L’obiettivo di questo lavoro è di investigare, durante il primo anno di vita ed in particolare in bambini di 0, 6 e 12 mesi, lo sviluppo delle aree cerebrali che controllano le abilità sociali che intervengono nella comunicazione tra gli individui e che costituiscono le abilità indispensabili per un adeguato adattamento dell’uomo nel proprio ambiente sociale. Brothers nel 1990 propose di chiamare queste regioni cerebrali, dedicate alla cognizione sociale, “Social Brain”. È noto in letteratura che lo sviluppo del “Social Brain” include lo sviluppo di abilità che sono fondamentali per comunicare con gli altri e manipolare informazioni sociali rilevanti per la vita quotidiana. Molti studi si sono focalizzati sull’investigazione delle strutture cerebrali che giocano un ruolo fondamentale nel guidare i comportamenti sociali poichè gli esseri umani sono caratterizzati dalla capacità di estrarre ed interpretare da semplici indizi (come per esempio la direzione dello sguardo) complesse situazioni sociali. Tra i numerosi lavori che hanno investigato lo sviluppo del “Social Brain” durante il corso della vita (nei neonati, nei bambini e negli adulti), un aspetto dello sviluppo della cognizione sociale che ha trovato una forte rilevanza è la percezione e l’elaborazione degli altri come agenti intenzionali. Alcuni ricercatori suggeriscono che le abilità dei bambini di riconoscere gli scopi delle azioni si sviluppano grazie alla diretta esperienza con gli agenti umani e solo successivamente, nel corso della vita, si estende gradualmente agli altri tipi di agenti (i.e. oggetti inanimati). Secondo questa prospettiva i bambini possono attribuire degli scopi ad agenti umani ma non agli altri oggetti inanimati (Woodward, 1998). Altri ricercatori propongono, invece, che l’attribuzione di intenzionalità agli agenti sia legata alla presenza di determinate caratteristiche fisiche (come l’autopropulsione descritta come la capacità di muoversi da soli, la direzione del movimento, la variazione equifinale del movimento intesa come la capacità di raggiungere lo stesso obiettivo con modalità e percorsi differenti, e l’efficacia dell’azione), per questo propongono che i bambini piccoli possano attribuire gli scopi delle azioni sia agli agenti animati che agli agenti inanimati (Bíró e Leslie 2007; Bíró, Csibra e Gergely, 2007). Oltre all’aspetto umano o inanimato dell’agente, anche il ruolo del movimento biologico/sociale versus non biologico/meccanico rappresenta un altro indizio utilizzato per identificare entità e comportamenti come diretti ad uno scopo (Lloyd, Blasi, Volein, Everdell, Elwell and Johnson, 2009). In particolare, è possibile ipotizzare che quando il movimento è biologico (come il movimento di un essere umano) oppure meccanico (non fluido, non armonico, rigido), la sua associazione con differenti caratteristiche fisiche possa modificare l’interpretazione dell’azione diretta ad uno scopo. Per indagare il ruolo del movimento biologico e non biologico nella comprensione dell’intenzionalità di un azione in bambini di 6 mesi ho eseguito cinque esperimenti. I risultati raggiunti dimostrano che la comprensione delle azioni diretta ad uno scopo dipende dalle differenti caratteristiche fisiche dell’agente e dalla presenza o meno di una componente comunicativa. In particolare la capacità degli agenti di muoversi in modo autonomo sembra essere fondamentale per identificare le azioni dirette ad uno scopo. La presenza di questa capacità viene proposta da alcuni studiosi come una precondizione per la costruzione di un riconoscimento di azione finalizzata: solo quando il movimento di un oggetto viene percepito autonomo, il bambino potrà considerare altri indizi rilevanti per identificare lo scopo dell’azione (Premack, 1990; Baron-Cohen, 1994). In accordo con questa prospettiva precedenti evidenze dimostrano che i bambini possono comprendere un azione intenzionale non solo quando l’agente è biologico e quindi umano, come per esempio una mano, ma anche quando l’agente è un oggetto inanimato purché sembri muoversi in modo indipendente (Luo e Baillargeon, 2005). Altre evidenze, però, dimostrano che, almeno in bambini di 12 mesi, la possibilità che un agente si muova in modo autonomo non è necessaria al fine di attribuire uno scopo all’azione e la sua assenza non necessariamente inibisce l’interpretazione dei comportamenti come diretti ad uno scopo (Bíró, Csibra e Gergely, 2007). I risultati ottenuti in un secondo studio da me svolto tuttavia dimostrano che quando il movimento dell’agente non è autonomo è assolutamente necessaria la presenza della componente comunicativa nell’agente per permettere al bambino di comprendere l’intenzionalità dell’azione. Questi risultati sono supportati anche dall’ultimo studio di neuro immagine (nel quale viene utilizzata una tecnica di neuro immagine non invasiva: NIRS) che dimostra che le regioni cerebrali del solco temporale superiore (regioni incluse nella aree del facenti parte del “Social Brain”) sono coinvolte nell’elaborazione di stimoli dinamici sociali fin dai primi mesi di vita. In conclusione questi studi sembrano suggerire che alla base dello sviluppo sociale vi sia una forte interazione tra l’esperienza e la naturale predisposizione delle strutture cerebrali. Sembra che lo sviluppo delle funzioni cerebrali nell’uomo non sia dovuto ad una passiva sequenza maturazionale, ma sia dovuto ad un processo attivo mediato dall’esperienza e guidato da predisposizioni innate come suggerito dall’ipotesi neuro costruttivista (Karmiloff-Smith, 2009)
Early components of the social brain: understanding communication through perceptual constraints
MATTARELLO, TANIA
2012
Abstract
L’obiettivo di questo lavoro è di investigare, durante il primo anno di vita ed in particolare in bambini di 0, 6 e 12 mesi, lo sviluppo delle aree cerebrali che controllano le abilità sociali che intervengono nella comunicazione tra gli individui e che costituiscono le abilità indispensabili per un adeguato adattamento dell’uomo nel proprio ambiente sociale. Brothers nel 1990 propose di chiamare queste regioni cerebrali, dedicate alla cognizione sociale, “Social Brain”. È noto in letteratura che lo sviluppo del “Social Brain” include lo sviluppo di abilità che sono fondamentali per comunicare con gli altri e manipolare informazioni sociali rilevanti per la vita quotidiana. Molti studi si sono focalizzati sull’investigazione delle strutture cerebrali che giocano un ruolo fondamentale nel guidare i comportamenti sociali poichè gli esseri umani sono caratterizzati dalla capacità di estrarre ed interpretare da semplici indizi (come per esempio la direzione dello sguardo) complesse situazioni sociali. Tra i numerosi lavori che hanno investigato lo sviluppo del “Social Brain” durante il corso della vita (nei neonati, nei bambini e negli adulti), un aspetto dello sviluppo della cognizione sociale che ha trovato una forte rilevanza è la percezione e l’elaborazione degli altri come agenti intenzionali. Alcuni ricercatori suggeriscono che le abilità dei bambini di riconoscere gli scopi delle azioni si sviluppano grazie alla diretta esperienza con gli agenti umani e solo successivamente, nel corso della vita, si estende gradualmente agli altri tipi di agenti (i.e. oggetti inanimati). Secondo questa prospettiva i bambini possono attribuire degli scopi ad agenti umani ma non agli altri oggetti inanimati (Woodward, 1998). Altri ricercatori propongono, invece, che l’attribuzione di intenzionalità agli agenti sia legata alla presenza di determinate caratteristiche fisiche (come l’autopropulsione descritta come la capacità di muoversi da soli, la direzione del movimento, la variazione equifinale del movimento intesa come la capacità di raggiungere lo stesso obiettivo con modalità e percorsi differenti, e l’efficacia dell’azione), per questo propongono che i bambini piccoli possano attribuire gli scopi delle azioni sia agli agenti animati che agli agenti inanimati (Bíró e Leslie 2007; Bíró, Csibra e Gergely, 2007). Oltre all’aspetto umano o inanimato dell’agente, anche il ruolo del movimento biologico/sociale versus non biologico/meccanico rappresenta un altro indizio utilizzato per identificare entità e comportamenti come diretti ad uno scopo (Lloyd, Blasi, Volein, Everdell, Elwell and Johnson, 2009). In particolare, è possibile ipotizzare che quando il movimento è biologico (come il movimento di un essere umano) oppure meccanico (non fluido, non armonico, rigido), la sua associazione con differenti caratteristiche fisiche possa modificare l’interpretazione dell’azione diretta ad uno scopo. Per indagare il ruolo del movimento biologico e non biologico nella comprensione dell’intenzionalità di un azione in bambini di 6 mesi ho eseguito cinque esperimenti. I risultati raggiunti dimostrano che la comprensione delle azioni diretta ad uno scopo dipende dalle differenti caratteristiche fisiche dell’agente e dalla presenza o meno di una componente comunicativa. In particolare la capacità degli agenti di muoversi in modo autonomo sembra essere fondamentale per identificare le azioni dirette ad uno scopo. La presenza di questa capacità viene proposta da alcuni studiosi come una precondizione per la costruzione di un riconoscimento di azione finalizzata: solo quando il movimento di un oggetto viene percepito autonomo, il bambino potrà considerare altri indizi rilevanti per identificare lo scopo dell’azione (Premack, 1990; Baron-Cohen, 1994). In accordo con questa prospettiva precedenti evidenze dimostrano che i bambini possono comprendere un azione intenzionale non solo quando l’agente è biologico e quindi umano, come per esempio una mano, ma anche quando l’agente è un oggetto inanimato purché sembri muoversi in modo indipendente (Luo e Baillargeon, 2005). Altre evidenze, però, dimostrano che, almeno in bambini di 12 mesi, la possibilità che un agente si muova in modo autonomo non è necessaria al fine di attribuire uno scopo all’azione e la sua assenza non necessariamente inibisce l’interpretazione dei comportamenti come diretti ad uno scopo (Bíró, Csibra e Gergely, 2007). I risultati ottenuti in un secondo studio da me svolto tuttavia dimostrano che quando il movimento dell’agente non è autonomo è assolutamente necessaria la presenza della componente comunicativa nell’agente per permettere al bambino di comprendere l’intenzionalità dell’azione. Questi risultati sono supportati anche dall’ultimo studio di neuro immagine (nel quale viene utilizzata una tecnica di neuro immagine non invasiva: NIRS) che dimostra che le regioni cerebrali del solco temporale superiore (regioni incluse nella aree del facenti parte del “Social Brain”) sono coinvolte nell’elaborazione di stimoli dinamici sociali fin dai primi mesi di vita. In conclusione questi studi sembrano suggerire che alla base dello sviluppo sociale vi sia una forte interazione tra l’esperienza e la naturale predisposizione delle strutture cerebrali. Sembra che lo sviluppo delle funzioni cerebrali nell’uomo non sia dovuto ad una passiva sequenza maturazionale, ma sia dovuto ad un processo attivo mediato dall’esperienza e guidato da predisposizioni innate come suggerito dall’ipotesi neuro costruttivista (Karmiloff-Smith, 2009)File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/82957
URN:NBN:IT:UNIPD-82957