le unità da diporto sono principalmente in vetroresina.” Niente di più lontano dalla realtà. Dire “barca in vetroresina” non è altro che una sineddoche utilizzata per definire l’ampia categoria di unità da diporto avente lo scafo e le sovrastrutture in composito. È infatti corretto sostenere che sotto ai 24 metri di lunghezza di costruzione (natanti ed imbarcazioni) il materiale più utilizzato per il guscio contenitore è la fibra di vetro, ma le componenti realizzate in composito non superano il 30-40% del dislocamento complessivo delle unità. Questo significa che più della metà del peso di una barca in vetroresina non è dato dalla vetroresina stessa, piuttosto deriva da un’estrema eterogeneità di materiali di cui i progettisti spesso ignorano l’esistenza poiché contenuti in componenti acquistati da fornitori terzi. Gli stessi rivestimenti inoltre possono essere della natura più disparata, dai materiali naturali a quelli sintetici/artificiali. La vetroresina al giorno d’oggi resta ancora un materiale difficile da riutilizzare/ riciclare e al tempo stesso impegnativo da smaltire, motivo per cui il mondo della nautica è impazientemente in attesa di un degno sostituto più green, il cui LCA1 sia completamente chiuso e comprovato e che, al momento della demolizione, possa essere trattato e ri-immesso nel mercato come materia prima seconda. Nell’attesa di questa svolta però è utile concentrarsi sul fatto che, a prescindere dal materiale con cui uno scafo viene/verrà stampato e costruito, la barca un domani diventerà un rifiuto che dovrà essere scomposto e separato nei singoli materiali di partenza per un corretto riutilizzo, riciclo o smaltimento di essi. Le attuali tecniche di separazione si dividono in due grandi categorie: • Disassemblaggio controllato: metodo molto preciso ma che richiede tempistiche e costi poco sostenibili, specie in relazione alla quantità di unità che costituiscono il parco nautico attualmente in disuso (in crescita); • Separazione distruttiva: economicamente più sostenibile ma con percentuali di recupero dei materiali davvero irrisorie. Per questi motivi la ricerca mira ad individuare la maggior parte dei reali materiali presenti a bordo delle unità da diporto, che non si limitano alla semplicistica risposta “vetro, plastica, metalli e legni”; l’obiettivo è quello di quantificare l’entità del problema e delineare una strategia di demolizione alternativa che permetta di affrontare l’attuale parco nautico in disuso e quello che verrà con una consapevolezza oggigiorno inesistente (Volume 1 – PREVENIRE) ed uno strumento in grado di velocizzare e standardizzare il processo, riducendo le percentuali di Boat-Fluff, inteso come residuo non separabile (Volume 2 – CURARE). La chiave di volta dell’intera tesi è il dialogo biunivoco tra progettisti/costruttori e demolitori; solo con la sinergia tra i due estremi della vita di un’unità da diporto saremo in grado di affrontare realmente il problema alla radice
Oltre la vetroresina Catalogazione sistematica dei materiali presenti a bordo di unità da diporto in composito per la progettazione di un ciclo di separazione industrializzato itinerante.
COVINI, MATTEO
2021
Abstract
“Le unità da diporto sono principalmente in vetroresina.” Niente di più lontano dalla realtà. Dire “barca in vetroresina” non è altro che una sineddoche utilizzata per definire l’ampia categoria di unità da diporto avente lo scafo e le sovrastrutture in composito. È infatti corretto sostenere che sotto ai 24 metri di lunghezza di costruzione (natanti ed imbarcazioni) il materiale più utilizzato per il guscio contenitore è la fibra di vetro, ma le componenti realizzate in composito non superano il 30-40% del dislocamento complessivo delle unità. Questo significa che più della metà del peso di una barca in vetroresina non è dato dalla vetroresina stessa, piuttosto deriva da un’estrema eterogeneità di materiali di cui i progettisti spesso ignorano l’esistenza poiché contenuti in componenti acquistati da fornitori terzi. Gli stessi rivestimenti inoltre possono essere della natura più disparata, dai materiali naturali a quelli sintetici/artificiali. La vetroresina al giorno d’oggi resta ancora un materiale difficile da riutilizzare/ riciclare e al tempo stesso impegnativo da smaltire, motivo per cui il mondo della nautica è impazientemente in attesa di un degno sostituto più green, il cui LCA1 sia completamente chiuso e comprovato e che, al momento della demolizione, possa essere trattato e ri-immesso nel mercato come materia prima seconda. Nell’attesa di questa svolta però è utile concentrarsi sul fatto che, a prescindere dal materiale con cui uno scafo viene/verrà stampato e costruito, la barca un domani diventerà un rifiuto che dovrà essere scomposto e separato nei singoli materiali di partenza per un corretto riutilizzo, riciclo o smaltimento di essi. Le attuali tecniche di separazione si dividono in due grandi categorie: • Disassemblaggio controllato: metodo molto preciso ma che richiede tempistiche e costi poco sostenibili, specie in relazione alla quantità di unità che costituiscono il parco nautico attualmente in disuso (in crescita); • Separazione distruttiva: economicamente più sostenibile ma con percentuali di recupero dei materiali davvero irrisorie. Per questi motivi la ricerca mira ad individuare la maggior parte dei reali materiali presenti a bordo delle unità da diporto, che non si limitano alla semplicistica risposta “vetro, plastica, metalli e legni”; l’obiettivo è quello di quantificare l’entità del problema e delineare una strategia di demolizione alternativa che permetta di affrontare l’attuale parco nautico in disuso e quello che verrà con una consapevolezza oggigiorno inesistente (Volume 1 – PREVENIRE) ed uno strumento in grado di velocizzare e standardizzare il processo, riducendo le percentuali di Boat-Fluff, inteso come residuo non separabile (Volume 2 – CURARE). La chiave di volta dell’intera tesi è il dialogo biunivoco tra progettisti/costruttori e demolitori; solo con la sinergia tra i due estremi della vita di un’unità da diporto saremo in grado di affrontare realmente il problema alla radiceFile | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/63809
URN:NBN:IT:UNIGE-63809