Questo progetto si inquadra nell’ambito della nanomedicina. Sfruttando sistemi multivalenti esso si propone di ottenere nanostrutture che siano in grado di riconoscere specificatamente le cellule tumorali epatiche. La multivalenza, molto frequente in natura, si basa sulla capacità di un sistema di instaurare molteplici interazioni deboli, ottenendo un’interazione complessiva superiore rispetto al singolo legame forte. Essa si presta ad essere utilizzata in applicazioni pratiche come il riconoscimento molecolare e la catalisi. Tra i vari sistemi multivalenti artificiali utilizzabili (dendrimeri, micelle, liposomi …), la scelta è ricaduta sulle nanoparticelle d’oro: esse sono piccoli nuclei di atomi d'oro con diametri che tipicamente variano da 1 a 20 nanometri, che possono facilmente essere funzionalizzate tramite l'autoassemblaggio di un monostrato di molecole sulla superficie. Tale monostrato può portare sulla superficie esterna gruppi funzionali di interesse, dotati di capacità catalitica o di riconoscimento. Per legare le molecole del monostrato organico ai nuclei d’oro è stata utilizzata l’interazione oro-zolfo; lo zolfo, infatti, lega l’oro con un legame più forte rispetto alla maggior parte degli altri elementi, come azoto e fosforo. La ricerca descritta in questa tesi si è focalizzata sull’ottenimento di un sistema nanoparticellare “universale”, cioè un sistema che si presta ad una post-funzionalizzazione dopo la sintesi e la purificazione. Tale post-funzionalizzabile deve essere compatibile con la sopravvivenza delle nanoparticelle stesse, permettendo di assemblanrvi un monostrato misto sulla sua superficie. L’ottenimento di un metodo di riconoscimento per le cellule tumorali epatiche sarebbe stato un ottimo campo di prova per verificare in tal senso le capacità del sistema. Innanzitutto è stata verificata la possibilità di ottenere nanoparticelle funzionalizzabili tramite legami covalenti. Per farlo, sono state sintetizzate AuNPs ricoperte con tioli dotati di gruppi aldeidici all’estremità, in grado di reagire in modo quantitativo con ammine tramite la formazione di legami imminici.. I gruppi aldeidici, però, sono facilmente soggetti agli attacchi nucleofili da parte dei tioli a livello del loro carbonile elettrofilo. È stato quindi necessario trovare un sistema di protezione delle aldeidi da rimuovere dopo la sintesi. Le prime aldeidi erano aromatiche, protette in forma di acetale metilico, scelte per la loro capacità di formare immine con alta stabilità termodinamica. Purtroppo non sono stati superati gli ostacoli della deprotezione del gruppo protettore dovuto ad un’eccessivamente stabilità. Questa alta stabilità era in parte dovuta alla presenza di un gruppo nitro in posizione para rispetto all’aldeide, inserito per aumentarne la reattività. Rinunciando a tale gruppo frunzionale, invece, la protezione stessa è risultata troppo labile, incapace di impedire la polimerizzazione dei tioli prima dell’ottenimento delle NPs. Si è quindi passati all’utilizzo di aldeidi alifatiche. Si è provato a sintetizzare nanoparticelle ricoperte con tioli la cui aldeide terminale fosse protetta come dietilacetale, ma si è andati incontro a numerosi problemi di insolubilità. L’utilizzo di dioli ossidabili ad aldeidi non ha dato migliori risultati. Cambiando approccio, si è cercato di sfruttare la sostituzione nucleofila su AuNPs ricoperte con tioli bromurati. Purtroppo, la post-funzionalizzazione con ammine ha avuto come risultati la sola formazione di prodotti insolubili. Infine, la sintesi di nanoparticelle ricoperte con tioli aventi, nell’estremità esterna del monostrato, acidi carbossilici ha dato ulteriori problemi di solubilità, fossero essi in monostrati misti con tioli alchilici oppure no. Visto l’insuccesso della via covalente ci si è successivamente concentrati sull’utilizzo di interazioni elettrostatiche per la funzionalizzazione di AuNPs. Sono state sintetizzate nanoparticelle ricoperte con un monostrato cationico, composto da tioli dotati di gruppi ammonici oppure di gruppi TACN∙Zn(II). Esse sono state usate come AuNPs “universali”, per poi essere coperte con molecole oligoanioniche tramite la formazione di complessi ad alta affinitá. Il metodo scelto per la rilevazione della formazione di questi complessi è stata la fluorescenza, sfruttando il principio secondo il quale una sonda fluorescente vede smorzata la propria emissione in prossimità di una nanoparticelle d'oro. Come sonde sono state scelte cumarina 343 (λeccitazione 450, λemissione 492) e cumarina 2 (λeccitazione 353, λemissione 450), entrambe legate a un oligopeptide anionico formato da tre acidi aspartici (TriAsp-Cum343 e TriAsp-Cum2). Con esse è stata studiata la possibilità di formare un secondo monostrato eterofunzionalizzato, sfruttando il fenomeno FRET. Esso si basa sulla capacità di due fluorofori di comunicare tra loro quando si trovano vicini. Negli esperimenti effettuati, è stata registrata l’emissione della ricevente (cum343) eccitando solamente la donatrice (cum2). Questo è stato fatto in presenza di diversi rapporti percentuali tra le due molecole, alla concentrazione di saturazione del monostrato. Gli esperimenti sono stati condotti anche in presenza di un grande eccesso di ATP, oppure in assenza di nanoparticelle cationiche. Da queste prove è emerso che, quando co-localizzate sullo stesso monostrato, le due sonde fluorescenti sono in grado di generare un segnale FRET. Quando invece sono libere in soluzione, per assenza di nanoparticelle o perché in presenza di un eccesso del competitore ATP, non è stato osservato il medesimo effetto. Il risultato ottenuto ha mostrato che, tramite interazioni elettrostatiche, è possibile assemblare un monostrato eterofunzionalizzato su nanoparticelle “universali” pre-sintetizzate. A questo punto si è proceduto allo sviluppo di un sistema nanoparticellare coperto con il peptide preS1 per il riconoscimento della proteina SCCA. Il peptide preS1 è noto per la capacità di riconoscere specificatamente SCCA, una proteina di membrana sovraespressa negli epatociti cancerosi. Innanzitutto è stato verificato quale fosse la diversa affinità per le AuNPs-TACN∙Zn(II) da parte del peptide tal quale piuttosto che legato all’ancora anionica TriAsp4-. Sono state effettuate prove di fluorescenza diretta (λeccitazione = 280, λemissione = 360, smorzamento del triptofano), fluorescenza indiretta (λeccitazione = 305, λemissione = 370, spiazzamento F-ATP) e di inibizione della catalisi di HPNP operata dai gruppi TACN∙Zn(II) (con liberazione di p-nitro-fenato, assorbanza 400 nm). Tutti e tre gli esperimenti hanno dimostrato la capacità di TriAsp-preS1 di formare un complesso polivalente con le nanoparticelle. È stato osservato che la presenza della sequenza TriAsp ha causato un piccolo miglioramento dell’affinità rispetto al peptide privo dell’ancora anionica. Successivamente è stato verificato il legame del sistema nanoparticella-peptide con la proteina SCCA. Il peptide preS1, quando si trova in forma tetramerica, è in grado di legare con maggiore affinità la proteina SCCA. È stato quindi teorizzato che la presenza della proteina SCCA dovesse stabilizzare il nanosistema composto da nanoparticelle e preS1. Purtroppo non sono state rilevate grandi differenze di stabilità in presenza o in assenza di SCCA, sia per il peptide preS1 che per TriAsp-preS1. Il metodo di analisi basato su studi di spiazzamento è stato quindi accantonato, poiché non garantiva una valida valutazione dell’interazione. Sono stati usati altri metodi per verificare l’interazione del sistema nanoparticella-peptide con la proteina. Tramite analisi DLS è stato visualizzato l’aumento di volume delle nanoparticelle a seguito del legame col peptide prima e con la proteina poi, ma fenomeni di aggregazione hanno reso poco attendibili le misurazioni. Analisi SPR, invece, miravano a quantificare l’intensità dell’interazione tra il sistema nanoparticella-peptide e la proteina SCCA sfruttando la variazione della banda plasmonica superficiale. Questo non è stato possibile a causa di interazioni aspecifiche tra le nanoparticelle e il supporto di destrano del sistema di analisi. Il tempo a disposizione non ha poi permesso di mettere a punto un protocollo di analisi adeguato
Sintesi di nanoparticelle per il riconoscimento selettivo dei tessuti
GRAZIANI, MATTEO
2012
Abstract
Questo progetto si inquadra nell’ambito della nanomedicina. Sfruttando sistemi multivalenti esso si propone di ottenere nanostrutture che siano in grado di riconoscere specificatamente le cellule tumorali epatiche. La multivalenza, molto frequente in natura, si basa sulla capacità di un sistema di instaurare molteplici interazioni deboli, ottenendo un’interazione complessiva superiore rispetto al singolo legame forte. Essa si presta ad essere utilizzata in applicazioni pratiche come il riconoscimento molecolare e la catalisi. Tra i vari sistemi multivalenti artificiali utilizzabili (dendrimeri, micelle, liposomi …), la scelta è ricaduta sulle nanoparticelle d’oro: esse sono piccoli nuclei di atomi d'oro con diametri che tipicamente variano da 1 a 20 nanometri, che possono facilmente essere funzionalizzate tramite l'autoassemblaggio di un monostrato di molecole sulla superficie. Tale monostrato può portare sulla superficie esterna gruppi funzionali di interesse, dotati di capacità catalitica o di riconoscimento. Per legare le molecole del monostrato organico ai nuclei d’oro è stata utilizzata l’interazione oro-zolfo; lo zolfo, infatti, lega l’oro con un legame più forte rispetto alla maggior parte degli altri elementi, come azoto e fosforo. La ricerca descritta in questa tesi si è focalizzata sull’ottenimento di un sistema nanoparticellare “universale”, cioè un sistema che si presta ad una post-funzionalizzazione dopo la sintesi e la purificazione. Tale post-funzionalizzabile deve essere compatibile con la sopravvivenza delle nanoparticelle stesse, permettendo di assemblanrvi un monostrato misto sulla sua superficie. L’ottenimento di un metodo di riconoscimento per le cellule tumorali epatiche sarebbe stato un ottimo campo di prova per verificare in tal senso le capacità del sistema. Innanzitutto è stata verificata la possibilità di ottenere nanoparticelle funzionalizzabili tramite legami covalenti. Per farlo, sono state sintetizzate AuNPs ricoperte con tioli dotati di gruppi aldeidici all’estremità, in grado di reagire in modo quantitativo con ammine tramite la formazione di legami imminici.. I gruppi aldeidici, però, sono facilmente soggetti agli attacchi nucleofili da parte dei tioli a livello del loro carbonile elettrofilo. È stato quindi necessario trovare un sistema di protezione delle aldeidi da rimuovere dopo la sintesi. Le prime aldeidi erano aromatiche, protette in forma di acetale metilico, scelte per la loro capacità di formare immine con alta stabilità termodinamica. Purtroppo non sono stati superati gli ostacoli della deprotezione del gruppo protettore dovuto ad un’eccessivamente stabilità. Questa alta stabilità era in parte dovuta alla presenza di un gruppo nitro in posizione para rispetto all’aldeide, inserito per aumentarne la reattività. Rinunciando a tale gruppo frunzionale, invece, la protezione stessa è risultata troppo labile, incapace di impedire la polimerizzazione dei tioli prima dell’ottenimento delle NPs. Si è quindi passati all’utilizzo di aldeidi alifatiche. Si è provato a sintetizzare nanoparticelle ricoperte con tioli la cui aldeide terminale fosse protetta come dietilacetale, ma si è andati incontro a numerosi problemi di insolubilità. L’utilizzo di dioli ossidabili ad aldeidi non ha dato migliori risultati. Cambiando approccio, si è cercato di sfruttare la sostituzione nucleofila su AuNPs ricoperte con tioli bromurati. Purtroppo, la post-funzionalizzazione con ammine ha avuto come risultati la sola formazione di prodotti insolubili. Infine, la sintesi di nanoparticelle ricoperte con tioli aventi, nell’estremità esterna del monostrato, acidi carbossilici ha dato ulteriori problemi di solubilità, fossero essi in monostrati misti con tioli alchilici oppure no. Visto l’insuccesso della via covalente ci si è successivamente concentrati sull’utilizzo di interazioni elettrostatiche per la funzionalizzazione di AuNPs. Sono state sintetizzate nanoparticelle ricoperte con un monostrato cationico, composto da tioli dotati di gruppi ammonici oppure di gruppi TACN∙Zn(II). Esse sono state usate come AuNPs “universali”, per poi essere coperte con molecole oligoanioniche tramite la formazione di complessi ad alta affinitá. Il metodo scelto per la rilevazione della formazione di questi complessi è stata la fluorescenza, sfruttando il principio secondo il quale una sonda fluorescente vede smorzata la propria emissione in prossimità di una nanoparticelle d'oro. Come sonde sono state scelte cumarina 343 (λeccitazione 450, λemissione 492) e cumarina 2 (λeccitazione 353, λemissione 450), entrambe legate a un oligopeptide anionico formato da tre acidi aspartici (TriAsp-Cum343 e TriAsp-Cum2). Con esse è stata studiata la possibilità di formare un secondo monostrato eterofunzionalizzato, sfruttando il fenomeno FRET. Esso si basa sulla capacità di due fluorofori di comunicare tra loro quando si trovano vicini. Negli esperimenti effettuati, è stata registrata l’emissione della ricevente (cum343) eccitando solamente la donatrice (cum2). Questo è stato fatto in presenza di diversi rapporti percentuali tra le due molecole, alla concentrazione di saturazione del monostrato. Gli esperimenti sono stati condotti anche in presenza di un grande eccesso di ATP, oppure in assenza di nanoparticelle cationiche. Da queste prove è emerso che, quando co-localizzate sullo stesso monostrato, le due sonde fluorescenti sono in grado di generare un segnale FRET. Quando invece sono libere in soluzione, per assenza di nanoparticelle o perché in presenza di un eccesso del competitore ATP, non è stato osservato il medesimo effetto. Il risultato ottenuto ha mostrato che, tramite interazioni elettrostatiche, è possibile assemblare un monostrato eterofunzionalizzato su nanoparticelle “universali” pre-sintetizzate. A questo punto si è proceduto allo sviluppo di un sistema nanoparticellare coperto con il peptide preS1 per il riconoscimento della proteina SCCA. Il peptide preS1 è noto per la capacità di riconoscere specificatamente SCCA, una proteina di membrana sovraespressa negli epatociti cancerosi. Innanzitutto è stato verificato quale fosse la diversa affinità per le AuNPs-TACN∙Zn(II) da parte del peptide tal quale piuttosto che legato all’ancora anionica TriAsp4-. Sono state effettuate prove di fluorescenza diretta (λeccitazione = 280, λemissione = 360, smorzamento del triptofano), fluorescenza indiretta (λeccitazione = 305, λemissione = 370, spiazzamento F-ATP) e di inibizione della catalisi di HPNP operata dai gruppi TACN∙Zn(II) (con liberazione di p-nitro-fenato, assorbanza 400 nm). Tutti e tre gli esperimenti hanno dimostrato la capacità di TriAsp-preS1 di formare un complesso polivalente con le nanoparticelle. È stato osservato che la presenza della sequenza TriAsp ha causato un piccolo miglioramento dell’affinità rispetto al peptide privo dell’ancora anionica. Successivamente è stato verificato il legame del sistema nanoparticella-peptide con la proteina SCCA. Il peptide preS1, quando si trova in forma tetramerica, è in grado di legare con maggiore affinità la proteina SCCA. È stato quindi teorizzato che la presenza della proteina SCCA dovesse stabilizzare il nanosistema composto da nanoparticelle e preS1. Purtroppo non sono state rilevate grandi differenze di stabilità in presenza o in assenza di SCCA, sia per il peptide preS1 che per TriAsp-preS1. Il metodo di analisi basato su studi di spiazzamento è stato quindi accantonato, poiché non garantiva una valida valutazione dell’interazione. Sono stati usati altri metodi per verificare l’interazione del sistema nanoparticella-peptide con la proteina. Tramite analisi DLS è stato visualizzato l’aumento di volume delle nanoparticelle a seguito del legame col peptide prima e con la proteina poi, ma fenomeni di aggregazione hanno reso poco attendibili le misurazioni. Analisi SPR, invece, miravano a quantificare l’intensità dell’interazione tra il sistema nanoparticella-peptide e la proteina SCCA sfruttando la variazione della banda plasmonica superficiale. Questo non è stato possibile a causa di interazioni aspecifiche tra le nanoparticelle e il supporto di destrano del sistema di analisi. Il tempo a disposizione non ha poi permesso di mettere a punto un protocollo di analisi adeguatoFile | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/82634
URN:NBN:IT:UNIPD-82634