Il lavoro si sviluppa entro binari storiografici ben precisi, già delineati all’inizio del Novecento da studiosi quali Tancred Borenius e Paul Schubring in numerosi contributi su riviste, ma soprattutto nella monumentale catalogazione dei mobili dipinti, intitolata Cassoni. Truhen und Truhenbilder der italienischen Frührenaissance. Ein Beitrag zur Profanmalerei im Quattrocento, data alle stampe dallo studioso tedesco nel 1915, e in edizione ampliata nel 1923. Su tale esempio non è stata isolata un’unica tipologia di manufatti all’interno di questo genere di pittura – i cofani, le spalliere, le testiere da letto o i pannelli da studiolo –, come talvolta accaduto in questo ambito di studi, ma si è ricostruito per intero quel periodo della storia dell’arte veronese che per cronologia si colloca tra gli incanti tardogotici, le novità mantegnesche e le prospettive carpaccesche. Il punto di partenza dell’indagine va ricercato proprio in un suggerimento di Schubring: “Verona ist ein ausserordentlich wichtiger Platz für die Truhenmalerei; es ist geradezu das Zentrum in Oberitalien. Unsere Liste zählt etwa siebzig Bilder, mehr als die für ganz Umbrien”, rimasto per molto tempo inascoltato, forse a causa della scarsa importanza attribuita a questo tipo di produzione pittorica veronese. Ed invece, tra Quattrocento e Cinquecento, entro le mura cittadine, si assistette all’inaspettato fiorire di una fantasiosa “pittura di cassone”, animata da temi legati alla mitologia classica e alla storia romana, un capitolo della storia dell’arte imprescindibile per comprendere anche i momenti più alti della coeva pittura di destinazione sacra. Questo repertorio “geografico” è strutturato comunque in ordine rigorosamente cronologico, con schede che illustrano la storia di ogni dipinto. Le voci bibliografiche e le provenienze delle opere sono state controllate ex novo, basandosi soprattutto sulla consultazione delle maggiori fototeche di storia dell’arte rinascimentale. In questo modo è stato possibile segnalare anche inediti passaggi collezionistici novecenteschi, che in futuro potrebbero consentire di recuperare molti dei dipinti attualmente di ubicazione sconosciuta. Per quanto riguarda le provenienze antiche, non è stato possibile trovare il riscontro archivistico di nessuna delle opere catalogate. Grazie però all’esame dei 129 inventari post-mortem datati 1451-1509, conservati nel fondo Antico Ufficio del Registro dell’Archivio di Stato di Verona, si è riusciti a fissare con maggiore precisione la terminologia tecnica da utilizzare per definire le cassapanche dipinte, per solito citate genericamente come “cassoni”. Si è scoperto così che con il termine coffinum pictum (cofano dipinto) e con il collettivo “coffanerie”, erano in genere denominati mobili dipinti a forma di cassa, generalmente fabbricati in semplice picium, ovvero legno di pino o abete; che con scrineus nogarie (scrigno in noce) si faceva invece riferimento a un manufatto, spesso pregiato e di piccole dimensioni, privo di decorazione pittorica, e che con cassa o capsa, si descriveva in genere un oggetto di fattura e destinazione più comune. La presente catalogazione ha previsto anche innumerevoli sopralluoghi presso musei italiani e stranieri grazie ai quali è stato possibile trovare conferma dell’impiego del legno di conifera quale supporto utilizzato più frequentemente per questo genere di pittura. Avendo potuto studiare anche i retri delle tavole, si è inoltre avuto modo di verificare come nel nord Italia fosse maggiormente diffusa questa essenza rispetto a quella del pioppo, utilizzata per lo più in Italia centrale, e di interpretare un dettaglio tecnico relativo alla carpenteria, finora sfuggito all’attenzione degli studiosi. Si tratta di incisioni a forma di “L”, poste simmetricamente in prossimità del bordo superiore dei pannelli frontali e tergali, che è possibile trovare indifferentemente in modo alternativo sul lato sinistro o sul destro. Costituiscono la traccia della sede in cui era collocato uno scompartimento o “riposto” – che il più delle volte non è arrivato integro fino ai nostri giorni – entro cui erano conservati gli oggetti di più piccole dimensioni. Un cofano ancora dotato di questo dettaglio costruttivo si conserva presso il museo Poldi Pezzoli di Milano, ma se ne ritrova testimonianza anche in alcuni affreschi coevi. La messa a fuoco di questo aspetto tecnico, tipico delle cassepanche veronesi come di quelle lombarde, è risultata importante non soltanto al fine di una corretta comprensione delle modalità costruttive del mobile, ma anche per verificare la correttezza di alcune letture iconografiche e di correggere le proposte meno convincenti. L’asse portante del presente lavoro è costituito però dal riordino in nuovi gruppi stilistici di un gran numero di dipinti che spesso portavano attribuzioni “di comodo” ai più noti pittori veronesi, ovvero si perdevano semplicemente nell’anonimato. Il caso più significativo in questo senso è costituito dalla complessa galassia della bottega di Domenico Morone, che in seguito alla partenza del suo probabile allievo, Liberale da Verona, ricoprì il ruolo di maggiore pittore attivo sulla scena cittadina. Si è fatto il tentativo di distinguere alcuni gruppi sia sulla base delle peculiari qualità stilistiche dei singoli dipinti, sia operando confronti con le opere sacre più note. Data l’importanza di Liberale come mediatore tra Siena e Verona, è stata presa in esame integralmente la sua produzione di cofani dipinti. Al di là delle considerazioni generali su questo lavoro, il cuore della ricerca non è rappresentato comunque dalle questioni metodologiche sopra elencate, quanto piuttosto dalle singole scoperte che sono venute alla luce in questa ricognizione. Ad esempio: l’acquisizione alla pittura veronese di un cofano di ambito pisanelliano, generalmente considerato come opera lombarda, grazie alla corretta interpretazione dello stemma della famiglia veronese Fanzago-Cartolari; l’individuazione dei committenti della fronte di cofano con le Storie di Tobiolo, ora in collezione privata inglese, nelle famiglie senesi Luti e Palmieri. Il risultato puntuale più significativo di questo cantiere resta la scoperta di un cofano di Liberale da Verona, conservato nella collezione del grande storico dell’arte americano Bernard Berenson, e commissionato al pittore subito dopo il ritorno in patria. A fianco di questi recuperi di singole opere, il catalogo presenta però anche il riordino di molti dipinti che fino ad ora non erano mai stati collegati. Da ultimo, per concludere, spostandosi più strettamente nel campo della pittura, con questa catalogazione si sono stati creati i nomi critici del Maestro di Clelia Bath, autore di alcuni dipinti veronesi improntati alla tarda attività di Andrea Mantegna, e quello del Maestro dell’Orfeo Lanckoronski, che dipinse un cospicuo numero di opere databili tra Quattrocento e Cinquecento, probabilmente veronesi, ma di cultura carpaccesca, identificabile forse con Giovan Antonio Falconetto.
Catalogo della "pittura di cassone" a Verona dal Tardogotico al Rinascimento
VINCO, MATTIA
2012
Abstract
Il lavoro si sviluppa entro binari storiografici ben precisi, già delineati all’inizio del Novecento da studiosi quali Tancred Borenius e Paul Schubring in numerosi contributi su riviste, ma soprattutto nella monumentale catalogazione dei mobili dipinti, intitolata Cassoni. Truhen und Truhenbilder der italienischen Frührenaissance. Ein Beitrag zur Profanmalerei im Quattrocento, data alle stampe dallo studioso tedesco nel 1915, e in edizione ampliata nel 1923. Su tale esempio non è stata isolata un’unica tipologia di manufatti all’interno di questo genere di pittura – i cofani, le spalliere, le testiere da letto o i pannelli da studiolo –, come talvolta accaduto in questo ambito di studi, ma si è ricostruito per intero quel periodo della storia dell’arte veronese che per cronologia si colloca tra gli incanti tardogotici, le novità mantegnesche e le prospettive carpaccesche. Il punto di partenza dell’indagine va ricercato proprio in un suggerimento di Schubring: “Verona ist ein ausserordentlich wichtiger Platz für die Truhenmalerei; es ist geradezu das Zentrum in Oberitalien. Unsere Liste zählt etwa siebzig Bilder, mehr als die für ganz Umbrien”, rimasto per molto tempo inascoltato, forse a causa della scarsa importanza attribuita a questo tipo di produzione pittorica veronese. Ed invece, tra Quattrocento e Cinquecento, entro le mura cittadine, si assistette all’inaspettato fiorire di una fantasiosa “pittura di cassone”, animata da temi legati alla mitologia classica e alla storia romana, un capitolo della storia dell’arte imprescindibile per comprendere anche i momenti più alti della coeva pittura di destinazione sacra. Questo repertorio “geografico” è strutturato comunque in ordine rigorosamente cronologico, con schede che illustrano la storia di ogni dipinto. Le voci bibliografiche e le provenienze delle opere sono state controllate ex novo, basandosi soprattutto sulla consultazione delle maggiori fototeche di storia dell’arte rinascimentale. In questo modo è stato possibile segnalare anche inediti passaggi collezionistici novecenteschi, che in futuro potrebbero consentire di recuperare molti dei dipinti attualmente di ubicazione sconosciuta. Per quanto riguarda le provenienze antiche, non è stato possibile trovare il riscontro archivistico di nessuna delle opere catalogate. Grazie però all’esame dei 129 inventari post-mortem datati 1451-1509, conservati nel fondo Antico Ufficio del Registro dell’Archivio di Stato di Verona, si è riusciti a fissare con maggiore precisione la terminologia tecnica da utilizzare per definire le cassapanche dipinte, per solito citate genericamente come “cassoni”. Si è scoperto così che con il termine coffinum pictum (cofano dipinto) e con il collettivo “coffanerie”, erano in genere denominati mobili dipinti a forma di cassa, generalmente fabbricati in semplice picium, ovvero legno di pino o abete; che con scrineus nogarie (scrigno in noce) si faceva invece riferimento a un manufatto, spesso pregiato e di piccole dimensioni, privo di decorazione pittorica, e che con cassa o capsa, si descriveva in genere un oggetto di fattura e destinazione più comune. La presente catalogazione ha previsto anche innumerevoli sopralluoghi presso musei italiani e stranieri grazie ai quali è stato possibile trovare conferma dell’impiego del legno di conifera quale supporto utilizzato più frequentemente per questo genere di pittura. Avendo potuto studiare anche i retri delle tavole, si è inoltre avuto modo di verificare come nel nord Italia fosse maggiormente diffusa questa essenza rispetto a quella del pioppo, utilizzata per lo più in Italia centrale, e di interpretare un dettaglio tecnico relativo alla carpenteria, finora sfuggito all’attenzione degli studiosi. Si tratta di incisioni a forma di “L”, poste simmetricamente in prossimità del bordo superiore dei pannelli frontali e tergali, che è possibile trovare indifferentemente in modo alternativo sul lato sinistro o sul destro. Costituiscono la traccia della sede in cui era collocato uno scompartimento o “riposto” – che il più delle volte non è arrivato integro fino ai nostri giorni – entro cui erano conservati gli oggetti di più piccole dimensioni. Un cofano ancora dotato di questo dettaglio costruttivo si conserva presso il museo Poldi Pezzoli di Milano, ma se ne ritrova testimonianza anche in alcuni affreschi coevi. La messa a fuoco di questo aspetto tecnico, tipico delle cassepanche veronesi come di quelle lombarde, è risultata importante non soltanto al fine di una corretta comprensione delle modalità costruttive del mobile, ma anche per verificare la correttezza di alcune letture iconografiche e di correggere le proposte meno convincenti. L’asse portante del presente lavoro è costituito però dal riordino in nuovi gruppi stilistici di un gran numero di dipinti che spesso portavano attribuzioni “di comodo” ai più noti pittori veronesi, ovvero si perdevano semplicemente nell’anonimato. Il caso più significativo in questo senso è costituito dalla complessa galassia della bottega di Domenico Morone, che in seguito alla partenza del suo probabile allievo, Liberale da Verona, ricoprì il ruolo di maggiore pittore attivo sulla scena cittadina. Si è fatto il tentativo di distinguere alcuni gruppi sia sulla base delle peculiari qualità stilistiche dei singoli dipinti, sia operando confronti con le opere sacre più note. Data l’importanza di Liberale come mediatore tra Siena e Verona, è stata presa in esame integralmente la sua produzione di cofani dipinti. Al di là delle considerazioni generali su questo lavoro, il cuore della ricerca non è rappresentato comunque dalle questioni metodologiche sopra elencate, quanto piuttosto dalle singole scoperte che sono venute alla luce in questa ricognizione. Ad esempio: l’acquisizione alla pittura veronese di un cofano di ambito pisanelliano, generalmente considerato come opera lombarda, grazie alla corretta interpretazione dello stemma della famiglia veronese Fanzago-Cartolari; l’individuazione dei committenti della fronte di cofano con le Storie di Tobiolo, ora in collezione privata inglese, nelle famiglie senesi Luti e Palmieri. Il risultato puntuale più significativo di questo cantiere resta la scoperta di un cofano di Liberale da Verona, conservato nella collezione del grande storico dell’arte americano Bernard Berenson, e commissionato al pittore subito dopo il ritorno in patria. A fianco di questi recuperi di singole opere, il catalogo presenta però anche il riordino di molti dipinti che fino ad ora non erano mai stati collegati. Da ultimo, per concludere, spostandosi più strettamente nel campo della pittura, con questa catalogazione si sono stati creati i nomi critici del Maestro di Clelia Bath, autore di alcuni dipinti veronesi improntati alla tarda attività di Andrea Mantegna, e quello del Maestro dell’Orfeo Lanckoronski, che dipinse un cospicuo numero di opere databili tra Quattrocento e Cinquecento, probabilmente veronesi, ma di cultura carpaccesca, identificabile forse con Giovan Antonio Falconetto.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/80890
URN:NBN:IT:UNIPD-80890