Introduzione. La fibrillazione atriale è l’aritmia cardiaca più comune, caratterizzata da un ritmo cardiaco irregolare, spesso ad alta frequenza, e associato alla formazione di trombi in atrio e auricola sinistra che possono causare l’ictus ischemico cardioembolico. La terapia anticoagulante orale ha dimostrato di ridurre l’incidenza di ictus ischemico in questI pazienti di circa due terzi, alle spese però di un’aumentata incidenza dei sanguinamenti. Nell’anziano la fibrillazione atriale è particolarmente frequente ma il suo trattamento presenta delle difficoltà: infatti, sebbene il rischio ischemico aumenti con l’età, anche il rischio emorragico è maggiore. ln questi pazienti il medico spesso preferisce non prescrivere o interrompere la terapia anticoagulante orale nel timore di complicanze. Il paziente anziano, inoltre, può essere portatore di più patologie, assumere diversi farmaci con potenziale rischio di interazioni farmacologiche e presentare una ridotta aderenza alla assunzione della terapia. Scopo della tesi. Valutare l’impatto dell’anticoagulazione nel paziente anziano, con focus nel sottogruppo di pazienti con età  80 anni, che raramente vengono reclutati nei grandi trial clinici. VENPAF. Abbiamo inizialmente condotto uno studio retrospettivo “inception cohort” includendo tutti i pazienti con età  80 anni in terapia con warfarin presso il locale Centro Trombosi (studio VENPAF). Dall’analisi è emersa un’incidenza di emorragie maggiori molto alta, che tende ad aumentare sensibilmente sopra gli 85 anni di età; nonostante ciò, il beneficio clinico netto della terapia appare comunque mantenuto, in quanto l’incidenza calcolata di trombo-embolismo in assenza di anticoagulazione è risultata maggiore, in entrambe le classi di età, rispetto all’incidenza osservata di emorragie maggiori. Circa il 20% dei pazienti inclusi ha sospeso la terapia e questo è stato principalmente dovuto ad una decisione del medico di medicina generale o dello specialista; le ragioni addotte per la sospensione sono state la scarsa aspettativa di vita, la fragilità del paziente e l’eccessivo rischio emorragico. Abbiamo però constatato che la sospensione della terapia non era associata ad un miglioramento della prognosi ma anzi questi pazienti erano gravati da alti tassi di mortalità, eventi ischemici ed emorragici. Restringendo l’analisi ai pazienti che avevano sperimentato un evento emorragico in corso di terapia anticoagulante, abbiamo potuto evidenziare come l’incidenza cumulativa di eventi ischemici ed emorragiciera significativamente più alta nei pazienti che dopo tale evento sospendevano la terapia rispetto a quelli che la riprendevano. Studio caso-controllo. Per analizzare i fattori di rischio associati allo sviluppo di emorragia cerebrale in warfarin, abbiamo eseguito uno studio caso-controllo includendo tutti i pazienti seguiti per fibrillazione atriale presso il nostro Centro Trombosi. Abbiamo confrontato 51 pazienti con emorragia intracranica con 204 pazienti di controllo, appaiati per età, sesso ed esposizione alla terapia. Nessuna variabile analizzata è risultata associata allo sviluppo dell’emorragia. Abbiamo inoltre valutato il rischio emorragico per ogni paziente usando gli score HAS-BLED, ATRIA e ORBIT; tali score hanno presentato una capacità predittiva nei confronti dell’emorragia intracranica particolarmente scarsa o nulla (“c-statistic” minore 0.56 per tutti gli score utilizzati). Registro Regione Veneto. Dallo studio VENPAF e dallo studio caso-controllo è emersa da una parte una forte tendenza al sanguinamento intracranico nel paziente anziano, dall’ altra l’impossibilità di individuare specifici fattori predittivi di tale sanguinamento. È quindi con grande interesse che abbiamo guardato all’utilizzo clinico dei nuovi anticoagulanti orali (NAO), farmaci che dagli studi registrativi sembrano essere in grado di dimezzare questa grave complicanza rispetto al warfarin. Analizzando i dati della Regione Veneto attraverso il registro regionale delle prescrizioni farmacologiche, delle esenzioni e delle diagnosi di dimissione dai reparti, abbiamo potuto selezionare i pazienti che iniziavano una terapia anticoagulante orale perché affetti da fibrillazione atriale non valvolare. In confronto a warfarin, i NAO si sono dimostrati ugualmente efficaci e sicuri. Si è rilevata comunque una netta riduzione delle emorragie intracraniche e una lieve riduzione della mortalità rispetto alla terapia convenzionale, nonostante l’ottima qualità dell’anticoagulazione con warfarin raggiunta grazie ai centri trombosi veneti. In particolare, abbiamo riscontrato che nel Veneto i pazienti in terapia con NAO sono in media più anziani e a più alto rischio ischemico rispetto ai pazienti trattati con warfarin. Abbiamo infine analizzato la popolazione di età 80 anni e riscontrato un deciso aumento delle emorragie gastrointestinali, soprattutto dal tratto inferiore, nei pazienti in terapia con NAO. Tale incremento, però, non ha modificato il profilo di sicurezza di questi farmaci, che presentano comunque un rischiocomplessivo di emorragie maggiori e di ictus ischemici sovrapponibili al warfarin, con riduzione del rischio di emorragie intracraniche. Conclusioni. Il presente lavoro di ricerca ha cercato di esplorare gli effetti della terapia anticoagulante nel paziente grande anziano con 80 anni o più. Dall’insieme degli studi condotti è stato possibile concludere che, nonostante l’elevato rischio di emorragia, il beneficio clinico per la prevenzione dell’ictus è a favore dell’uso di questi farmaci; andando infatti a considerare i pazienti che sospendevano il farmaco, abbiamo constatato una prognosi peggiore rispetto ai pazienti che rimanevano in terapia. Una parte non trascurabile delle emorragie in warfarin è dovuta ai sanguinamenti intracranici che sono spesso fatali o gravemente invalidanti; dai nostri dati tali eventi sono più frequenti nell’anziano e non sono prevedibili dai comuni fattori di rischio cardiovascolare, né da una buona qualità dell’anticoagulazione. I NAO sembrano invece mantenere anche nell’anziano un rischio di emorragie intracraniche inferiore al warfarin, nonostante un significativo aumento del rischio di emorragie gastrointestinali. Nel complesso, quindi, i nostri dati confermano i NAO come la terapia anticoagulante da preferire nella fibrillazione atriale non valvolare anche nel paziente molto anziano.

Oral anticoagulation for atrial fibrillation in the era of non-vitamin K antagonist anticoagulants. Focus on very elderly patients

ZOPPELLARO, GIACOMO
2017

Abstract

Introduzione. La fibrillazione atriale è l’aritmia cardiaca più comune, caratterizzata da un ritmo cardiaco irregolare, spesso ad alta frequenza, e associato alla formazione di trombi in atrio e auricola sinistra che possono causare l’ictus ischemico cardioembolico. La terapia anticoagulante orale ha dimostrato di ridurre l’incidenza di ictus ischemico in questI pazienti di circa due terzi, alle spese però di un’aumentata incidenza dei sanguinamenti. Nell’anziano la fibrillazione atriale è particolarmente frequente ma il suo trattamento presenta delle difficoltà: infatti, sebbene il rischio ischemico aumenti con l’età, anche il rischio emorragico è maggiore. ln questi pazienti il medico spesso preferisce non prescrivere o interrompere la terapia anticoagulante orale nel timore di complicanze. Il paziente anziano, inoltre, può essere portatore di più patologie, assumere diversi farmaci con potenziale rischio di interazioni farmacologiche e presentare una ridotta aderenza alla assunzione della terapia. Scopo della tesi. Valutare l’impatto dell’anticoagulazione nel paziente anziano, con focus nel sottogruppo di pazienti con età  80 anni, che raramente vengono reclutati nei grandi trial clinici. VENPAF. Abbiamo inizialmente condotto uno studio retrospettivo “inception cohort” includendo tutti i pazienti con età  80 anni in terapia con warfarin presso il locale Centro Trombosi (studio VENPAF). Dall’analisi è emersa un’incidenza di emorragie maggiori molto alta, che tende ad aumentare sensibilmente sopra gli 85 anni di età; nonostante ciò, il beneficio clinico netto della terapia appare comunque mantenuto, in quanto l’incidenza calcolata di trombo-embolismo in assenza di anticoagulazione è risultata maggiore, in entrambe le classi di età, rispetto all’incidenza osservata di emorragie maggiori. Circa il 20% dei pazienti inclusi ha sospeso la terapia e questo è stato principalmente dovuto ad una decisione del medico di medicina generale o dello specialista; le ragioni addotte per la sospensione sono state la scarsa aspettativa di vita, la fragilità del paziente e l’eccessivo rischio emorragico. Abbiamo però constatato che la sospensione della terapia non era associata ad un miglioramento della prognosi ma anzi questi pazienti erano gravati da alti tassi di mortalità, eventi ischemici ed emorragici. Restringendo l’analisi ai pazienti che avevano sperimentato un evento emorragico in corso di terapia anticoagulante, abbiamo potuto evidenziare come l’incidenza cumulativa di eventi ischemici ed emorragiciera significativamente più alta nei pazienti che dopo tale evento sospendevano la terapia rispetto a quelli che la riprendevano. Studio caso-controllo. Per analizzare i fattori di rischio associati allo sviluppo di emorragia cerebrale in warfarin, abbiamo eseguito uno studio caso-controllo includendo tutti i pazienti seguiti per fibrillazione atriale presso il nostro Centro Trombosi. Abbiamo confrontato 51 pazienti con emorragia intracranica con 204 pazienti di controllo, appaiati per età, sesso ed esposizione alla terapia. Nessuna variabile analizzata è risultata associata allo sviluppo dell’emorragia. Abbiamo inoltre valutato il rischio emorragico per ogni paziente usando gli score HAS-BLED, ATRIA e ORBIT; tali score hanno presentato una capacità predittiva nei confronti dell’emorragia intracranica particolarmente scarsa o nulla (“c-statistic” minore 0.56 per tutti gli score utilizzati). Registro Regione Veneto. Dallo studio VENPAF e dallo studio caso-controllo è emersa da una parte una forte tendenza al sanguinamento intracranico nel paziente anziano, dall’ altra l’impossibilità di individuare specifici fattori predittivi di tale sanguinamento. È quindi con grande interesse che abbiamo guardato all’utilizzo clinico dei nuovi anticoagulanti orali (NAO), farmaci che dagli studi registrativi sembrano essere in grado di dimezzare questa grave complicanza rispetto al warfarin. Analizzando i dati della Regione Veneto attraverso il registro regionale delle prescrizioni farmacologiche, delle esenzioni e delle diagnosi di dimissione dai reparti, abbiamo potuto selezionare i pazienti che iniziavano una terapia anticoagulante orale perché affetti da fibrillazione atriale non valvolare. In confronto a warfarin, i NAO si sono dimostrati ugualmente efficaci e sicuri. Si è rilevata comunque una netta riduzione delle emorragie intracraniche e una lieve riduzione della mortalità rispetto alla terapia convenzionale, nonostante l’ottima qualità dell’anticoagulazione con warfarin raggiunta grazie ai centri trombosi veneti. In particolare, abbiamo riscontrato che nel Veneto i pazienti in terapia con NAO sono in media più anziani e a più alto rischio ischemico rispetto ai pazienti trattati con warfarin. Abbiamo infine analizzato la popolazione di età 80 anni e riscontrato un deciso aumento delle emorragie gastrointestinali, soprattutto dal tratto inferiore, nei pazienti in terapia con NAO. Tale incremento, però, non ha modificato il profilo di sicurezza di questi farmaci, che presentano comunque un rischiocomplessivo di emorragie maggiori e di ictus ischemici sovrapponibili al warfarin, con riduzione del rischio di emorragie intracraniche. Conclusioni. Il presente lavoro di ricerca ha cercato di esplorare gli effetti della terapia anticoagulante nel paziente grande anziano con 80 anni o più. Dall’insieme degli studi condotti è stato possibile concludere che, nonostante l’elevato rischio di emorragia, il beneficio clinico per la prevenzione dell’ictus è a favore dell’uso di questi farmaci; andando infatti a considerare i pazienti che sospendevano il farmaco, abbiamo constatato una prognosi peggiore rispetto ai pazienti che rimanevano in terapia. Una parte non trascurabile delle emorragie in warfarin è dovuta ai sanguinamenti intracranici che sono spesso fatali o gravemente invalidanti; dai nostri dati tali eventi sono più frequenti nell’anziano e non sono prevedibili dai comuni fattori di rischio cardiovascolare, né da una buona qualità dell’anticoagulazione. I NAO sembrano invece mantenere anche nell’anziano un rischio di emorragie intracraniche inferiore al warfarin, nonostante un significativo aumento del rischio di emorragie gastrointestinali. Nel complesso, quindi, i nostri dati confermano i NAO come la terapia anticoagulante da preferire nella fibrillazione atriale non valvolare anche nel paziente molto anziano.
1-nov-2017
Inglese
oral anticoagulation, atrial fibrillation, very elderly
PENGO, VITTORIO
ANGELINI, ANNALISA
Università degli studi di Padova
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/82967
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-82967