Questa tesi si focalizza sulle "migrazioni di ritorno" che hanno visto come protagonisti uomini e donne senegalesi che hanno avuto un periodo di emigrazione in Italia. La ricerca di terreno si è dipanata in tre contesti locali (Padova in Italia, Pikine e Touba in Senegal) da agosto 2010, data del primo terreno esplorativo in Senegal, a luglio 2013, mese in cui si sono svolte le ultime interviste semi-strutturate a Padova. Gli interlocutori e le interlocutrici principali che hanno partecipato a questa ricerca sono state 35 persone (28 uomini e 7 donne) che sono ritornate da più di un anno a vivere in Senegal. Ne sono stati ricostruiti i percorsi migratori e più in generale di vita, osservando anche le interazioni sociali intessute da queste persone nei quartieri di residenza e all'interno delle household. A Padova l'etnografia si è invece principalmente incentrata su uno spazio pubblico della città in cui gli uomini esercitano l'ambulantato. La scelta di un terreno multi-situato (Marcus 1999, Friedman 2007) si iscrive nella necessità di considerare la migrazione come fatto sociale totale (Mauss, 1923) che abbraccia un campo sociale complesso (Pompeo, 2009): Sayad (1999) ma prima ancora Amselle (1976) avevano infatti postulato la necessità di comprendere i due contesti locali di partenza e arrivo onde evitare un approccio riduttivo, etnocentrico e statalizzato, pensando quindi insieme la dimensione di emigrazione e immigrazione senza perderne le rispettive specificità. Si è scelto di adottare un approccio dinamista al ritorno (Balandier, 1961), intendendolo quindi come "rivelatore" delle forme di esclusione ed inclusione sociale che si danno in Senegal ed in Italia: l'oggetto della tesi è stato quindi definito come l'"impossibilità" del ritorno. La ricerca ha avuto un primo obiettivo esplorativo che è stato quello di indagare le condizioni in cui il ritorno "definitivo" al paese di origine viene pensato, programmato, realizzato, si presenta come necessario, viene ingiunto o si rivela impraticabile. Questo ha implicato comprendere le significazioni culturali che vengono attribuite al ritorno nel paese di origine, le produzioni di senso che lo avvolgono, e i registri retorici e discorsivi con cui le/i migranti negoziano con le loro reti di appartenenza tali ritorni. Si è ritenuto infatti che vi siano delle soglie di tollerabilità e legittimità che definiscono in termini socio-culturali cosa sia un ritorno auspicabile e sostenibile, comportando anche una risignificazione genderizzata del proprio progetto migratorio. In primo luogo si è ritenuto che, focalizzando lo sguardo sul ritorno, si potesse guardare da una prospettiva diversa una di quelle forme di mobilità umana contemporanee che vengono generalmente definite nella letteratura come "transnazionale" e che qui vengono ripensante alla luce della stratificazione nell'accesso al campo della mobilità Senegal-Italia. Il ritorno definitivo può costituire ed essere rappresentato come il compimento più socialmente prestigioso per chi intraprende tale esperienza di migrazione; ma può anche sancire il fallimento del/della migrante nel far fronte alle costrizioni imposte dallo stato nazione, dalla finanziarizzazione dell'economia mondiale (con conseguente crisi del contesto italiano come centro di accumulazione su scala mondiale) (Friedman&Friedman, 2013), dai rapporti gerarchi di genere e generazione che strutturano il campo sociale transnazionale (Glick Schiller et al.). In secondo luogo il ritorno è anche il processo di re-inserzione del migrante nel proprio contesto di origine: si è ipotizzato quindi che il ritorno sia momento liminare, di messa in alterità del/la migrante da parte dei suoi alter significativi (all'interno ed all'esterno dell'household) che, a seguito di tale alterizzazione, si trova a dover rinegoziare la propria appartenenza. Proprio per la "crisi della presenza" (De Martino, 1977) che il ritorno comporta si è ritenuto che questo fosse un punto di osservazione centrale per guardare la costruzione socio-culturale genderizzata del prestigio acquisito nella migrazione in Europa; quello che in altri termini viene definito riuscita/fallimento del progetto migratorio ma che è invece un processo che mette necessariamente in gioco le forme egemoniche di costruzione della mascolinità e della femminilità e, più in generale, i rapporti di appartenenza/dipendenza (Cutolo, 2012). Infine, un'attenzione particolare è stata inoltre riservata all'analisi dei mutevoli posizionamenti reciproci assunti tra la ricercatrice donna e i propri interlocutori e interlocutrici nell'esperienza di ricerca sul campo (Fusaschi, 2013).

Discorsi e pratiche sul ritorno dall'Italia al Senegal. Per un'antropologia del fallimento all'epoca del transnazionalismo.

CAVATORTA, GIOVANNA
2013

Abstract

Questa tesi si focalizza sulle "migrazioni di ritorno" che hanno visto come protagonisti uomini e donne senegalesi che hanno avuto un periodo di emigrazione in Italia. La ricerca di terreno si è dipanata in tre contesti locali (Padova in Italia, Pikine e Touba in Senegal) da agosto 2010, data del primo terreno esplorativo in Senegal, a luglio 2013, mese in cui si sono svolte le ultime interviste semi-strutturate a Padova. Gli interlocutori e le interlocutrici principali che hanno partecipato a questa ricerca sono state 35 persone (28 uomini e 7 donne) che sono ritornate da più di un anno a vivere in Senegal. Ne sono stati ricostruiti i percorsi migratori e più in generale di vita, osservando anche le interazioni sociali intessute da queste persone nei quartieri di residenza e all'interno delle household. A Padova l'etnografia si è invece principalmente incentrata su uno spazio pubblico della città in cui gli uomini esercitano l'ambulantato. La scelta di un terreno multi-situato (Marcus 1999, Friedman 2007) si iscrive nella necessità di considerare la migrazione come fatto sociale totale (Mauss, 1923) che abbraccia un campo sociale complesso (Pompeo, 2009): Sayad (1999) ma prima ancora Amselle (1976) avevano infatti postulato la necessità di comprendere i due contesti locali di partenza e arrivo onde evitare un approccio riduttivo, etnocentrico e statalizzato, pensando quindi insieme la dimensione di emigrazione e immigrazione senza perderne le rispettive specificità. Si è scelto di adottare un approccio dinamista al ritorno (Balandier, 1961), intendendolo quindi come "rivelatore" delle forme di esclusione ed inclusione sociale che si danno in Senegal ed in Italia: l'oggetto della tesi è stato quindi definito come l'"impossibilità" del ritorno. La ricerca ha avuto un primo obiettivo esplorativo che è stato quello di indagare le condizioni in cui il ritorno "definitivo" al paese di origine viene pensato, programmato, realizzato, si presenta come necessario, viene ingiunto o si rivela impraticabile. Questo ha implicato comprendere le significazioni culturali che vengono attribuite al ritorno nel paese di origine, le produzioni di senso che lo avvolgono, e i registri retorici e discorsivi con cui le/i migranti negoziano con le loro reti di appartenenza tali ritorni. Si è ritenuto infatti che vi siano delle soglie di tollerabilità e legittimità che definiscono in termini socio-culturali cosa sia un ritorno auspicabile e sostenibile, comportando anche una risignificazione genderizzata del proprio progetto migratorio. In primo luogo si è ritenuto che, focalizzando lo sguardo sul ritorno, si potesse guardare da una prospettiva diversa una di quelle forme di mobilità umana contemporanee che vengono generalmente definite nella letteratura come "transnazionale" e che qui vengono ripensante alla luce della stratificazione nell'accesso al campo della mobilità Senegal-Italia. Il ritorno definitivo può costituire ed essere rappresentato come il compimento più socialmente prestigioso per chi intraprende tale esperienza di migrazione; ma può anche sancire il fallimento del/della migrante nel far fronte alle costrizioni imposte dallo stato nazione, dalla finanziarizzazione dell'economia mondiale (con conseguente crisi del contesto italiano come centro di accumulazione su scala mondiale) (Friedman&Friedman, 2013), dai rapporti gerarchi di genere e generazione che strutturano il campo sociale transnazionale (Glick Schiller et al.). In secondo luogo il ritorno è anche il processo di re-inserzione del migrante nel proprio contesto di origine: si è ipotizzato quindi che il ritorno sia momento liminare, di messa in alterità del/la migrante da parte dei suoi alter significativi (all'interno ed all'esterno dell'household) che, a seguito di tale alterizzazione, si trova a dover rinegoziare la propria appartenenza. Proprio per la "crisi della presenza" (De Martino, 1977) che il ritorno comporta si è ritenuto che questo fosse un punto di osservazione centrale per guardare la costruzione socio-culturale genderizzata del prestigio acquisito nella migrazione in Europa; quello che in altri termini viene definito riuscita/fallimento del progetto migratorio ma che è invece un processo che mette necessariamente in gioco le forme egemoniche di costruzione della mascolinità e della femminilità e, più in generale, i rapporti di appartenenza/dipendenza (Cutolo, 2012). Infine, un'attenzione particolare è stata inoltre riservata all'analisi dei mutevoli posizionamenti reciproci assunti tra la ricercatrice donna e i propri interlocutori e interlocutrici nell'esperienza di ricerca sul campo (Fusaschi, 2013).
30-gen-2013
Italiano
Senegal Italy transnationalism gender
FUSASCHI, MICHELA
SAMBIN, MARCO
Università degli studi di Padova
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-81334