La perdita di efficienza riproduttiva nel settore della bovinicoltura da latte è ormai un dato di fatto. Diversi studi hanno dimostrato come, a seguito dell’incremento in produttività avuto negli ultimi 40 anni, la fertilità si sia drasticamente ridotta, con circa un decennio di ritardo rispetto alla produzione. Sul piano del miglioramento genetico le strategie per invertire questa tendenza sono diverse. Bisogna prima di tutto considerare quanto il valore genetico additivo dei riproduttori pesi sulle loro prestazioni, dato che da ciò dipende la possibilità o meno di miglioramento genetico di quel carattere attraverso le tradizionali vie selettive. Non bisogna neanche trascurare le relazioni che, sempre a livello genetico, intercorrono tra i caratteri di fertilità e quelli fino ad oggi oggetto di selezione, relazioni che difficilmente saranno favorevoli dato che è stata proprio la selezione degli ultimi decenni ad deprimere la fertilità. I caratteri di fertilità però non sono di facile acquisizione. È necessaria la puntuale registrazione delle singole inseminazioni, e ciò comporta una accurata organizzazione del sistema di controllo, nonché costi aggiuntivi rispetto ai normali controlli funzionali. Per di più i parametri di fertilità sono molto suscettibili ad errori o lacune nella registrazione. Una possibile soluzione è quella di impiegare caratteri correlati con la fertilità che però siano di più facile raccolta. La condizione di stato corporeo della vacca (o Body Condition Score) è stata più volte presa in considerazione come carattere predittore di fertilità. Quando si parla di fertilità di solito si pensa ad un’efficienza riproduttiva femminile. In effetti, è stato sulle vacche che si è prima e maggiormente riscontrato il problema della difficoltà al concepimento e mantenimento della gravidanza. Tuttavia, il ruolo degli individui di sesso maschile, nello specifico i tori fecondanti, non può essere trascurato. Nei sistemi a prevalente inseminazione strumentale come quelli delle razze specializzate da latte pochi riproduttori maschili sono messi in condizione di fecondare migliaia di vacche, e, benché ci siano dei controlli sulla qualità del materiale seminale messo in circolazione, la relativa fertilità di ogni toro ha un impatto rilevante sulla fertilità generale della popolazione. Ecco che la fertilità maschile diventa di importanza, ed una sua misurazione con dati di campo può aiutare a comprendere meglio un suo possibile ruolo nella determinazione dell’efficienza riproduttiva della popolazione oggetto di studio. Per lo svolgimento di questa tesi si è preso in esame la popolazione di razza Bruna Italiana allevata nella provincia di Bolzano. In questo contesto è in funzione un efficiente schema di raccolta informazioni che permette la registrazione delle inseminazioni effettuate con buona attendibilità. Prima è stato creato un archivio contente tutti gli interventi fecondativi ritenuti attendibili, coprendo un arco temporale dal 1999 al 2008. Per la fertilità maschile, da questo archivio si sono estratte le inseminazioni effettuate con seme di soli tori di razza Bruna Italiana. Per ognuna di queste inseminazioni si è considerato il non-ritorno a 56 giorni ed il concepimento (validato sulla base della ipotetica lunghezza di gravidanza). Sempre dall’archivio generale si sono create le diverse misure di fertilità femminile, siano essere intese come intervallo di tempo tra due eventi significativi per la riproduzione (intervalli tra il parto, la prima inseminazione, il concepimento) o come indicatori di successo degli interventi fecondativi (numero di inseminazioni per concepimento, non-ritorno dopo la prima inseminazione, concepimento alla prima inseminazione). Inoltre, i caratteri produttivi e le misure di condizione corporea della vacca che vengono ufficialmente raccolte dalla associazione di razza a livello nazionale (ANARB) sono state unite ai caratteri di fertilità. Il primo contributo si incentra sulla quantificazione della variabilità genetica additiva per la fertilità da parte maschile. Dal momento che la selezione per la fertilità dei riproduttori maschili viene fatta per via fenotipica, lo studio si è incentrato sulla predizione del valore genetico di tali riproduttori per la loro stessa fertilità, attraverso il confronto di diversi modelli predittivi. Data la natura delle variabili, i modelli a soglie sono considerati più appropriati, ma si è voluto comunque provare anche l’efficacia dei modelli lineari, che assumono la distribuzione continua e normale della variabile. Si è assunto che fosse l’embrione, che si stava instaurando, a rappresentare l’individuo con fenotipo. Sono quindi stati provati degli “animal models” che dei “sire models”. Gli effetti casuali ambientali e genetici, sono stati inseriti sequenzialmente all’interno di queste 4 combinazioni di modelli. Per ogni modelli, applicato ad entrambe le variabili, si sono calcolate componenti di varianza ed ereditabilità. Poi si è diviso il dataset in due parti, su base temporale, in modo da stimare gli indici genetici dei tori su di un dataset ed usarli per predire la restante parte delle osservazioni. Il datset di calibrazione comprendeva gli anni dal 1999 al 2005, mentre il dataset riguardante i restanti tre anni è stato usato come validazione. Le componenti di varianza estratte sono risultate basse, ma un certo grado di somiglianza a livello genetico è emerso dalle analisi. Le ereditabilità infatti sono rimaste sotto i dieci punti decimali, risultato che è sicuramente più incoraggiante dei quelli trovati in bibliografia. Diverse statistiche non parametriche hanno dimostrato come, benché non esista una sostanziale differenza tra i modelli lineari e quelli a soglie, gli animal models davano predizioni relativamente più accurate, e anche il confronto tra le specifiche dei modelli sembra favorire i quelli più compressi. In generale però le predizioni sono tendenzialmente povere, il che riflette le basse componenti di varianza genetica additiva stimate. Il secondo contributo della tesi si pone come obbiettivo di quantificare la variabilità genetica della popolazione in esame da parte femminile. I caratteri presi in esame sono quelli più comuni nella valutazione genetica per la fertilità (intervallo tra parto e primo servizio, intervallo tra primo servizio e concepimento, intervallo tra parto e concepimento, numero di inseminazioni al concepimento, concepimento alla prima inseminazione, non-ritorno a 56 giorno dopo la prima inseminazione) ed i più importanti caratteri produttivi (produzione di latte al picco di lattazione, produzione di latte nell’intera lattazione, durata della lattazione, e percentuali media di grasso e proteina nella lattazione). Tutti i caratteri sono stati considerati indipendentemente dall’ordine di parto su cui erano registrati. Inoltre, i caratteri riproduttivi intesi come intervalli sono stati suddivisi in classi di 21 giorni, con lo scopo di ripercorrere il ciclo estrale della vacca e misurare il periodo come numero di cicli estrali. Diversi modelli misti di tipo ‘sire model’ sono stati impiegati. Per analizzare le differenti variabili ci si è avvalsi di modelli lineari e modelli a soglie (threshold model). Questi ultimi operano una trasformazione della distribuzione della variabile in oggetto da discreta a continua, creando una variabile, che si intende latente, sulla quale poi viene applicato il modello misto. Inoltre, per tenere conto di possibili perdite di informazioni dovute a riforma degli animali (quantificazione dell’intervallo tra il parto ed il concepimento per vacche che non presentano un successivo parto) si sono utilizzati modelli ‘censored’. Questi modelli sono capaci di simulare una valore del parametro incrementato a partire dal valore registrato (data augmentation). Sono stati creati anche dei modelli bivariati per la quantificazione della correlazione genetica tra i caratteri produttivi e quelli riproduttivi. La metodologia impiegata si basa su inferenze costruite sulla distribuzione a posteriori dei parametri stimati (inferenza Bayesiana). I risultati hanno evidenziato una componente genetica additive della fertilità bassa ma presente. Le ereditabilità per i caratteri riproduttivi sono infatti comprese tra lo 0.03 e lo 0.08. I caratteri produttivi hanno mostrato ereditabilità relativamente più alte, pur rimanendo comunque sotto lo 0.2. In generale, i caratteri riproduttivi misurati come intervalli di 21 giorni hanno dato ereditabilità più alte dei corrispettivi considerati continui. Le correlazioni genetiche tra i caratteri riproduttivi evidenziano che non è banale considerare l’una o l’altra misura di fertilità, essendo quasi sempre medio-alte, ma non uguali ad 1. Le correlazioni tra i caratteri produttivi e riproduttivi confermano la relazione negativa tra fertilità e produzione. Alla luce dei risultati di questo studio, si capisce come qualora si voglia inserire la fertilità tra i caratteri obbiettivo di selezione non ci si può aspettare una risposta correlata positiva con quelli produttivi, e viceversa. Le ereditabilità trovate confermano però che la selezione per la fertilità è possibile, nonostante il progresso genetico atteso rimanga comunque modesto. Nel terzo contributo si è invece considerato che il peso dei vari fattori che condizionano la fertilità femminile potesse variare con l’ordine di parto su cui questa si manifesta. Le variabili già analizzate nel precedente capitolo sono state analizzate come caratteri differenti a seconda che considerassero manze vergini (esclusi i caratteri che considerano un parto precedente), vacche in prima lattazione, e vacche in seconda lattazione. È stata considerata la produzione di latte nella prima lattazione come termine di paragone per il rapporto con i caratteri produttivi. La metodologia impiegata è del tutto simile a quella del primo capitolo. I risultati indicano che per quanto la fertilità in prima e seconda lattazione possa essere considerata come un unico carattere, la fertilità misurata sulle manze vergini è un carattere sostanzialmente diverso. Per di più, la produzione in prima lattazione mostra il consueto antagonismo con la contemporanea fertilità, mentre le correlazioni con la fertilità della manza sono pressoché nulle. Se però è la fertilità della vacca in lattazione ad essere quella che ha maggiormente risentito della perdita negli ultimi decenni, ed è di questa che si vuole arrestare il peggioramento, misurare la fertilità sulla manza non potrebbe dare i risultati sperati. Tuttavia, le valutazioni genetiche sulla fertilità delle manze comporterebbero un notevole risparmio in termini di tempo dato che sarebbero disponibili con largo anticipo rispetto a quella sulle vacche primipare. Il quarto contributo si è posto l’obbiettivo di verificare se la misura di condizione corporea delle vacche possa essere un buon carattere strumento per la selezione indiretta per la fertilità femminile. Sulla razza Bruna Italiana viene registrato, con una unica misura, questo carattere sulle vacche primipare, nei primi 180 giorni di lattazioni. Questa misura di condizione corporea è stata messa in relazione con la fertilità e produzione contemporanee (in prima lattazione), e con la fertilità della seconda lattazione. Anche per questo studio la metodologia usata è del tutto simile a quella dei capitoli precedenti. Sulla base dei risultati ottenuti la condizione di stato corporeo delle vacche primipare, benché negativamente correlata alla contemporanea produzione, non appare fortemente correlata con la contemporanea fertilità, soprattutto con i caratteri di intervallo. Tuttavia, si nota come la condizione corporea sia più legata ai caratteri riproduttivi di intervallo in seconda lattazione. È da evidenziare comunque, quanto l’ispettore incaricato di valutare il caratteri di condizione corporea rappresenti la maggiore fonte di variazione. La misura di condizione corporea delle vacche primipare può rappresentare comunque un valido strumento per operare una selezione indiretta sulla fertilità, e impedirne il successivo peggioramento. In conclusione la selezione per la fertilità dei bovini da latte sembra possibile. La variabilità genetica esiste, e benché sia bassa, può per lo meno aiutare ad impedire la progressiva erosione di efficienza riproduttiva nei bovini da latte, se considerata nell’indice di selezione complessivo. La scelta degli strumenti di selezione deve essere accurata, in quanto non tutte le misure di fertilità, raccolte in diversi contesti fisiologici possono dare lo stesso risultato. Rimane comunque chiaro che non esiste un carattere che possa esprimere la fertilità femminile nel suo insieme. La condizione corporea delle vacche primipare può essere un valido strumento di selezione indiretta per la fertilità, ma investimenti in questo senso richiedono un miglioramento della ripetibilità e consistenza delle stime, tramite un assottigliamento dell’effetto del valutatore ed una più puntuale misurazione del carattere nelle fasi più significative della lattazione. La fertilità maschile sembra essere ereditabile. Una sua applicazione in ambito selettivo sembra essere sconsigliabile, ma le modeste componenti di varianza che possono essere estratte sembrano sufficienti a permettere una discriminazione dei riproduttori maschi qualora questi potessero presentare degli scarsi tassi di successo. Questa pratica, fino ad ora portata avanti per via fenotipica, potrebbe vedere l’inclusione dei dati di fertilità di campo. I tori in prova di progenie potrebbero essere valutati, con una accettabile accuratezza sulla loro prestazione riproduttiva futura.
Genetic analysis of fertility in Brown Swiss dairy cattle
TIEZZI MAZZONI DELLA STELLA MAESTRI, FRANCESCO
2012
Abstract
La perdita di efficienza riproduttiva nel settore della bovinicoltura da latte è ormai un dato di fatto. Diversi studi hanno dimostrato come, a seguito dell’incremento in produttività avuto negli ultimi 40 anni, la fertilità si sia drasticamente ridotta, con circa un decennio di ritardo rispetto alla produzione. Sul piano del miglioramento genetico le strategie per invertire questa tendenza sono diverse. Bisogna prima di tutto considerare quanto il valore genetico additivo dei riproduttori pesi sulle loro prestazioni, dato che da ciò dipende la possibilità o meno di miglioramento genetico di quel carattere attraverso le tradizionali vie selettive. Non bisogna neanche trascurare le relazioni che, sempre a livello genetico, intercorrono tra i caratteri di fertilità e quelli fino ad oggi oggetto di selezione, relazioni che difficilmente saranno favorevoli dato che è stata proprio la selezione degli ultimi decenni ad deprimere la fertilità. I caratteri di fertilità però non sono di facile acquisizione. È necessaria la puntuale registrazione delle singole inseminazioni, e ciò comporta una accurata organizzazione del sistema di controllo, nonché costi aggiuntivi rispetto ai normali controlli funzionali. Per di più i parametri di fertilità sono molto suscettibili ad errori o lacune nella registrazione. Una possibile soluzione è quella di impiegare caratteri correlati con la fertilità che però siano di più facile raccolta. La condizione di stato corporeo della vacca (o Body Condition Score) è stata più volte presa in considerazione come carattere predittore di fertilità. Quando si parla di fertilità di solito si pensa ad un’efficienza riproduttiva femminile. In effetti, è stato sulle vacche che si è prima e maggiormente riscontrato il problema della difficoltà al concepimento e mantenimento della gravidanza. Tuttavia, il ruolo degli individui di sesso maschile, nello specifico i tori fecondanti, non può essere trascurato. Nei sistemi a prevalente inseminazione strumentale come quelli delle razze specializzate da latte pochi riproduttori maschili sono messi in condizione di fecondare migliaia di vacche, e, benché ci siano dei controlli sulla qualità del materiale seminale messo in circolazione, la relativa fertilità di ogni toro ha un impatto rilevante sulla fertilità generale della popolazione. Ecco che la fertilità maschile diventa di importanza, ed una sua misurazione con dati di campo può aiutare a comprendere meglio un suo possibile ruolo nella determinazione dell’efficienza riproduttiva della popolazione oggetto di studio. Per lo svolgimento di questa tesi si è preso in esame la popolazione di razza Bruna Italiana allevata nella provincia di Bolzano. In questo contesto è in funzione un efficiente schema di raccolta informazioni che permette la registrazione delle inseminazioni effettuate con buona attendibilità. Prima è stato creato un archivio contente tutti gli interventi fecondativi ritenuti attendibili, coprendo un arco temporale dal 1999 al 2008. Per la fertilità maschile, da questo archivio si sono estratte le inseminazioni effettuate con seme di soli tori di razza Bruna Italiana. Per ognuna di queste inseminazioni si è considerato il non-ritorno a 56 giorni ed il concepimento (validato sulla base della ipotetica lunghezza di gravidanza). Sempre dall’archivio generale si sono create le diverse misure di fertilità femminile, siano essere intese come intervallo di tempo tra due eventi significativi per la riproduzione (intervalli tra il parto, la prima inseminazione, il concepimento) o come indicatori di successo degli interventi fecondativi (numero di inseminazioni per concepimento, non-ritorno dopo la prima inseminazione, concepimento alla prima inseminazione). Inoltre, i caratteri produttivi e le misure di condizione corporea della vacca che vengono ufficialmente raccolte dalla associazione di razza a livello nazionale (ANARB) sono state unite ai caratteri di fertilità. Il primo contributo si incentra sulla quantificazione della variabilità genetica additiva per la fertilità da parte maschile. Dal momento che la selezione per la fertilità dei riproduttori maschili viene fatta per via fenotipica, lo studio si è incentrato sulla predizione del valore genetico di tali riproduttori per la loro stessa fertilità, attraverso il confronto di diversi modelli predittivi. Data la natura delle variabili, i modelli a soglie sono considerati più appropriati, ma si è voluto comunque provare anche l’efficacia dei modelli lineari, che assumono la distribuzione continua e normale della variabile. Si è assunto che fosse l’embrione, che si stava instaurando, a rappresentare l’individuo con fenotipo. Sono quindi stati provati degli “animal models” che dei “sire models”. Gli effetti casuali ambientali e genetici, sono stati inseriti sequenzialmente all’interno di queste 4 combinazioni di modelli. Per ogni modelli, applicato ad entrambe le variabili, si sono calcolate componenti di varianza ed ereditabilità. Poi si è diviso il dataset in due parti, su base temporale, in modo da stimare gli indici genetici dei tori su di un dataset ed usarli per predire la restante parte delle osservazioni. Il datset di calibrazione comprendeva gli anni dal 1999 al 2005, mentre il dataset riguardante i restanti tre anni è stato usato come validazione. Le componenti di varianza estratte sono risultate basse, ma un certo grado di somiglianza a livello genetico è emerso dalle analisi. Le ereditabilità infatti sono rimaste sotto i dieci punti decimali, risultato che è sicuramente più incoraggiante dei quelli trovati in bibliografia. Diverse statistiche non parametriche hanno dimostrato come, benché non esista una sostanziale differenza tra i modelli lineari e quelli a soglie, gli animal models davano predizioni relativamente più accurate, e anche il confronto tra le specifiche dei modelli sembra favorire i quelli più compressi. In generale però le predizioni sono tendenzialmente povere, il che riflette le basse componenti di varianza genetica additiva stimate. Il secondo contributo della tesi si pone come obbiettivo di quantificare la variabilità genetica della popolazione in esame da parte femminile. I caratteri presi in esame sono quelli più comuni nella valutazione genetica per la fertilità (intervallo tra parto e primo servizio, intervallo tra primo servizio e concepimento, intervallo tra parto e concepimento, numero di inseminazioni al concepimento, concepimento alla prima inseminazione, non-ritorno a 56 giorno dopo la prima inseminazione) ed i più importanti caratteri produttivi (produzione di latte al picco di lattazione, produzione di latte nell’intera lattazione, durata della lattazione, e percentuali media di grasso e proteina nella lattazione). Tutti i caratteri sono stati considerati indipendentemente dall’ordine di parto su cui erano registrati. Inoltre, i caratteri riproduttivi intesi come intervalli sono stati suddivisi in classi di 21 giorni, con lo scopo di ripercorrere il ciclo estrale della vacca e misurare il periodo come numero di cicli estrali. Diversi modelli misti di tipo ‘sire model’ sono stati impiegati. Per analizzare le differenti variabili ci si è avvalsi di modelli lineari e modelli a soglie (threshold model). Questi ultimi operano una trasformazione della distribuzione della variabile in oggetto da discreta a continua, creando una variabile, che si intende latente, sulla quale poi viene applicato il modello misto. Inoltre, per tenere conto di possibili perdite di informazioni dovute a riforma degli animali (quantificazione dell’intervallo tra il parto ed il concepimento per vacche che non presentano un successivo parto) si sono utilizzati modelli ‘censored’. Questi modelli sono capaci di simulare una valore del parametro incrementato a partire dal valore registrato (data augmentation). Sono stati creati anche dei modelli bivariati per la quantificazione della correlazione genetica tra i caratteri produttivi e quelli riproduttivi. La metodologia impiegata si basa su inferenze costruite sulla distribuzione a posteriori dei parametri stimati (inferenza Bayesiana). I risultati hanno evidenziato una componente genetica additive della fertilità bassa ma presente. Le ereditabilità per i caratteri riproduttivi sono infatti comprese tra lo 0.03 e lo 0.08. I caratteri produttivi hanno mostrato ereditabilità relativamente più alte, pur rimanendo comunque sotto lo 0.2. In generale, i caratteri riproduttivi misurati come intervalli di 21 giorni hanno dato ereditabilità più alte dei corrispettivi considerati continui. Le correlazioni genetiche tra i caratteri riproduttivi evidenziano che non è banale considerare l’una o l’altra misura di fertilità, essendo quasi sempre medio-alte, ma non uguali ad 1. Le correlazioni tra i caratteri produttivi e riproduttivi confermano la relazione negativa tra fertilità e produzione. Alla luce dei risultati di questo studio, si capisce come qualora si voglia inserire la fertilità tra i caratteri obbiettivo di selezione non ci si può aspettare una risposta correlata positiva con quelli produttivi, e viceversa. Le ereditabilità trovate confermano però che la selezione per la fertilità è possibile, nonostante il progresso genetico atteso rimanga comunque modesto. Nel terzo contributo si è invece considerato che il peso dei vari fattori che condizionano la fertilità femminile potesse variare con l’ordine di parto su cui questa si manifesta. Le variabili già analizzate nel precedente capitolo sono state analizzate come caratteri differenti a seconda che considerassero manze vergini (esclusi i caratteri che considerano un parto precedente), vacche in prima lattazione, e vacche in seconda lattazione. È stata considerata la produzione di latte nella prima lattazione come termine di paragone per il rapporto con i caratteri produttivi. La metodologia impiegata è del tutto simile a quella del primo capitolo. I risultati indicano che per quanto la fertilità in prima e seconda lattazione possa essere considerata come un unico carattere, la fertilità misurata sulle manze vergini è un carattere sostanzialmente diverso. Per di più, la produzione in prima lattazione mostra il consueto antagonismo con la contemporanea fertilità, mentre le correlazioni con la fertilità della manza sono pressoché nulle. Se però è la fertilità della vacca in lattazione ad essere quella che ha maggiormente risentito della perdita negli ultimi decenni, ed è di questa che si vuole arrestare il peggioramento, misurare la fertilità sulla manza non potrebbe dare i risultati sperati. Tuttavia, le valutazioni genetiche sulla fertilità delle manze comporterebbero un notevole risparmio in termini di tempo dato che sarebbero disponibili con largo anticipo rispetto a quella sulle vacche primipare. Il quarto contributo si è posto l’obbiettivo di verificare se la misura di condizione corporea delle vacche possa essere un buon carattere strumento per la selezione indiretta per la fertilità femminile. Sulla razza Bruna Italiana viene registrato, con una unica misura, questo carattere sulle vacche primipare, nei primi 180 giorni di lattazioni. Questa misura di condizione corporea è stata messa in relazione con la fertilità e produzione contemporanee (in prima lattazione), e con la fertilità della seconda lattazione. Anche per questo studio la metodologia usata è del tutto simile a quella dei capitoli precedenti. Sulla base dei risultati ottenuti la condizione di stato corporeo delle vacche primipare, benché negativamente correlata alla contemporanea produzione, non appare fortemente correlata con la contemporanea fertilità, soprattutto con i caratteri di intervallo. Tuttavia, si nota come la condizione corporea sia più legata ai caratteri riproduttivi di intervallo in seconda lattazione. È da evidenziare comunque, quanto l’ispettore incaricato di valutare il caratteri di condizione corporea rappresenti la maggiore fonte di variazione. La misura di condizione corporea delle vacche primipare può rappresentare comunque un valido strumento per operare una selezione indiretta sulla fertilità, e impedirne il successivo peggioramento. In conclusione la selezione per la fertilità dei bovini da latte sembra possibile. La variabilità genetica esiste, e benché sia bassa, può per lo meno aiutare ad impedire la progressiva erosione di efficienza riproduttiva nei bovini da latte, se considerata nell’indice di selezione complessivo. La scelta degli strumenti di selezione deve essere accurata, in quanto non tutte le misure di fertilità, raccolte in diversi contesti fisiologici possono dare lo stesso risultato. Rimane comunque chiaro che non esiste un carattere che possa esprimere la fertilità femminile nel suo insieme. La condizione corporea delle vacche primipare può essere un valido strumento di selezione indiretta per la fertilità, ma investimenti in questo senso richiedono un miglioramento della ripetibilità e consistenza delle stime, tramite un assottigliamento dell’effetto del valutatore ed una più puntuale misurazione del carattere nelle fasi più significative della lattazione. La fertilità maschile sembra essere ereditabile. Una sua applicazione in ambito selettivo sembra essere sconsigliabile, ma le modeste componenti di varianza che possono essere estratte sembrano sufficienti a permettere una discriminazione dei riproduttori maschi qualora questi potessero presentare degli scarsi tassi di successo. Questa pratica, fino ad ora portata avanti per via fenotipica, potrebbe vedere l’inclusione dei dati di fertilità di campo. I tori in prova di progenie potrebbero essere valutati, con una accettabile accuratezza sulla loro prestazione riproduttiva futura.File | Dimensione | Formato | |
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