Lo shock cardiogeno refrattario è una condizione gravata da alta mortalità nonostante i progressi nella terapia medica. Il trattamento convenzionale comprende infusione di inotropi, vasopressori, e contropulsazione aortica (intra-aortic-balloon-pump – IABP). Quando l’instabilità emodinamica è refrattaria a questi trattamenti, il supporto meccanico al circolo rappresenta la sola possibilità di sopravvivenza, come indicato dalle attuali linee guida. Tuttavia, poichè la maggior parte di questi pazienti si presenta con severa instabilità emodinamica che richiede un intervento urgente o emergente, l’assistenza meccanica scelta dovrebbe essere impiantabile in maniera rapida e semplice. Per questa ragione, l’ExtraCorporeal Membrane Oxygenation (ECMO) rappresenta l’ideale “bridge-to-life”, che sempre più viene usato per supportare le funzioni vitali in attesa che il programma terapeutico ottimale venga stabilito (bridge-to-decision). L’iter terapeutico può poi seguire tre diversi percorsi: “bridge-to-recovery”: il paziente recupera una funzione cardiocircolatoria tale da permettere lo svezzamento dall’ECMO; “bridge-to-transplant”: il paziente viene sottoposto a trapianto cardiaco; “bridge-to-bridge”: il paziente viene trattato con impianto di un’assistenza ventricolare o di un cuore artificiale totale. Sono state riportate diverse ampie casistiche sull’uso dell’ ECMO come supporto meccanico in pazienti con shock dopo intervento cardiochirurgico (“post-cardiotomy”), ma relativamente poche serie, e limitate a pochi casi, focalizzate sul ruolo dell’ECMO nello shock cardiogeno primario (non post-cardiotomico). In questo studio si presenta l’esperienza del centro di Padova nel trattamento dello shock cardiogeno primario con il sistema ECMO PLS-Quadrox (Maquet) come bridge-to-decision. In particolare, la ricerca proposta si prefigge di valutare l’impatto della differente eziologia sull'outcome dei pazienti, paragonando gli shock cardiogeni primari “acuti”, secondari ad infarto miocardico acuto, miocardite, embolia polmonare e cardiomiopatia post-partum, con scompensi acuti di cardiomiopatie “croniche”, includendo cardiomiopatie dilatative primitive, post-ischemiche, e cardiopatie congenite dell’adulto. Si è infine analizzato se la durata e l’entità del supporto possano predire la chance di sopravvivenza e di svezzamento. Materiali e metodi. Tra Gennaio 2009 e Marzo 2013, sono stati impiantati con ECMO un totale di 249 pazienti, di questi 64 erano affetti da shock cardiogeno "primario" (52 uomini e 12 donne, di 50±16 anni di età) e sono stati trattati con supporto ECMO periferico. Trentasette casi (58%) sono stati classificati come "acuti" (Gruppo A, Acuti, IMA 39%, miocardite 6%, embolia polmonare 8%, post-partum 2%), mentre i rimanenti 27 (42%) shock erano insorti in un quadro di scompenso cardiaco "cronico" (Gruppo B, Cronici, cardiomiopatia dilatativa primitiva 30%, cardiomiopatia dilatativa post-ischemica 9%, patologie congenite 3%). Risultati della ricerca. Nel gruppo con scompenso cardiaco cronico (Gruppo B), 23 pazienti sono stati trattati con impianto o di assistenza ventricolare sinistra (52%) o trapianto cardiaco ortotopico (33%). Nel gruppo con scompenso cardiaco acuto (Gruppo A), l' ECMO è stato usato come ponte a trapianto in 3 pazienti (8%), come ponte ad impianto di assistenza ventricolare sinistra in 9 pazienti (24%) e come ponte al recupero della propria funzionalità cardiaca in 18 pazienti (49%). Un solo paziente in ogni gruppo è stato trattato con chirurgia tradizionale. Il recupero della funzionalità cardiaca si è osservato solo all'interno del Gruppo A (18 vs. 0 pazienti, p=0,0001). E' stato visto che mantenere un flusso medio di supporto ≤60% del flusso teorico (BSA*2,4) costituisce un predittore positivo di svezzamento dal dispositivo (p=0,02). Globalmente, la durata media del supporto ECMO è stata di 8,9±9 giorni. Nove pazienti (14%) sono deceduti durante il supporto ECMO; la sopravvivenza globale a 30 giorni è stata dell' 80% (5/64 pazienti); il 59% dei pazienti è stato dimesso dall’ ospedale e, tra questi, la sopravvivenza a 48 mesi è stata del 90%, senza differenze significative nei due gruppi. La sopravvivenza migliore si è osservata in quei pazienti che hanno necessitato di supporto ECMO per un periodo inferiore o uguale ad 8 giorni (74% vs. 36%, P=0,002). In conclusione nei pazienti con shock cardiogeno refrattario nell'ambito di uno scompenso cardiaco cronico l'ECMO rappresenta un dispositivo-ponte verso l'impianto di assistenza ventricolare sinistra o verso trapianto cardiaco. Nei pazienti con shock refrattario dovuto ad eziologia acuta, invece, tale supporto offre sostanziali chance di recovery, costituendo spesso l'unica terapia necessaria.

Extracorporeal membrane oxygenation(ECMO) in refractory cardiogenic shock: impact of acute versus chronic etiology on outcome

TARZIA, VINCENZO
2015

Abstract

Lo shock cardiogeno refrattario è una condizione gravata da alta mortalità nonostante i progressi nella terapia medica. Il trattamento convenzionale comprende infusione di inotropi, vasopressori, e contropulsazione aortica (intra-aortic-balloon-pump – IABP). Quando l’instabilità emodinamica è refrattaria a questi trattamenti, il supporto meccanico al circolo rappresenta la sola possibilità di sopravvivenza, come indicato dalle attuali linee guida. Tuttavia, poichè la maggior parte di questi pazienti si presenta con severa instabilità emodinamica che richiede un intervento urgente o emergente, l’assistenza meccanica scelta dovrebbe essere impiantabile in maniera rapida e semplice. Per questa ragione, l’ExtraCorporeal Membrane Oxygenation (ECMO) rappresenta l’ideale “bridge-to-life”, che sempre più viene usato per supportare le funzioni vitali in attesa che il programma terapeutico ottimale venga stabilito (bridge-to-decision). L’iter terapeutico può poi seguire tre diversi percorsi: “bridge-to-recovery”: il paziente recupera una funzione cardiocircolatoria tale da permettere lo svezzamento dall’ECMO; “bridge-to-transplant”: il paziente viene sottoposto a trapianto cardiaco; “bridge-to-bridge”: il paziente viene trattato con impianto di un’assistenza ventricolare o di un cuore artificiale totale. Sono state riportate diverse ampie casistiche sull’uso dell’ ECMO come supporto meccanico in pazienti con shock dopo intervento cardiochirurgico (“post-cardiotomy”), ma relativamente poche serie, e limitate a pochi casi, focalizzate sul ruolo dell’ECMO nello shock cardiogeno primario (non post-cardiotomico). In questo studio si presenta l’esperienza del centro di Padova nel trattamento dello shock cardiogeno primario con il sistema ECMO PLS-Quadrox (Maquet) come bridge-to-decision. In particolare, la ricerca proposta si prefigge di valutare l’impatto della differente eziologia sull'outcome dei pazienti, paragonando gli shock cardiogeni primari “acuti”, secondari ad infarto miocardico acuto, miocardite, embolia polmonare e cardiomiopatia post-partum, con scompensi acuti di cardiomiopatie “croniche”, includendo cardiomiopatie dilatative primitive, post-ischemiche, e cardiopatie congenite dell’adulto. Si è infine analizzato se la durata e l’entità del supporto possano predire la chance di sopravvivenza e di svezzamento. Materiali e metodi. Tra Gennaio 2009 e Marzo 2013, sono stati impiantati con ECMO un totale di 249 pazienti, di questi 64 erano affetti da shock cardiogeno "primario" (52 uomini e 12 donne, di 50±16 anni di età) e sono stati trattati con supporto ECMO periferico. Trentasette casi (58%) sono stati classificati come "acuti" (Gruppo A, Acuti, IMA 39%, miocardite 6%, embolia polmonare 8%, post-partum 2%), mentre i rimanenti 27 (42%) shock erano insorti in un quadro di scompenso cardiaco "cronico" (Gruppo B, Cronici, cardiomiopatia dilatativa primitiva 30%, cardiomiopatia dilatativa post-ischemica 9%, patologie congenite 3%). Risultati della ricerca. Nel gruppo con scompenso cardiaco cronico (Gruppo B), 23 pazienti sono stati trattati con impianto o di assistenza ventricolare sinistra (52%) o trapianto cardiaco ortotopico (33%). Nel gruppo con scompenso cardiaco acuto (Gruppo A), l' ECMO è stato usato come ponte a trapianto in 3 pazienti (8%), come ponte ad impianto di assistenza ventricolare sinistra in 9 pazienti (24%) e come ponte al recupero della propria funzionalità cardiaca in 18 pazienti (49%). Un solo paziente in ogni gruppo è stato trattato con chirurgia tradizionale. Il recupero della funzionalità cardiaca si è osservato solo all'interno del Gruppo A (18 vs. 0 pazienti, p=0,0001). E' stato visto che mantenere un flusso medio di supporto ≤60% del flusso teorico (BSA*2,4) costituisce un predittore positivo di svezzamento dal dispositivo (p=0,02). Globalmente, la durata media del supporto ECMO è stata di 8,9±9 giorni. Nove pazienti (14%) sono deceduti durante il supporto ECMO; la sopravvivenza globale a 30 giorni è stata dell' 80% (5/64 pazienti); il 59% dei pazienti è stato dimesso dall’ ospedale e, tra questi, la sopravvivenza a 48 mesi è stata del 90%, senza differenze significative nei due gruppi. La sopravvivenza migliore si è osservata in quei pazienti che hanno necessitato di supporto ECMO per un periodo inferiore o uguale ad 8 giorni (74% vs. 36%, P=0,002). In conclusione nei pazienti con shock cardiogeno refrattario nell'ambito di uno scompenso cardiaco cronico l'ECMO rappresenta un dispositivo-ponte verso l'impianto di assistenza ventricolare sinistra o verso trapianto cardiaco. Nei pazienti con shock refrattario dovuto ad eziologia acuta, invece, tale supporto offre sostanziali chance di recovery, costituendo spesso l'unica terapia necessaria.
2-feb-2015
Inglese
Extracorporeal Membrane Oxygenation (ECMO); Shock Cardiogeno; Supporto Meccanico al Circolo / Extracorporeal Membrane Oxygenation (ECMO); Cardiogenic Shock; Mechanical Circulatory Support
GEROSA, GINO
THIENE, GAETANO
Università degli studi di Padova
155
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/82462
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-82462