Nel XVIII secolo l’Italia era una regione di contatto tra Ortodossia e Cristianità romana. L’interazione tra queste due culture fu favorita in questa regione da tre principali fattori: la presenza di un certo numero di antiche e nuove comunità di rito greco, l’influenza crescente della Russia ortodossa in tutto il Mediterraneo e l’esteso potere della Chiesa cattolica, esercitato soprattutto attraverso la Congregazione di Propaganda Fide e la sua rete di missionari. Questo 'Mediterraneo cattolico' costituisce il terreno d’indagine della mia tesi. Nella prima parte ho ricostruito il processo di formazione di una 'Ortodossia occidentale' lungo la frontiera tra Respublica christiana e «Commonwealth ortodosso». Particolare attenzione è stata rivolta ai differenti status legali dei cristiani di rito greco sul piano civile ed ecclesiastico. I migranti/coloni ortodossi organizzarono la propria esistenza collettiva all’interno di molteplici forme istituzionali di comunità: all’interno di confraternite, di nazioni mercantili poste sotto la protezione di un console o dentro unità amministrative relativamente autonome. Anche i loro status politici erano differenti: alcuni erano sudditi del sovrano cattolico, altri erano forestieri, provenienti dai domini veneti o ottomani del Levante. Di fronte all’autorità civile lo status di suddito veneto o ottomano era spesso più importante dell’appartenenza ad una minoranza confessionale. In generale, tutti questi fattori legali, così come le relazioni interstatali e la complessa interazione tra le sfere di potere, civile ed ecclesiastica, influenzarono lo status confessionale dei migranti/coloni. Sul piano della vita pratica, quotidiana, i confini confessionali erano poi continuamente attraversati e contestati, per cui le tassonomie ufficiali, politiche e religiose, non riflettono altro che il tentativo da parte delle autorità di ordinare una realtà estremamente fluida. Nella seconda parte, lo spazio occidentale dell’Ortodossia è ricostruito attraverso l’analisi delle traiettorie individuali e dei legami inter-comunitari. Le esistenze dei migranti/coloni ortodossi appaiono liminali, continuamente oscillanti tra differenti culture, confessioni e ruoli. La realtà composita e frammentata dentro la quale si muovevano, era internamente connessa da una rete di molteplici relazioni e da un’intensa mobilità. Il Regno di Napoli è la principale area di osservazione di queste esperienze e traiettorie: esso, infatti, era al centro (sebbene non il centro economico) del Mediterraneo e, dunque, anche dei flussi e delle reti di relazione ortodosse. Lo Stato napoletano era un luogo d’approdo o di transito non solo per centinaia di mercanti, soldati ed ecclesiastici ortodossi, ma anche per una varietà di altri soggetti provenienti dalle Repubbliche di Ragusa, Genova e Venezia, dalla Dalmazia e dalle Isole Ionie, dalle terre asburgiche e dall’Impero ottomano. Così, nonostante si rilevi l’esistenza di forti legami tra i membri della 'nazione', essi intersecavano una realtà più varia. Lo studio dei mercanti greci residenti nei paesi della costa e dell’entroterra adriatico di Terra di Bari fa emergere la parzialità del modello delineato dagli studiosi della 'diaspora mercantile greca'. Nella provincia regnicola il mercante greco non era soltanto né prevalentemente, come previsto da questo modello, un intermediario tra i mercati del Mediterraneo orientale e quelli occidentali, incorporato esclusivamente all’interno di uno spazio 'diasporico' greco. In Terra di Bari i mercanti di «nazione greca» operavano anche e soprattutto nei circuiti dell’economia locale, nell’economia della terra e nel trasporto e commercializzazione del grano. I meccanismi della fiducia non erano fondati esclusivamente sui legami etno-confessionali; le relazioni trans-culturali e inter-confessionali, inoltre, si estendevano oltre la sfera del commercio. Soprattutto la Chiesa, a lungo negata ai migranti dalle autorità civili ed ecclesiastiche, non costituiva il centro dei legami comunitari. Nella terza e ultima parte, l’analisi si concentra sulla prassi della comunità. Il modo in cui i legami comunitari erano creati o messi in discussione e le forme e i significati dell’appartenenza sono qui esplorati su molteplici fronti. Comparando le realtà sociali occidentali con quelle orientali del Mediterraneo, analizzo il rapporto tra forme istituzionali (la chiesa, la confraternita, gli statuti, ecc..), pratiche informali, non codificate (usi, costumi, associazioni provvisorie, ecc..) e le rappresentazioni ideologiche della comunità da parte delle élite. La comunità come un insieme coerente e 'perenne' non esiste nella realtà, ma solo come immagine forgiata dai suoi leader al fine di preservare i diritti collettivi e l’esistenza legale della comunità. Nella realtà, invece, la comunità non appare come un’entità insulare e omogenea, ma era bensì condizionata dalle condizioni ambientali, economiche e sociali. Esplorando le logiche e i fattori che determinano le appartenenze, è emerso come le differenze – politiche religiose e linguistiche – non fossero in pratica espressione di identità distinte e separate. In alcune circostanze, tuttavia, tali differenze potevano assumere un valore identitario sul piano ideologico e discorsivo. Così in generale si rileva che le identità esistono solo come processi, per lo più transitori e strumentali. In conclusione, con questo studio ho tentato di offrire un quadro più sfumato e unitario della cosiddetta diaspora greca e dell’Ortodossia in 'Occidente'. L’attraversamento continuo dei confini mostra la storicità delle civiltà (cattolica e ortodossa) e il movimento interno e confuso che le percorre, soprattutto alla frontiera

Ortodossi nel Mediterraneo cattolico: comunità di rito greco nell'Italia del Settecento

FALCETTA, ANGELA
2014

Abstract

Nel XVIII secolo l’Italia era una regione di contatto tra Ortodossia e Cristianità romana. L’interazione tra queste due culture fu favorita in questa regione da tre principali fattori: la presenza di un certo numero di antiche e nuove comunità di rito greco, l’influenza crescente della Russia ortodossa in tutto il Mediterraneo e l’esteso potere della Chiesa cattolica, esercitato soprattutto attraverso la Congregazione di Propaganda Fide e la sua rete di missionari. Questo 'Mediterraneo cattolico' costituisce il terreno d’indagine della mia tesi. Nella prima parte ho ricostruito il processo di formazione di una 'Ortodossia occidentale' lungo la frontiera tra Respublica christiana e «Commonwealth ortodosso». Particolare attenzione è stata rivolta ai differenti status legali dei cristiani di rito greco sul piano civile ed ecclesiastico. I migranti/coloni ortodossi organizzarono la propria esistenza collettiva all’interno di molteplici forme istituzionali di comunità: all’interno di confraternite, di nazioni mercantili poste sotto la protezione di un console o dentro unità amministrative relativamente autonome. Anche i loro status politici erano differenti: alcuni erano sudditi del sovrano cattolico, altri erano forestieri, provenienti dai domini veneti o ottomani del Levante. Di fronte all’autorità civile lo status di suddito veneto o ottomano era spesso più importante dell’appartenenza ad una minoranza confessionale. In generale, tutti questi fattori legali, così come le relazioni interstatali e la complessa interazione tra le sfere di potere, civile ed ecclesiastica, influenzarono lo status confessionale dei migranti/coloni. Sul piano della vita pratica, quotidiana, i confini confessionali erano poi continuamente attraversati e contestati, per cui le tassonomie ufficiali, politiche e religiose, non riflettono altro che il tentativo da parte delle autorità di ordinare una realtà estremamente fluida. Nella seconda parte, lo spazio occidentale dell’Ortodossia è ricostruito attraverso l’analisi delle traiettorie individuali e dei legami inter-comunitari. Le esistenze dei migranti/coloni ortodossi appaiono liminali, continuamente oscillanti tra differenti culture, confessioni e ruoli. La realtà composita e frammentata dentro la quale si muovevano, era internamente connessa da una rete di molteplici relazioni e da un’intensa mobilità. Il Regno di Napoli è la principale area di osservazione di queste esperienze e traiettorie: esso, infatti, era al centro (sebbene non il centro economico) del Mediterraneo e, dunque, anche dei flussi e delle reti di relazione ortodosse. Lo Stato napoletano era un luogo d’approdo o di transito non solo per centinaia di mercanti, soldati ed ecclesiastici ortodossi, ma anche per una varietà di altri soggetti provenienti dalle Repubbliche di Ragusa, Genova e Venezia, dalla Dalmazia e dalle Isole Ionie, dalle terre asburgiche e dall’Impero ottomano. Così, nonostante si rilevi l’esistenza di forti legami tra i membri della 'nazione', essi intersecavano una realtà più varia. Lo studio dei mercanti greci residenti nei paesi della costa e dell’entroterra adriatico di Terra di Bari fa emergere la parzialità del modello delineato dagli studiosi della 'diaspora mercantile greca'. Nella provincia regnicola il mercante greco non era soltanto né prevalentemente, come previsto da questo modello, un intermediario tra i mercati del Mediterraneo orientale e quelli occidentali, incorporato esclusivamente all’interno di uno spazio 'diasporico' greco. In Terra di Bari i mercanti di «nazione greca» operavano anche e soprattutto nei circuiti dell’economia locale, nell’economia della terra e nel trasporto e commercializzazione del grano. I meccanismi della fiducia non erano fondati esclusivamente sui legami etno-confessionali; le relazioni trans-culturali e inter-confessionali, inoltre, si estendevano oltre la sfera del commercio. Soprattutto la Chiesa, a lungo negata ai migranti dalle autorità civili ed ecclesiastiche, non costituiva il centro dei legami comunitari. Nella terza e ultima parte, l’analisi si concentra sulla prassi della comunità. Il modo in cui i legami comunitari erano creati o messi in discussione e le forme e i significati dell’appartenenza sono qui esplorati su molteplici fronti. Comparando le realtà sociali occidentali con quelle orientali del Mediterraneo, analizzo il rapporto tra forme istituzionali (la chiesa, la confraternita, gli statuti, ecc..), pratiche informali, non codificate (usi, costumi, associazioni provvisorie, ecc..) e le rappresentazioni ideologiche della comunità da parte delle élite. La comunità come un insieme coerente e 'perenne' non esiste nella realtà, ma solo come immagine forgiata dai suoi leader al fine di preservare i diritti collettivi e l’esistenza legale della comunità. Nella realtà, invece, la comunità non appare come un’entità insulare e omogenea, ma era bensì condizionata dalle condizioni ambientali, economiche e sociali. Esplorando le logiche e i fattori che determinano le appartenenze, è emerso come le differenze – politiche religiose e linguistiche – non fossero in pratica espressione di identità distinte e separate. In alcune circostanze, tuttavia, tali differenze potevano assumere un valore identitario sul piano ideologico e discorsivo. Così in generale si rileva che le identità esistono solo come processi, per lo più transitori e strumentali. In conclusione, con questo studio ho tentato di offrire un quadro più sfumato e unitario della cosiddetta diaspora greca e dell’Ortodossia in 'Occidente'. L’attraversamento continuo dei confini mostra la storicità delle civiltà (cattolica e ortodossa) e il movimento interno e confuso che le percorre, soprattutto alla frontiera
26-gen-2014
Italiano
Storia del Mediterraneo, Storia moderna, Ortodossia, Diaspora greca/ History of Mediterranean, Modern History, Orthodoxy, Greek diaspora
IVETIC, EGIDIO
PANCIERA, VALTER
Università degli studi di Padova
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/85235
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-85235