Un gruppo internazionale di clinici, esperti in disturbi progressivi del linguaggio, si riunì per tre volte tra il 2006 ed il 2009, con lo scopo di creare un classificazione definitiva delle PPA e delle sue tre varianti, utilizzando come punto di partenza i criteri esistenti in letteratura (Tabella 1 - Mesulam, 2003) ma integrandoli alla luce delle informazioni fornite dalle strumentazioni più recenti (neuroimaging, dosaggio liquorale). Le linee guida cosi delineate prevedono che, affinché la diagnosi di PPA sia verosimile, l'insorgenza del disturbo linguistico deve apparire insidiosa e dall'andamento ingravescente; l'afasia deve essere evidente sia nel linguaggio spontaneo che in seguito ad una valutazione neuropsicologica e deve rappresentare, almeno nella fase iniziale, il sintomo d’esordio, nonché il segno clinico più evidente. L'autonomia nelle attività di base ed in quelle strumentali della vita quotidiana deve essere preservata, ad eccezione di quelle attività strettamente correlate all'utilizzo del linguaggio. Tutte le altre funzioni cognitive dovrebbero risultare coinvolte solo successivamente, ma l'afasia rappresenterà comunque il deficit cognitivo più evidente per tutta la durata della malattia. I principali criteri di esclusione includono un disturbo mnesico o visuo-spaziale nelle fasi iniziali della malattia, marcati disturbi comportamentali e la presenza di lesioni focali (ictus, tumori). La recente classificazione della PPA proposta da Gorno-Tempini in tre differenti varianti: non-fluente (NFPA), semantica (SVPA) e logopenica (LPA) (Gorno-Tempini et al., 2011), richiede un processo diagnostico complesso, che si articola su tre livelli differenti: l’assessment neuropsicologico, il neuroimaging e l’analisi liquorale. In questo studio abbiamo correlato i risultati ottenuti in test specifici, scelti per indagare le caratteristiche linguistiche tipiche di ogni variante di PPA, con i livelli liquorali delle proteine Aβ, Tau e Ptau, ed il pattern atrofico riscontrato alla risonanza magnetica. Lo scopo della ricerca è quello di creare una batteria neuropsicologica in grado di effettuare ipotesi diagnostiche e realizzare diagnosi differenziale tra le singole varianti di PPA già nelle fasi iniziali della malattia. Lo scopo della nostra ricerca è proprio questo: individuare test cognitivi che più di altri siano predittivi nell’individuare la possibile presenza di PPA già nelle fasi inziali della patologia. Si è partiti dalla consapevolezza che i domini cognitivi maggiormente compromessi siano la capacità di denominazione, la comprensione, la scrittura, la lettura, la ripetizione e la capacità di fruibilità lessicale. Si sono, infatti, selezionate cinque prove: la batteria di Milano II, per l’indagine delle competenza linguistiche, il Token Test, per valutare la comprensione di ordini verbali, le fluenze verbali, per indagare la fruibilità lessicale, il Boston Naming Test per la capacità di denominazione e il Mini Mental State Examination per l’efficienza cognitiva globale. Analizzando la correlazione tra i tre diversi marcatori considerati (test neuropsicologici, localizzazione delle aree atrofiche e dosaggio liquorale) è emerso che la presenza di agrammatismo, e di aprassia verbale rappresentano i deficit neuropsicologici più sensibili per la diagnosi di NFPA già nelle fasi iniziali della patologia. Punteggi al di sotto del range normativi, ottenuti nelle prove di ripetizione (sia di parole, non parole che di frasi complesse), rappresenta un buon predittore per la diagnosi di LPA. Infine, punteggi patologici nelle prove di lettura (soprattutto di frasi) e di denominazione di stimoli visivi (Boston Naming Test) potrebbe essere un indicatore precoce per la diagnosi di SPA. Obiettivo futuro sarà quello di ampliare il campione e proseguire con follow-up longitudinali a 6-8 mesi per delineare il progredire della patologia. Inoltre, per ciascuno dei test somministrati si cercherà di determinare dei valori soglia specifici per la diagnosi di PPA in modo da consentirne pieno utilizzo diagnostico, già nelle fasi iniziali della malattia, soprattutto in contesti clinici in cui non sia possibile determinare i biomarcatori liquorali.
Afasia Progressiva Primaria: identificazione di n profilo neuropsicologico predittivo e correlazione con biomarcatori liquorali e neuroimaging
CORTI, PRISCILLA
2013
Abstract
Un gruppo internazionale di clinici, esperti in disturbi progressivi del linguaggio, si riunì per tre volte tra il 2006 ed il 2009, con lo scopo di creare un classificazione definitiva delle PPA e delle sue tre varianti, utilizzando come punto di partenza i criteri esistenti in letteratura (Tabella 1 - Mesulam, 2003) ma integrandoli alla luce delle informazioni fornite dalle strumentazioni più recenti (neuroimaging, dosaggio liquorale). Le linee guida cosi delineate prevedono che, affinché la diagnosi di PPA sia verosimile, l'insorgenza del disturbo linguistico deve apparire insidiosa e dall'andamento ingravescente; l'afasia deve essere evidente sia nel linguaggio spontaneo che in seguito ad una valutazione neuropsicologica e deve rappresentare, almeno nella fase iniziale, il sintomo d’esordio, nonché il segno clinico più evidente. L'autonomia nelle attività di base ed in quelle strumentali della vita quotidiana deve essere preservata, ad eccezione di quelle attività strettamente correlate all'utilizzo del linguaggio. Tutte le altre funzioni cognitive dovrebbero risultare coinvolte solo successivamente, ma l'afasia rappresenterà comunque il deficit cognitivo più evidente per tutta la durata della malattia. I principali criteri di esclusione includono un disturbo mnesico o visuo-spaziale nelle fasi iniziali della malattia, marcati disturbi comportamentali e la presenza di lesioni focali (ictus, tumori). La recente classificazione della PPA proposta da Gorno-Tempini in tre differenti varianti: non-fluente (NFPA), semantica (SVPA) e logopenica (LPA) (Gorno-Tempini et al., 2011), richiede un processo diagnostico complesso, che si articola su tre livelli differenti: l’assessment neuropsicologico, il neuroimaging e l’analisi liquorale. In questo studio abbiamo correlato i risultati ottenuti in test specifici, scelti per indagare le caratteristiche linguistiche tipiche di ogni variante di PPA, con i livelli liquorali delle proteine Aβ, Tau e Ptau, ed il pattern atrofico riscontrato alla risonanza magnetica. Lo scopo della ricerca è quello di creare una batteria neuropsicologica in grado di effettuare ipotesi diagnostiche e realizzare diagnosi differenziale tra le singole varianti di PPA già nelle fasi iniziali della malattia. Lo scopo della nostra ricerca è proprio questo: individuare test cognitivi che più di altri siano predittivi nell’individuare la possibile presenza di PPA già nelle fasi inziali della patologia. Si è partiti dalla consapevolezza che i domini cognitivi maggiormente compromessi siano la capacità di denominazione, la comprensione, la scrittura, la lettura, la ripetizione e la capacità di fruibilità lessicale. Si sono, infatti, selezionate cinque prove: la batteria di Milano II, per l’indagine delle competenza linguistiche, il Token Test, per valutare la comprensione di ordini verbali, le fluenze verbali, per indagare la fruibilità lessicale, il Boston Naming Test per la capacità di denominazione e il Mini Mental State Examination per l’efficienza cognitiva globale. Analizzando la correlazione tra i tre diversi marcatori considerati (test neuropsicologici, localizzazione delle aree atrofiche e dosaggio liquorale) è emerso che la presenza di agrammatismo, e di aprassia verbale rappresentano i deficit neuropsicologici più sensibili per la diagnosi di NFPA già nelle fasi iniziali della patologia. Punteggi al di sotto del range normativi, ottenuti nelle prove di ripetizione (sia di parole, non parole che di frasi complesse), rappresenta un buon predittore per la diagnosi di LPA. Infine, punteggi patologici nelle prove di lettura (soprattutto di frasi) e di denominazione di stimoli visivi (Boston Naming Test) potrebbe essere un indicatore precoce per la diagnosi di SPA. Obiettivo futuro sarà quello di ampliare il campione e proseguire con follow-up longitudinali a 6-8 mesi per delineare il progredire della patologia. Inoltre, per ciascuno dei test somministrati si cercherà di determinare dei valori soglia specifici per la diagnosi di PPA in modo da consentirne pieno utilizzo diagnostico, già nelle fasi iniziali della malattia, soprattutto in contesti clinici in cui non sia possibile determinare i biomarcatori liquorali.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/73524
URN:NBN:IT:UNIMI-73524