La presente tesi si compone di due parti principali. Nella prima parte è stato studiato l’effetto dell’età sulla performance e sui potenziali evento-relati (ERP) elicitati in differenti compiti cognitivi. Nella seconda parte sono stati esplorati i cambiamenti elettrofisiologici (i.e., alterazioni a livello di ERP) e cognitivi che caratterizzano l’encefalopatia epatica minima (MHE), una sindrome neuropsichiatrica conseguente a cirrosi epatica. 1° PARTE: ALTERAZIONI COGNITIVE ED ELETTROFISIOLOGICHE ASSOCIATE ALL’INVECCHIAMENTO SANO. All’avanzare dell’età, le persone mostrano difficoltà in diversi compiti cognitivi. Tali compiti comprendono ad esempio compiti di tempi di reazione (TR) semplice o di scelta, test di memoria episodica, compiti di working memory o che coinvolgono funzioni esecutive, abilità spaziali e di ragionamento, test di rotazione mentale (e.g., Kausler, 1991; Salthouse, 1991). Dato che tali deficit sono così diffusi tra i diversi domini cognitivi, è ragionevole assumere che essi dipendano da un’alterazione a carico di un ristretto numero di meccanismi. Diverse teorie si sono occupate di rispondere a tale questione. Alcune di queste hanno suggerito, ad esempio, che l’invecchiamento cognitivo sia associato ad una riduzione nella quantità di risorse attenzionali disponibili (Craik, 1986; Craik & Byrd, 1982), ad un rallentamento nella velocità di elaborazione (Salthouse, 1996), o ad un declino nel controllo inibitorio delle informazioni contenute nella working memory (Hasher & Zacks, 1988). Una spiegazione cha ha recentemente ricevuto largo consenso sostiene che alla base delle alterazioni cognitive legate all’età vi sia una disfunzione a livello di controllo esecutivo, probabilmente dovuta a cambiamenti a carico della corteccia prefrontale (“teoria del controllo cognitivo” conosciuta anche come “ipotesi del mantenimento degli obiettivi”; Braver & West, 2008; Raz, 2000; West, 1996). Per controllo esecutivo si intende la capacità di rappresentare, mantenere e aggiornare gli obiettivi in memoria al fine di esercitare un controllo sui pensieri e sul comportamento (Cohen et al., 1996). Sulla base del lavoro di Miyake e collaboratori (2000), il controllo non sembra essere una funzione unitaria, ma è composta da diversi sotto-processi cognitivi, quali lo shifting, l’aggiornamento nella working memory e l’inibizione. Per esaminare il ruolo che ha il controllo esecutivo nello spiegare il declino cognitivo legato dell’invecchiamento, è stato testato l’effetto dell’età in quei compiti che sono stati dimostrati richiere un alto coinvolgimento di controllo esecutivo. In particolare, il primo studio di questa tesi (Esperimento 1) ha esaminato i cambiamenti, legati all’età, in un compito di memoria prospettica (MP) basata sul tempo, focalizzandosi sull’analisi di quelle modulazioni ERP che rifletterebbero il declino della MP nell’invecchiamento. La memoria prospettica basata sul tempo si riferisce infatti all’abilità di ricordarsi di eseguire un’azione in un particolare momento nel futuro (ad esempio, ricordarsi di andare ad un appuntamento alle tre; Brandimonte et al., 1996; Einstein & McDaniel, 2000; Kliegel et al., 2009). Un processo che è fondamentale per eseguire appropriatamente i compiti prospettici è il mantenimento e l’aggiornamento delle intenzioni prospettiche in memoria (che rappresentano altresì gli obiettivi del compito prospettico). Tali processi di mantenimento, essendo alterati nell’invecchiamento secondo la teoria del controllo cognitivo, potrebbero essere quindi il fattore chiave nel determinare le alterazioni osservate nei compiti di MP. L’analisi degli ERP elicitati dal compito prospettico si è rivelata utile per testare tale ipotesi, e per chiarire quali siano i meccanismi responsabili del declino in questo tipo di compiti. Il secondo studio ha indagato la relazione tra controllo esecutivo e invecchiamento cognitivo confrontando la prestazione di individui giovani e quella di individui più anziani in un compito in cui veniva variato il carico di controllo esecutivo tra le condizioni. Il compito, chiamato Inhibitory Control Task (ICT) (Bajaj et al., 2008a) è, infatti, composto da tre differenti condizioni, che differiscono per le risorse esecutive necessarie. Se il controllo esecutivo è il fattore chiave nel determinare il deterioramento cognitivo osservato nei diversi compiti, allora l’effetto dell’età sulla performance all’ICT dovrebbe essere tanto maggiore quanto più elevato è il grado di controllo esecutivo richiesto. Inoltre, l’ICT ha permesso di studiare le alterazioni legate all’età negli ERP associati ai differenti meccanismi che compongono il controllo esecutivo, ovverosia l’aggiornamento nella working memory, l’updating e l’inibizione (Miyake et al., 2000). I due studi saranno qui sotto descritti in dettaglio: Esperimento 1: Meccanismi ERP sottostanti alle alterazioni, legate all’età, nella memoria prospettica basata sul tempo. Esiste un generale consenso, tra gli studi sulla MP, riguardo all’effetto deleterio che ha l’invecchiamento sulle prestazioni in compiti di MP basata sul tempo (Bastin & Meulemans, 2002; McDaniel & Einstein, 1992; Park et al., 1997; vedere anche Henry, MacLeod, Phillips, & Crawford, 2004, per una rassegna). Secondo la teoria di Craik (1986), poiché nei compiti di MP non ci sono espliciti suggerimenti dall’ambiente che aiutano il recupero dell’intenzione, gli individui necessiterebbero di un maggior reclutamento di processi attenzionali e auto-iniziati per recuperare le intenzioni. Dato che l’invecchiamento è associato ad una riduzione nella disponibilità di tali risorse attenzioni, ciò determinerebbe un’alterazione nella prestazione dei compiti di MP negli individui più anziani. Dall’altra parte, secondo la teoria del controllo cognitivo (o anche detta “ipotesi del mantenimento degli obiettivi”; Braver & West, 2008), gli anziani avrebbero delle difficoltà nella rappresentazione e nel mantenimento degli obiettivi nel corso del tempo. Nel caso della MP basata sul tempo, i deficit nel mantenere attivi gli obiettivi (cioè le intenzioni) porterebbe ad un fallimento nell’eseguire con successo l’azione intesa. Sebbene un elevato numero di studi abbia esaminato come la MP basata sul tempo declini con l’età, tuttavia nessuno studio si è mai occupato finora di indagare l’attività neurale alla base di tale declino. Per tale motivo, il presente studio ha avuto lo scopo di esplorare le alterazioni legate all’età dei meccanismi elettrofisiologici alla base della MP basata sul tempo. A tal fine, gli ERP associati ad un compito detto ongoing (i.e., un compito eseguito simultaneamente al compito prospettico) sono stati analizzati in 18 anziani e di 15 giovani e sono stati confrontati tra due diversi blocchi: il blocco di baseline e il blocco prospettico. Nel blocco di baseline veniva chiesto ai partecipanti di eseguire solamente il compito ongoing, mentre nel blocco prospettico si chiedeva di eseguire, assieme al compito ongoing, anche il compito di MP. Il compito ongoing consisteva nel valutare, all’interno di stringhe di cinque lettere, se le lettere in seconda e quarta posizione fossero uguali o diverse premendo con la mano destra uno di due possibili tasti. Nel compito di MP basata sul tempo, ai partecipanti era richiesto di premere un tasto ogni 5 minuti a partire dall’inizio del blocco prospettico. Per aiutarli nella stima del tempo, era stata data loro la possibilità di controllare l’orologio (che sarebbe comparso sullo schermo qualora avessero premuto un ulteriore tasto). Gli ERP analizzati erano elicitati dalla comparsa dello stimolo ongoing (i.e., la stringa di lettere). I TR, l’accuratezza e gli ERP nelle prove ongoing sono stati analizzati confrontando il blocco di baseline e quello prospettico, sia nei giovani che negli anziani. Inoltre sono stati analizzati sia la percentuale di accuratezza nel compito prospettico che il numero di controlli dell’orologio. Per quanto riguarda i risultati comportamentali, gli anziani mostravano una percentuale di accuratezza inferiore nel compito prospettico rispetto ai giovani. Inoltre gli anziani hanno mostrato un aumento dei TR al compito ongoing rispetto ai giovani, sia nella baseline che nel blocco prospettico. A livello di dati elettrofisiologici, i giovani hanno mostrato delle modulazioni positive e sostenute degli ERP elicitati dagli stimoli ongoing dovute all’aggiunta del compito prospettico, che erano espresse maggiormente sopra le regioni frontali e prefrontali. Tali modulazioni riflettevano il carico nel mantenere le intenzioni attive in memoria, come recentemente suggerito (Cona et al., in press; West et al., 2011). Dall’altra parte, negli anziani, tali modulazioni erano maggiormente espresse sopra le regioni posteriori. È infatti interessante notare che i giovani, ma non gli anziani, mostravano una maggiore positività degli ERP nel blocco prospettico rispetto alla baseline a livello di siti frontopolari. Ad un primo sguardo, l’assenza della modulazione prefrontale negli anziani sembra riflettere la loro difficoltà nel mantenere in memoria le intenzioni prospettiche, in accordo con la teoria del controllo cognitivo (Braver & West, 2008). Tuttavia, l’analisi delle differenze ERP tra i due gruppi (già nella baseline) ha permesso di comprendere meglio quale fosse il meccanismo responsabile di questo peggioramento nella performance prospettica. Infatti nel blocco di baseline, se confrontati con i giovani, gli anziani mostravano una P300 meno ampia sopra le regioni parietali, e più ampia sopra le regioni prefrontali. L’anteriorizzazione della P300 negli anziani è un fenomeno già ben documentato in letteratura (Daffner et al., 2006; 2011) e sembra indicare il reclutamento di un maggior numero di risorse per compensare le difficoltà nell’eseguire il compito ongoing. In generale, tali risultati suggeriscono che gli anziani hanno difficoltà già nel blocco di baseline, e che affrontano tali difficoltà reclutando risorse frontali addizionali (come indicato dall’anteriorizzazione della P300). Se troppe risorse sono reclutate per eseguire il compito ongoing, allora ne rimarrebbero meno per mantenere adeguatamente le intenzioni in memoria e ciò determinerebbe una performance peggiore al compito prospettico. Sembra quindi più ragionevole assumere che il declino nel controllo esecutivo, richiesto per mantenere le intenzioni in memoria, non sia la causa primaria dei cambiamenti nei compiti prospettici, ma piuttosto sia a sua volta la conseguenza di una minor disponibilità di risorse cognitive, come postulato nella teoria di Craik (1986). Esperimento 2: Influenza dell’invecchiamento sugli ERP associati ai processi legati al controllo esecutivo. Secondo la teoria del controllo cognitivo (Braver & West, 2008), un declino del controllo esecutivo dovuto all’età produrrebbe deficit in quei compiti cognitivi che coinvolgono in misura maggiore proprio quella funzione. Al fine di studiare tale ipotesi, abbiamo utilizzato l’Inhibitory Control Task (ICT; Bajaj et al., 2008a). Durante l’ICT, una serie di lettere viene presentata, molto velocemente, una dopo l’altra. Nella prima parte del compito è richiesto di premere un tasto quando compare o la lettera X o la Y. Le prove in cui compaiono tali lettere vengono definite prove Detect. Nella seconda parte del compito è richiesto di premere il tasto solo quando la X e la Y si alternano (prove Go), ad esempio quando la X è preceduta da una Y, o vice versa, indipendentemente dalle lettere che vengono presentate tra le due lettere target. Quando le lettere X e Y si ripetono (ad esempio, una X è preceduta da un’altra X), allora è necessario inibire la risposta (prove Nogo). In tal modo, l’ICT include prove che richiedono un differente grado di controllo esecutivo per essere eseguite. Infatti, le prove Detect richiedono semplicemente di prestare attenzione selettiva e di rispondere a specifici stimoli, e coinvolgono per questo un basso grado di controllo esecutivo. Le prove Go implicano anche un processo di aggiornamento nella working memory. Infine, le prove Nogo richiedono il maggior carico di controllo esecutivo, coinvolgendo non solo un processo di aggiornamento ma anche l’inibizione di risposta. Sulla base della teoria del controllo cognitivo, le differenze tra giovani e anziani nella prestazione all’ICT dovrebbero essere minori nelle prove detect, intermedie nelle prove go e massime nelle prove nogo. In aggiunta, questo studio aveva lo scopo di studiare l’effetto dell’età sui singoli processi che compongono il controllo esecutivo (Miyake et al., 2000). Per tale motivo, è stato studiato l’effetto dell’età sull’ampiezza e la latenza della P3b, della P3-nogo e della RON (reorienting negativity) che riflettono rispettivamente i processi di aggiornamento, inibizione e shifting. Al fine di dissociare meglio quali fossero le componenti ERP legate ai differenti processi studiati, è stata condotta la partial least square (PLS) analisi. Diciassette giovani e sedici anziani hanno partecipato all’esperimento ed eseguito l’ICT. Contro le predizioni formulate, i dati comportamentali hanno rivelato come gli anziani avessero una performance peggiore rispetto ai giovani in tutti i tipi di prove, quindi dalle prove detect alle prove nogo. È importante notare che l’effetto dell’età non interagiva con il tipo di prova, ed era quindi indipendente dal grado di controllo esecutivo necessario per eseguire quella data prova. Ciò indica che il controllo esecutivo, quando inteso come costrutto unitario, non sembra essere il fattore elettivo responsabile dei deficit mostrati dagli anziani nell’ICT. In linea con i risultati comportamentali, gli anziani hanno mostrato un ritardo in tutte le componenti ERP indagate (P3b, N2, RON, P3-nogo), indipendentemente dal tipo di prova esaminata. Questo ritardo nella latenza degli ERP legato all’età sembra riflettere un generale rallentamento dei processi cognitivi. Tale idea offre supporto alla teoria di Salthouse (1996), la quale assume che il declino cognitivo legato all’età sia dovuto ad una generale riduzione nella velocità di elaborazione. Un altro risultato rilevante consiste nel fatto che le componenti RON sono risultate particolarmente sensibili all’invecchiamento. Tali componenti, che riflettono lo shifting attenzionale (Berti et al., 2008), erano ritardate e meno ampie negli anziani rispetto ai giovani. Solamente uno studio finora ha indagato le alterazioni, legate all’età, a carico delle componenti RON, ma utilizzando un paradigma uditivo di distrazione (Horváth et al., 2009). In questo senso il presente studio ha esteso i risultati ottenuti nello studio di Horváth, suggerendo che un declino nello shift attenzionale non avviene solo dopo stimoli distraenti (come evidenziato da Horváth) ma anche dopo stimoli rilevanti per il compito. Sembra, infatti, che negli anziani il meccanismo di shifting dell’attenzione sia più lento e dispendioso, probabilmente a causa del fatto che essi sono ancora occupati ad elaborare lo stimolo precedente. Riassumendo, i dati elettrofisiologici e comportamentali convergono nel rivelare che il peggioramento nei compiti cognitivi associato all’invecchiamento potrebbe essere, almeno parzialmente, spiegabile da un rallentamento generale di elaborazione delle informazioni. Infatti, coerentemente con le conclusioni formulate nella rassegna di Verheagen (2011), una riduzione nella velocità dei processi sembra spiegare meglio i deficit cognitivi dell’anziano, rispetto ad un possibile deterioramento nel controllo esecutivo (quando inteso come processo unitario). Dall’altra parte, un sottoprocesso del controllo esecutivo, lo shifting attenzionale, sembra essere particolarmente sensibile all’età, e potrebbe quindi rappresentare un possibile candidato per spiegare la molteplicità di deficit nell’anziano. 1° Parte: Conclusioni Sebbene i presenti studi abbiano utilizzato differenti paradigmi e compiti, tuttavia convergono nel mostrare come il controllo esecutivo non giochi un ruolo cruciale nel determinare i deficit cognitivi evidenziati in questi compiti. Piuttosto, un declino nei processi più di base sembra essere il fattore chiave per spiegare la molteplicità dei deficit cognitivi nell’invecchiamento. In particolare, l’analisi degli ERP ha permesso di evidenziare che i cambiamenti legati all’età sono più probabilmente dovuti ad una riduzione: 1) nella disponibilità delle risorse cognitive, 2) nella velocità di elaborazione. Le alterazioni elettrofisiologiche legate all’età sembrano interessare in misura maggiore le modulazioni ERP osservate a livello di siti prefrontali, ed sono particolarmente espresse in termini di ritardo delle latenze. È interessante notare la presenza di meccanismi compensatori negli anziani, riflessi in un aumento nell’ampiezza di diverse componenti (rispetto ai giovani). Ciò suggerisce che l’invecchiamento non solo implica un declino cognitivo e neurale, ma coinvolge anche risposte cognitive e neurali adattive. 2° PARTE: ALTERAZIONI COGNITIVE AND ELETTROFISIOLOGICHE ASSOCIATE ALL’ENCEFALOPATIA EPATICA MINIMA. L’encefalopatia epatica è una sindrome neuropsichiatrica che può presentarsi in pazienti con cirrosi epatica. Il rilevamento dei primi, seppur lievi, segni dell’encefalopatia epatica è estremamente importante. Questa iniziale e subclinica condizione, chiamata encefalopatia epatica minima (MHE; Ferenci et al., 1998) ha infatti un impatto sulla qualità della vita (Groeneweg et al., 1998; Zhou et al. 2009) e sull’abilità di guida (Wein et al., 2004). Inoltre, ha un valore prognostico negativo in relazione alla probabilità di sviluppare episodi di encefalopatia conclamata, nonché di morte (Amodio et al., 1999; Romero-Gomez et al., 2007). Il profilo della MHE è caratterizzato da alterazioni cognitive che coinvolgono processi quali l’attenzione selettiva, le funzioni esecutive, l’abilità visuo-motoria, la velocità di elaborazione, l’inibizione e la selezione di risposta (Amodio et al., 2005). La MHE causa anche una disfunzione cerebrale comunemente rilevabile sia dal rallentamento dell’elettroencefalogramma (EEG) sia dal ritardo osservato nelle latenze degli ERP, tra cui la P300 (Amodio et al., 2005; Weissenborn et al., 2005). Quindi, quando possibile, la diagnosi di MHE dovrebbe essere preferibilmente basata su una combinazione di indici neuropsicologici/neurofisiologici. L’Inhibitory Control Task (ICT) è stato recentemente proposto come un semplice strumento diagnostico per la MHE (Bajaj et al. 2007; 2008a). Tuttavia, la sua applicabilità a differenti popolazioni di pazienti con cirrosi, così come la sua relazione con altre misure di MHE necessitano di essere confermate. Per tali motivi, è stato condotto un esperimento (Esperimento 3) che aveva lo scopo di valutare la specificità e la sensibilità dell’ICT per la diagnosi della MHE. L’Esperimento 4 si è invece focalizzato di indagare l’effetto della MHE sugli ERP elicitati dall’ICT, in modo tale da ottenere informazioni sulle alterazioni cognitive ed elettrofisiologiche caratteristiche della MHE. A proposito delle alterazioni elettrofisiologiche legate alla MHE, un ulteriore esperimento (Esperimento 5) ha indagato la variabilità intra-individuale dei parametri della P300 (latenza e ampiezza) nei pazienti cirrotici con MHE. C’è un crescente interesse riguardo alla variabilità nella prestazione cognitiva (e.g., nei TR) nel campo delle neuroscienze cognitive (MacDonald et al., 2006) poiché la VII è stata largamente considerata un possibile indice comportamentale di meccanismi neurali compromessi (e.g., Hultsch et al., 2000). Tuttavia gli studi che hanno stabilito un legame tra la VII delle risposte comportamentali e quella delle risposte neurali sono ancora pochi. La MHE sembra un valido modello di patologia per studiare questa relazione poiché i pazienti con MHE mostrano un aumento nella variabilità dei TR (Elsass et al., 1985; Schiff et al., 2006). Per tale motivo, nell’Esperimento 5, i parametri delle P300 misurati per ogni singola epoca, attraverso la tecnica di stima Bayesiana (D’Avanzo et al., 2011), sono stati esaminati per studiare il correlato elettrofisiologico della VII nella velocità di risposta. Inoltre sono stati esplorati i possibili cambiamenti nella relazione tra i parametri della P300 e dei TR che avvengono in pazienti con MHE. Esperimenti 3 e 4: L’ICT come strumento adatto per rilevare le alterazioni cognitive ed elettrofisiologiche in pazienti con cirrosi epatica. Nell’Esperimento 3, 75 pazienti con cirrosi e 55 controlli sani hanno eseguito l’ICT presso due centri di riferimento per lo studio dell’encefalopatia epatica. I pazienti venivano valutati per la MHE attraverso il Psychometric Hepatic Encephalopathy Score (PHES) e le analisi spettrali dell’EEG. La performance alle prove go e nogo è stata comparata tra i due gruppi. I pazienti con cirrosi presentavano un maggior numero di errori (i.e., lures) nelle prove nogo, e mostravano un’accuratezza peggiore anche nelle prove go, rispetto ai controlli. Tuttavia, il numero di lures era comparabile tra pazienti con e pazienti senza MHE. È importante notare come ci fosse una relazione inversa tra accuratezza nelle prove go e numero di errori, quando l’accuratezza nelle prove go era particolarmente bassa. Questo non è sorprendente: una bassa accuratezza alle prove go indica che molte di queste prove avevano una risposta mancante (infatti nelle prove go un errore consiste in una risposta mancante); tuttavia se un individuo commette tante risposte mancanti, allora è più probabile che “esegua” correttamente le prove nogo (le quali infatti prevedono una mancanza di risposta come ‘risposta’ corretta). In questo senso il numero basso di errori alle prove nogo è un fenomeno spurio. È stata quindi codificata una nuova variabile (weighted lures, o “lures pesati”), in cui il numero di lure veniva aggiustato per la percentuale di accuratezza nelle prove go. Tale variabile si è mostrata in grado di differenziare i pazienti con e i pazienti senza MHE. L’accuratezza nelle prove go si è rivelata comunque essere una valida misura anche quando veniva considerata da sola. Quindi, per rilevare segni di MHE, testare l’inibizione (lures) non sembra essere superiore rispetto al testare l’attenzione e l’aggiornamento nella working memory (accuratezza nelle prove go). L’Esperimento 4 ha permesso di studiare le alterazioni elettrofisiologiche legate alla cirrosi epatica ed evidenziate nelle prove che compongono l’ICT. In tale studio, sono stati analizzati gli ERP confrontando pazienti cirrotici con MHE (N=13), senza MHE (N=18) e individui di controllo (N=17). In particolare sono stati esaminati gli ERP elicitati dalle prove detect, go e nogo, in quanto possono essere un indice dei processi di attenzione selettiva, working memory e inibizione, rispettivamente. I dati sono stati inoltre analizzati attraverso l’analisi PLS, la cui efficacia nell’identificare variabili latenti è particolarmente adatta per dissociare i correlati ERP dei diversi processi. I risultati ottenuti dall’ANOVA e dall’analisi PLS hanno mostrato alterazioni associate alla MHE che interessavano selettivamente gli ERP nelle prove detect. Specificatamente, queste erano rappresentate da una riduzione della P3a a livello di siti frontocentrali e da un ritardo della P3b. Poiché le prove detect coinvolgono principalmente processi attenzionali, le alterazioni evidenziate in tali prove potrebbero indicare un deterioramento delle abilità cognitive più di base, quali l’attenzione. Questo risultato corrobora la conclusione ottenuta nell’esperimento 3, che concerne l’appropriatezza di testare abilità più di base (come l’attenzione) prima, o assieme, alla valutazione delle abilità più di alto livello (i.e., l’inibizione). Il secondo principale, e inaspettato, risultato consiste nell’aumento (invece di una diminuzione) dell’ampiezza di diverse componenti (cioè la N2, la P3-nogo) in pazienti cirrotici senza MHE. Questi cambiamenti elettrofisiologici potrebbero essere un meccanismo compensatorio e riflettere l’allocazione di risorse esecutive addizionali per far fronte alle difficoltà nell’eseguire il compito (anche i pazienti senza MHE mostrano infatti una riduzione nella P3a, indice di deficit attenzionali). Esperimento 5: La VII della P300 come indice per rilevare disfunzioni neurali in pazienti con cirrosi epatica. In pazienti con cirrosi, un’aumentata VII dei TR è già stata descritta, ed è stata considerata un possibile indice precoce di disfunzione cerebrale (Schiff et al., 2006). Sfortunatamente, la controparte neurale di questo fenomeno non è stata ancora dimostrata. Tuttavia, siccome una riduzione dell’ampiezza della P300 è stata osservata in questa popolazione di pazienti, allora è possibile ipotizzare che tale riduzione dipenda, almeno in parte, da un’aumentata variabilità delle latenze della P300 tra le singole epoche (come evidenziato per altre patologie, e.g., Hultsch et al., 2000). Per tali motivi, l’aumentata variabilità della P300, se evidenziata, potrebbe essere anch’essa un valido indice di disfunzione neurale. Inoltre, l’analisi della P300 per ogni singola epoca ha permesso di indagare la relazione tra i TR e i parametri (i.e., ampiezza e latenza) della P300, e comprendere come tale relazione cambi nel caso di patologie quali MHE. L’EEG è stato misurato durante l’esecuzione di un compito di reazione di scelta (compito Simon) in 14 pazienti con MHE (diagnosticata sulla base di test e alterazioni all’EEG), 15 pazienti senza MHE e 14 individui sani di controlli. L’ampiezza e la latenza della P300, assieme alla loro rispettiva deviazione standard, sono state ottenute attraverso un metodo non parametrico di stima bayesiana. La P300 è stata anche misurata con il classico metodo dell’averaging. Infine sono state analizzate la distribuzione dei TR e la sua relazione con i parametri della P300. Nei pazienti con cirrosi, i TR erano più lenti e più variabili rispetto ai controlli. Un aumento nella variabilità della latenza della P300 è stato anche mostrato in tali pazienti. La regressione lineare multipla ha evidenziato come l’ampiezza della P300 – misurata con il metodo dell’averaging – era predetta sia dalla deviazione standard della latenza della P300, che dalla sua ampiezza (entrambe misurate con il metodo bayesiano). Ciò indica che una ridotta P300 nei pazienti con MHE potrebbe anche dipendere da un’aumentata variabilità nella latenza della stessa. Inoltre, è stato mostrato come la latenza della P300 aumentava e l’ampiezza diminuiva all’aumentare dei TR nei controlli, ma non nei pazienti con MHE. Un altro segno di alterazione sembra quindi essere la più debole relazione tra parametri comportamentali e la P300, come osservato nei pazienti con MHE. Riassumendo, il presente studio ha suggerito come in condizioni normali vi sia una stretta relazione tra TR e P300, e la P300 sia stabile tra le diverse prove. In contrasto, quando vi è una disfunzione cerebrale, come nel caso della MHE, la relazione tra i diversi parametri è meno forte, e le risposte neurali diventano più variabili. 2° Parte: Conclusioni L’utilizzo dell’ICT ha fornito diverse evidenze riguardo ai marker cognitivi e neurali della MHE. Specificatamente, i pazienti con MHE hanno mostrato un rallentamento e un’attenuazione delle componenti della P300 nelle prove detect. Ciò sembra indicare deficit a carico dell’attenzione selettiva e sostenuta. Dall’altra parte, i pazienti senza MHE hanno evidenziato un aumento nelle ampiezze di alcune componenti (N2 e P3-nogo), che potrebbe riflettere un meccanismo neurale compensatorio. Infine l’esperimento 5 ha evidenziato il profilo della P300 nei pazienti con cirrosi. Infatti, tali pazienti, e specialmente coloro che presentavano MHE, hanno mostrato un aumento nella variabilità della latenza della P300, che può aver contribuito alla riduzione della sua ampiezza. CONCLUSIONI GENERALI La tecnica dell’analisi ERP si è rivelata uno strumento utile per esplorare le alterazioni cognitive e neurali sottostanti sia all’invecchiamento sano sia a una condizione patologica, quale la MHE. Sono stati osservati alcuni pattern di alterazioni elettrofisiologiche comuni tra le persone anziane e pazienti con cirrosi epatica (e.g., rallentamento delle componenti ERP, aumento di alcune componenti, quali la N2). Tali alterazioni hanno evidenziato come 1) i deficit legati all’invecchiamento o alla MHE evidenziati in compiti cognitivi complessi sembrano dipendere da alterazioni a carico di meccanismi più di base (come deficit attentivi, o rallentamento nell’elaborazione degli stimoli); 2) l’attività neurale sia di individui anziani sia di pazienti senza MHE è similmente caratterizzata da meccanismi compensatori, reclutati per affrontare le difficoltà nell’eseguire i compiti

Cognitive and electroencephalograohic markers of healthy and pathological aging

CONA, GIORGIA
2012

Abstract

La presente tesi si compone di due parti principali. Nella prima parte è stato studiato l’effetto dell’età sulla performance e sui potenziali evento-relati (ERP) elicitati in differenti compiti cognitivi. Nella seconda parte sono stati esplorati i cambiamenti elettrofisiologici (i.e., alterazioni a livello di ERP) e cognitivi che caratterizzano l’encefalopatia epatica minima (MHE), una sindrome neuropsichiatrica conseguente a cirrosi epatica. 1° PARTE: ALTERAZIONI COGNITIVE ED ELETTROFISIOLOGICHE ASSOCIATE ALL’INVECCHIAMENTO SANO. All’avanzare dell’età, le persone mostrano difficoltà in diversi compiti cognitivi. Tali compiti comprendono ad esempio compiti di tempi di reazione (TR) semplice o di scelta, test di memoria episodica, compiti di working memory o che coinvolgono funzioni esecutive, abilità spaziali e di ragionamento, test di rotazione mentale (e.g., Kausler, 1991; Salthouse, 1991). Dato che tali deficit sono così diffusi tra i diversi domini cognitivi, è ragionevole assumere che essi dipendano da un’alterazione a carico di un ristretto numero di meccanismi. Diverse teorie si sono occupate di rispondere a tale questione. Alcune di queste hanno suggerito, ad esempio, che l’invecchiamento cognitivo sia associato ad una riduzione nella quantità di risorse attenzionali disponibili (Craik, 1986; Craik & Byrd, 1982), ad un rallentamento nella velocità di elaborazione (Salthouse, 1996), o ad un declino nel controllo inibitorio delle informazioni contenute nella working memory (Hasher & Zacks, 1988). Una spiegazione cha ha recentemente ricevuto largo consenso sostiene che alla base delle alterazioni cognitive legate all’età vi sia una disfunzione a livello di controllo esecutivo, probabilmente dovuta a cambiamenti a carico della corteccia prefrontale (“teoria del controllo cognitivo” conosciuta anche come “ipotesi del mantenimento degli obiettivi”; Braver & West, 2008; Raz, 2000; West, 1996). Per controllo esecutivo si intende la capacità di rappresentare, mantenere e aggiornare gli obiettivi in memoria al fine di esercitare un controllo sui pensieri e sul comportamento (Cohen et al., 1996). Sulla base del lavoro di Miyake e collaboratori (2000), il controllo non sembra essere una funzione unitaria, ma è composta da diversi sotto-processi cognitivi, quali lo shifting, l’aggiornamento nella working memory e l’inibizione. Per esaminare il ruolo che ha il controllo esecutivo nello spiegare il declino cognitivo legato dell’invecchiamento, è stato testato l’effetto dell’età in quei compiti che sono stati dimostrati richiere un alto coinvolgimento di controllo esecutivo. In particolare, il primo studio di questa tesi (Esperimento 1) ha esaminato i cambiamenti, legati all’età, in un compito di memoria prospettica (MP) basata sul tempo, focalizzandosi sull’analisi di quelle modulazioni ERP che rifletterebbero il declino della MP nell’invecchiamento. La memoria prospettica basata sul tempo si riferisce infatti all’abilità di ricordarsi di eseguire un’azione in un particolare momento nel futuro (ad esempio, ricordarsi di andare ad un appuntamento alle tre; Brandimonte et al., 1996; Einstein & McDaniel, 2000; Kliegel et al., 2009). Un processo che è fondamentale per eseguire appropriatamente i compiti prospettici è il mantenimento e l’aggiornamento delle intenzioni prospettiche in memoria (che rappresentano altresì gli obiettivi del compito prospettico). Tali processi di mantenimento, essendo alterati nell’invecchiamento secondo la teoria del controllo cognitivo, potrebbero essere quindi il fattore chiave nel determinare le alterazioni osservate nei compiti di MP. L’analisi degli ERP elicitati dal compito prospettico si è rivelata utile per testare tale ipotesi, e per chiarire quali siano i meccanismi responsabili del declino in questo tipo di compiti. Il secondo studio ha indagato la relazione tra controllo esecutivo e invecchiamento cognitivo confrontando la prestazione di individui giovani e quella di individui più anziani in un compito in cui veniva variato il carico di controllo esecutivo tra le condizioni. Il compito, chiamato Inhibitory Control Task (ICT) (Bajaj et al., 2008a) è, infatti, composto da tre differenti condizioni, che differiscono per le risorse esecutive necessarie. Se il controllo esecutivo è il fattore chiave nel determinare il deterioramento cognitivo osservato nei diversi compiti, allora l’effetto dell’età sulla performance all’ICT dovrebbe essere tanto maggiore quanto più elevato è il grado di controllo esecutivo richiesto. Inoltre, l’ICT ha permesso di studiare le alterazioni legate all’età negli ERP associati ai differenti meccanismi che compongono il controllo esecutivo, ovverosia l’aggiornamento nella working memory, l’updating e l’inibizione (Miyake et al., 2000). I due studi saranno qui sotto descritti in dettaglio: Esperimento 1: Meccanismi ERP sottostanti alle alterazioni, legate all’età, nella memoria prospettica basata sul tempo. Esiste un generale consenso, tra gli studi sulla MP, riguardo all’effetto deleterio che ha l’invecchiamento sulle prestazioni in compiti di MP basata sul tempo (Bastin & Meulemans, 2002; McDaniel & Einstein, 1992; Park et al., 1997; vedere anche Henry, MacLeod, Phillips, & Crawford, 2004, per una rassegna). Secondo la teoria di Craik (1986), poiché nei compiti di MP non ci sono espliciti suggerimenti dall’ambiente che aiutano il recupero dell’intenzione, gli individui necessiterebbero di un maggior reclutamento di processi attenzionali e auto-iniziati per recuperare le intenzioni. Dato che l’invecchiamento è associato ad una riduzione nella disponibilità di tali risorse attenzioni, ciò determinerebbe un’alterazione nella prestazione dei compiti di MP negli individui più anziani. Dall’altra parte, secondo la teoria del controllo cognitivo (o anche detta “ipotesi del mantenimento degli obiettivi”; Braver & West, 2008), gli anziani avrebbero delle difficoltà nella rappresentazione e nel mantenimento degli obiettivi nel corso del tempo. Nel caso della MP basata sul tempo, i deficit nel mantenere attivi gli obiettivi (cioè le intenzioni) porterebbe ad un fallimento nell’eseguire con successo l’azione intesa. Sebbene un elevato numero di studi abbia esaminato come la MP basata sul tempo declini con l’età, tuttavia nessuno studio si è mai occupato finora di indagare l’attività neurale alla base di tale declino. Per tale motivo, il presente studio ha avuto lo scopo di esplorare le alterazioni legate all’età dei meccanismi elettrofisiologici alla base della MP basata sul tempo. A tal fine, gli ERP associati ad un compito detto ongoing (i.e., un compito eseguito simultaneamente al compito prospettico) sono stati analizzati in 18 anziani e di 15 giovani e sono stati confrontati tra due diversi blocchi: il blocco di baseline e il blocco prospettico. Nel blocco di baseline veniva chiesto ai partecipanti di eseguire solamente il compito ongoing, mentre nel blocco prospettico si chiedeva di eseguire, assieme al compito ongoing, anche il compito di MP. Il compito ongoing consisteva nel valutare, all’interno di stringhe di cinque lettere, se le lettere in seconda e quarta posizione fossero uguali o diverse premendo con la mano destra uno di due possibili tasti. Nel compito di MP basata sul tempo, ai partecipanti era richiesto di premere un tasto ogni 5 minuti a partire dall’inizio del blocco prospettico. Per aiutarli nella stima del tempo, era stata data loro la possibilità di controllare l’orologio (che sarebbe comparso sullo schermo qualora avessero premuto un ulteriore tasto). Gli ERP analizzati erano elicitati dalla comparsa dello stimolo ongoing (i.e., la stringa di lettere). I TR, l’accuratezza e gli ERP nelle prove ongoing sono stati analizzati confrontando il blocco di baseline e quello prospettico, sia nei giovani che negli anziani. Inoltre sono stati analizzati sia la percentuale di accuratezza nel compito prospettico che il numero di controlli dell’orologio. Per quanto riguarda i risultati comportamentali, gli anziani mostravano una percentuale di accuratezza inferiore nel compito prospettico rispetto ai giovani. Inoltre gli anziani hanno mostrato un aumento dei TR al compito ongoing rispetto ai giovani, sia nella baseline che nel blocco prospettico. A livello di dati elettrofisiologici, i giovani hanno mostrato delle modulazioni positive e sostenute degli ERP elicitati dagli stimoli ongoing dovute all’aggiunta del compito prospettico, che erano espresse maggiormente sopra le regioni frontali e prefrontali. Tali modulazioni riflettevano il carico nel mantenere le intenzioni attive in memoria, come recentemente suggerito (Cona et al., in press; West et al., 2011). Dall’altra parte, negli anziani, tali modulazioni erano maggiormente espresse sopra le regioni posteriori. È infatti interessante notare che i giovani, ma non gli anziani, mostravano una maggiore positività degli ERP nel blocco prospettico rispetto alla baseline a livello di siti frontopolari. Ad un primo sguardo, l’assenza della modulazione prefrontale negli anziani sembra riflettere la loro difficoltà nel mantenere in memoria le intenzioni prospettiche, in accordo con la teoria del controllo cognitivo (Braver & West, 2008). Tuttavia, l’analisi delle differenze ERP tra i due gruppi (già nella baseline) ha permesso di comprendere meglio quale fosse il meccanismo responsabile di questo peggioramento nella performance prospettica. Infatti nel blocco di baseline, se confrontati con i giovani, gli anziani mostravano una P300 meno ampia sopra le regioni parietali, e più ampia sopra le regioni prefrontali. L’anteriorizzazione della P300 negli anziani è un fenomeno già ben documentato in letteratura (Daffner et al., 2006; 2011) e sembra indicare il reclutamento di un maggior numero di risorse per compensare le difficoltà nell’eseguire il compito ongoing. In generale, tali risultati suggeriscono che gli anziani hanno difficoltà già nel blocco di baseline, e che affrontano tali difficoltà reclutando risorse frontali addizionali (come indicato dall’anteriorizzazione della P300). Se troppe risorse sono reclutate per eseguire il compito ongoing, allora ne rimarrebbero meno per mantenere adeguatamente le intenzioni in memoria e ciò determinerebbe una performance peggiore al compito prospettico. Sembra quindi più ragionevole assumere che il declino nel controllo esecutivo, richiesto per mantenere le intenzioni in memoria, non sia la causa primaria dei cambiamenti nei compiti prospettici, ma piuttosto sia a sua volta la conseguenza di una minor disponibilità di risorse cognitive, come postulato nella teoria di Craik (1986). Esperimento 2: Influenza dell’invecchiamento sugli ERP associati ai processi legati al controllo esecutivo. Secondo la teoria del controllo cognitivo (Braver & West, 2008), un declino del controllo esecutivo dovuto all’età produrrebbe deficit in quei compiti cognitivi che coinvolgono in misura maggiore proprio quella funzione. Al fine di studiare tale ipotesi, abbiamo utilizzato l’Inhibitory Control Task (ICT; Bajaj et al., 2008a). Durante l’ICT, una serie di lettere viene presentata, molto velocemente, una dopo l’altra. Nella prima parte del compito è richiesto di premere un tasto quando compare o la lettera X o la Y. Le prove in cui compaiono tali lettere vengono definite prove Detect. Nella seconda parte del compito è richiesto di premere il tasto solo quando la X e la Y si alternano (prove Go), ad esempio quando la X è preceduta da una Y, o vice versa, indipendentemente dalle lettere che vengono presentate tra le due lettere target. Quando le lettere X e Y si ripetono (ad esempio, una X è preceduta da un’altra X), allora è necessario inibire la risposta (prove Nogo). In tal modo, l’ICT include prove che richiedono un differente grado di controllo esecutivo per essere eseguite. Infatti, le prove Detect richiedono semplicemente di prestare attenzione selettiva e di rispondere a specifici stimoli, e coinvolgono per questo un basso grado di controllo esecutivo. Le prove Go implicano anche un processo di aggiornamento nella working memory. Infine, le prove Nogo richiedono il maggior carico di controllo esecutivo, coinvolgendo non solo un processo di aggiornamento ma anche l’inibizione di risposta. Sulla base della teoria del controllo cognitivo, le differenze tra giovani e anziani nella prestazione all’ICT dovrebbero essere minori nelle prove detect, intermedie nelle prove go e massime nelle prove nogo. In aggiunta, questo studio aveva lo scopo di studiare l’effetto dell’età sui singoli processi che compongono il controllo esecutivo (Miyake et al., 2000). Per tale motivo, è stato studiato l’effetto dell’età sull’ampiezza e la latenza della P3b, della P3-nogo e della RON (reorienting negativity) che riflettono rispettivamente i processi di aggiornamento, inibizione e shifting. Al fine di dissociare meglio quali fossero le componenti ERP legate ai differenti processi studiati, è stata condotta la partial least square (PLS) analisi. Diciassette giovani e sedici anziani hanno partecipato all’esperimento ed eseguito l’ICT. Contro le predizioni formulate, i dati comportamentali hanno rivelato come gli anziani avessero una performance peggiore rispetto ai giovani in tutti i tipi di prove, quindi dalle prove detect alle prove nogo. È importante notare che l’effetto dell’età non interagiva con il tipo di prova, ed era quindi indipendente dal grado di controllo esecutivo necessario per eseguire quella data prova. Ciò indica che il controllo esecutivo, quando inteso come costrutto unitario, non sembra essere il fattore elettivo responsabile dei deficit mostrati dagli anziani nell’ICT. In linea con i risultati comportamentali, gli anziani hanno mostrato un ritardo in tutte le componenti ERP indagate (P3b, N2, RON, P3-nogo), indipendentemente dal tipo di prova esaminata. Questo ritardo nella latenza degli ERP legato all’età sembra riflettere un generale rallentamento dei processi cognitivi. Tale idea offre supporto alla teoria di Salthouse (1996), la quale assume che il declino cognitivo legato all’età sia dovuto ad una generale riduzione nella velocità di elaborazione. Un altro risultato rilevante consiste nel fatto che le componenti RON sono risultate particolarmente sensibili all’invecchiamento. Tali componenti, che riflettono lo shifting attenzionale (Berti et al., 2008), erano ritardate e meno ampie negli anziani rispetto ai giovani. Solamente uno studio finora ha indagato le alterazioni, legate all’età, a carico delle componenti RON, ma utilizzando un paradigma uditivo di distrazione (Horváth et al., 2009). In questo senso il presente studio ha esteso i risultati ottenuti nello studio di Horváth, suggerendo che un declino nello shift attenzionale non avviene solo dopo stimoli distraenti (come evidenziato da Horváth) ma anche dopo stimoli rilevanti per il compito. Sembra, infatti, che negli anziani il meccanismo di shifting dell’attenzione sia più lento e dispendioso, probabilmente a causa del fatto che essi sono ancora occupati ad elaborare lo stimolo precedente. Riassumendo, i dati elettrofisiologici e comportamentali convergono nel rivelare che il peggioramento nei compiti cognitivi associato all’invecchiamento potrebbe essere, almeno parzialmente, spiegabile da un rallentamento generale di elaborazione delle informazioni. Infatti, coerentemente con le conclusioni formulate nella rassegna di Verheagen (2011), una riduzione nella velocità dei processi sembra spiegare meglio i deficit cognitivi dell’anziano, rispetto ad un possibile deterioramento nel controllo esecutivo (quando inteso come processo unitario). Dall’altra parte, un sottoprocesso del controllo esecutivo, lo shifting attenzionale, sembra essere particolarmente sensibile all’età, e potrebbe quindi rappresentare un possibile candidato per spiegare la molteplicità di deficit nell’anziano. 1° Parte: Conclusioni Sebbene i presenti studi abbiano utilizzato differenti paradigmi e compiti, tuttavia convergono nel mostrare come il controllo esecutivo non giochi un ruolo cruciale nel determinare i deficit cognitivi evidenziati in questi compiti. Piuttosto, un declino nei processi più di base sembra essere il fattore chiave per spiegare la molteplicità dei deficit cognitivi nell’invecchiamento. In particolare, l’analisi degli ERP ha permesso di evidenziare che i cambiamenti legati all’età sono più probabilmente dovuti ad una riduzione: 1) nella disponibilità delle risorse cognitive, 2) nella velocità di elaborazione. Le alterazioni elettrofisiologiche legate all’età sembrano interessare in misura maggiore le modulazioni ERP osservate a livello di siti prefrontali, ed sono particolarmente espresse in termini di ritardo delle latenze. È interessante notare la presenza di meccanismi compensatori negli anziani, riflessi in un aumento nell’ampiezza di diverse componenti (rispetto ai giovani). Ciò suggerisce che l’invecchiamento non solo implica un declino cognitivo e neurale, ma coinvolge anche risposte cognitive e neurali adattive. 2° PARTE: ALTERAZIONI COGNITIVE AND ELETTROFISIOLOGICHE ASSOCIATE ALL’ENCEFALOPATIA EPATICA MINIMA. L’encefalopatia epatica è una sindrome neuropsichiatrica che può presentarsi in pazienti con cirrosi epatica. Il rilevamento dei primi, seppur lievi, segni dell’encefalopatia epatica è estremamente importante. Questa iniziale e subclinica condizione, chiamata encefalopatia epatica minima (MHE; Ferenci et al., 1998) ha infatti un impatto sulla qualità della vita (Groeneweg et al., 1998; Zhou et al. 2009) e sull’abilità di guida (Wein et al., 2004). Inoltre, ha un valore prognostico negativo in relazione alla probabilità di sviluppare episodi di encefalopatia conclamata, nonché di morte (Amodio et al., 1999; Romero-Gomez et al., 2007). Il profilo della MHE è caratterizzato da alterazioni cognitive che coinvolgono processi quali l’attenzione selettiva, le funzioni esecutive, l’abilità visuo-motoria, la velocità di elaborazione, l’inibizione e la selezione di risposta (Amodio et al., 2005). La MHE causa anche una disfunzione cerebrale comunemente rilevabile sia dal rallentamento dell’elettroencefalogramma (EEG) sia dal ritardo osservato nelle latenze degli ERP, tra cui la P300 (Amodio et al., 2005; Weissenborn et al., 2005). Quindi, quando possibile, la diagnosi di MHE dovrebbe essere preferibilmente basata su una combinazione di indici neuropsicologici/neurofisiologici. L’Inhibitory Control Task (ICT) è stato recentemente proposto come un semplice strumento diagnostico per la MHE (Bajaj et al. 2007; 2008a). Tuttavia, la sua applicabilità a differenti popolazioni di pazienti con cirrosi, così come la sua relazione con altre misure di MHE necessitano di essere confermate. Per tali motivi, è stato condotto un esperimento (Esperimento 3) che aveva lo scopo di valutare la specificità e la sensibilità dell’ICT per la diagnosi della MHE. L’Esperimento 4 si è invece focalizzato di indagare l’effetto della MHE sugli ERP elicitati dall’ICT, in modo tale da ottenere informazioni sulle alterazioni cognitive ed elettrofisiologiche caratteristiche della MHE. A proposito delle alterazioni elettrofisiologiche legate alla MHE, un ulteriore esperimento (Esperimento 5) ha indagato la variabilità intra-individuale dei parametri della P300 (latenza e ampiezza) nei pazienti cirrotici con MHE. C’è un crescente interesse riguardo alla variabilità nella prestazione cognitiva (e.g., nei TR) nel campo delle neuroscienze cognitive (MacDonald et al., 2006) poiché la VII è stata largamente considerata un possibile indice comportamentale di meccanismi neurali compromessi (e.g., Hultsch et al., 2000). Tuttavia gli studi che hanno stabilito un legame tra la VII delle risposte comportamentali e quella delle risposte neurali sono ancora pochi. La MHE sembra un valido modello di patologia per studiare questa relazione poiché i pazienti con MHE mostrano un aumento nella variabilità dei TR (Elsass et al., 1985; Schiff et al., 2006). Per tale motivo, nell’Esperimento 5, i parametri delle P300 misurati per ogni singola epoca, attraverso la tecnica di stima Bayesiana (D’Avanzo et al., 2011), sono stati esaminati per studiare il correlato elettrofisiologico della VII nella velocità di risposta. Inoltre sono stati esplorati i possibili cambiamenti nella relazione tra i parametri della P300 e dei TR che avvengono in pazienti con MHE. Esperimenti 3 e 4: L’ICT come strumento adatto per rilevare le alterazioni cognitive ed elettrofisiologiche in pazienti con cirrosi epatica. Nell’Esperimento 3, 75 pazienti con cirrosi e 55 controlli sani hanno eseguito l’ICT presso due centri di riferimento per lo studio dell’encefalopatia epatica. I pazienti venivano valutati per la MHE attraverso il Psychometric Hepatic Encephalopathy Score (PHES) e le analisi spettrali dell’EEG. La performance alle prove go e nogo è stata comparata tra i due gruppi. I pazienti con cirrosi presentavano un maggior numero di errori (i.e., lures) nelle prove nogo, e mostravano un’accuratezza peggiore anche nelle prove go, rispetto ai controlli. Tuttavia, il numero di lures era comparabile tra pazienti con e pazienti senza MHE. È importante notare come ci fosse una relazione inversa tra accuratezza nelle prove go e numero di errori, quando l’accuratezza nelle prove go era particolarmente bassa. Questo non è sorprendente: una bassa accuratezza alle prove go indica che molte di queste prove avevano una risposta mancante (infatti nelle prove go un errore consiste in una risposta mancante); tuttavia se un individuo commette tante risposte mancanti, allora è più probabile che “esegua” correttamente le prove nogo (le quali infatti prevedono una mancanza di risposta come ‘risposta’ corretta). In questo senso il numero basso di errori alle prove nogo è un fenomeno spurio. È stata quindi codificata una nuova variabile (weighted lures, o “lures pesati”), in cui il numero di lure veniva aggiustato per la percentuale di accuratezza nelle prove go. Tale variabile si è mostrata in grado di differenziare i pazienti con e i pazienti senza MHE. L’accuratezza nelle prove go si è rivelata comunque essere una valida misura anche quando veniva considerata da sola. Quindi, per rilevare segni di MHE, testare l’inibizione (lures) non sembra essere superiore rispetto al testare l’attenzione e l’aggiornamento nella working memory (accuratezza nelle prove go). L’Esperimento 4 ha permesso di studiare le alterazioni elettrofisiologiche legate alla cirrosi epatica ed evidenziate nelle prove che compongono l’ICT. In tale studio, sono stati analizzati gli ERP confrontando pazienti cirrotici con MHE (N=13), senza MHE (N=18) e individui di controllo (N=17). In particolare sono stati esaminati gli ERP elicitati dalle prove detect, go e nogo, in quanto possono essere un indice dei processi di attenzione selettiva, working memory e inibizione, rispettivamente. I dati sono stati inoltre analizzati attraverso l’analisi PLS, la cui efficacia nell’identificare variabili latenti è particolarmente adatta per dissociare i correlati ERP dei diversi processi. I risultati ottenuti dall’ANOVA e dall’analisi PLS hanno mostrato alterazioni associate alla MHE che interessavano selettivamente gli ERP nelle prove detect. Specificatamente, queste erano rappresentate da una riduzione della P3a a livello di siti frontocentrali e da un ritardo della P3b. Poiché le prove detect coinvolgono principalmente processi attenzionali, le alterazioni evidenziate in tali prove potrebbero indicare un deterioramento delle abilità cognitive più di base, quali l’attenzione. Questo risultato corrobora la conclusione ottenuta nell’esperimento 3, che concerne l’appropriatezza di testare abilità più di base (come l’attenzione) prima, o assieme, alla valutazione delle abilità più di alto livello (i.e., l’inibizione). Il secondo principale, e inaspettato, risultato consiste nell’aumento (invece di una diminuzione) dell’ampiezza di diverse componenti (cioè la N2, la P3-nogo) in pazienti cirrotici senza MHE. Questi cambiamenti elettrofisiologici potrebbero essere un meccanismo compensatorio e riflettere l’allocazione di risorse esecutive addizionali per far fronte alle difficoltà nell’eseguire il compito (anche i pazienti senza MHE mostrano infatti una riduzione nella P3a, indice di deficit attenzionali). Esperimento 5: La VII della P300 come indice per rilevare disfunzioni neurali in pazienti con cirrosi epatica. In pazienti con cirrosi, un’aumentata VII dei TR è già stata descritta, ed è stata considerata un possibile indice precoce di disfunzione cerebrale (Schiff et al., 2006). Sfortunatamente, la controparte neurale di questo fenomeno non è stata ancora dimostrata. Tuttavia, siccome una riduzione dell’ampiezza della P300 è stata osservata in questa popolazione di pazienti, allora è possibile ipotizzare che tale riduzione dipenda, almeno in parte, da un’aumentata variabilità delle latenze della P300 tra le singole epoche (come evidenziato per altre patologie, e.g., Hultsch et al., 2000). Per tali motivi, l’aumentata variabilità della P300, se evidenziata, potrebbe essere anch’essa un valido indice di disfunzione neurale. Inoltre, l’analisi della P300 per ogni singola epoca ha permesso di indagare la relazione tra i TR e i parametri (i.e., ampiezza e latenza) della P300, e comprendere come tale relazione cambi nel caso di patologie quali MHE. L’EEG è stato misurato durante l’esecuzione di un compito di reazione di scelta (compito Simon) in 14 pazienti con MHE (diagnosticata sulla base di test e alterazioni all’EEG), 15 pazienti senza MHE e 14 individui sani di controlli. L’ampiezza e la latenza della P300, assieme alla loro rispettiva deviazione standard, sono state ottenute attraverso un metodo non parametrico di stima bayesiana. La P300 è stata anche misurata con il classico metodo dell’averaging. Infine sono state analizzate la distribuzione dei TR e la sua relazione con i parametri della P300. Nei pazienti con cirrosi, i TR erano più lenti e più variabili rispetto ai controlli. Un aumento nella variabilità della latenza della P300 è stato anche mostrato in tali pazienti. La regressione lineare multipla ha evidenziato come l’ampiezza della P300 – misurata con il metodo dell’averaging – era predetta sia dalla deviazione standard della latenza della P300, che dalla sua ampiezza (entrambe misurate con il metodo bayesiano). Ciò indica che una ridotta P300 nei pazienti con MHE potrebbe anche dipendere da un’aumentata variabilità nella latenza della stessa. Inoltre, è stato mostrato come la latenza della P300 aumentava e l’ampiezza diminuiva all’aumentare dei TR nei controlli, ma non nei pazienti con MHE. Un altro segno di alterazione sembra quindi essere la più debole relazione tra parametri comportamentali e la P300, come osservato nei pazienti con MHE. Riassumendo, il presente studio ha suggerito come in condizioni normali vi sia una stretta relazione tra TR e P300, e la P300 sia stabile tra le diverse prove. In contrasto, quando vi è una disfunzione cerebrale, come nel caso della MHE, la relazione tra i diversi parametri è meno forte, e le risposte neurali diventano più variabili. 2° Parte: Conclusioni L’utilizzo dell’ICT ha fornito diverse evidenze riguardo ai marker cognitivi e neurali della MHE. Specificatamente, i pazienti con MHE hanno mostrato un rallentamento e un’attenuazione delle componenti della P300 nelle prove detect. Ciò sembra indicare deficit a carico dell’attenzione selettiva e sostenuta. Dall’altra parte, i pazienti senza MHE hanno evidenziato un aumento nelle ampiezze di alcune componenti (N2 e P3-nogo), che potrebbe riflettere un meccanismo neurale compensatorio. Infine l’esperimento 5 ha evidenziato il profilo della P300 nei pazienti con cirrosi. Infatti, tali pazienti, e specialmente coloro che presentavano MHE, hanno mostrato un aumento nella variabilità della latenza della P300, che può aver contribuito alla riduzione della sua ampiezza. CONCLUSIONI GENERALI La tecnica dell’analisi ERP si è rivelata uno strumento utile per esplorare le alterazioni cognitive e neurali sottostanti sia all’invecchiamento sano sia a una condizione patologica, quale la MHE. Sono stati osservati alcuni pattern di alterazioni elettrofisiologiche comuni tra le persone anziane e pazienti con cirrosi epatica (e.g., rallentamento delle componenti ERP, aumento di alcune componenti, quali la N2). Tali alterazioni hanno evidenziato come 1) i deficit legati all’invecchiamento o alla MHE evidenziati in compiti cognitivi complessi sembrano dipendere da alterazioni a carico di meccanismi più di base (come deficit attentivi, o rallentamento nell’elaborazione degli stimoli); 2) l’attività neurale sia di individui anziani sia di pazienti senza MHE è similmente caratterizzata da meccanismi compensatori, reclutati per affrontare le difficoltà nell’eseguire i compiti
26-gen-2012
Inglese
aging, prospective memory, executive control, inhibition, inhibitory control task, ERPs, event-related potentials, minimal hepatic encephalopathy, single-trial analysis,
BISIACCHI, PATRIZIA
Università degli studi di Padova
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-82352