Innumerevoli sorgenti di inquinamento immettono ogni giorno nelle acque del nostro pianeta inquinanti dei tipi più svariati di cui i composti organici costituiscono una frazione molto consistente. Le tradizionali tecniche di depurazione delle acque non sono in grado di rimuovere completamente tutti questi contaminanti, soprattutto quelli più persistenti e resistenti all’ossidazione, che possono essere presenti, seppur in concentrazioni molto basse, addirittura nelle acque potabili. Le tecniche più innovative recentemente applicate per la depurazione delle acque si basano su processi di ossidazione avanzata che utilizzano specie altamente reattive e ossidanti quali l’O3, e i radicali OH. Esempi ne sono l’ozonizzazione, il processo Fenton e tutte le tecniche che combinano radiazione UV, H2O2, O3 con l’eventuale presenza di catalizzatori. Più recente e ancora in fase di studio l’applicazione di scariche elettriche nell’acqua e sopra l’acqua. La scarica elettrica è la manifestazione del passaggio di corrente in un gas e viene generata applicando una tensione elevata tra un elettrodo detto attivo e un contro elettrodo posto a potenziale di terra. La scarica elettrica genera un plasma, un ambiente altamente reattivo contenente elettroni, ioni, molecole eccitate, radicali, specie neutre, che nell’insieme risulta elettricamente neutro. Quando viene applicata una scarica elettrica non termalizzante in un gas a pressione atmosferica e temperatura ambiente si genera un plasma non-termico, in non-equilibrio termodinamico, in cui gli elettroni acquistano elevata energia e temperatura mentre tutti gli altri costituenti permangono a temperatura ambiente. Se il gas è aria, il plasma generato è ricco di specie attive dell’ossigeno quali O3, •OH, O, O2•-, etc. ed è un quindi un ambiente fortemente ossidante che può essere impiegato per l’ossidazione di inquinanti organici disciolti nelle acque. La scarica elettrica può essere innescata direttamente nell’acqua oppure nell’aria sopra l’acqua da trattare: nel primo caso la scarica è energeticamente più dispendiosa. Questo è uno dei motivi che hanno condotto il gruppo di ricerca presso cui è stata svolta questa tesi ad impiegare scariche elettriche sopra l’acqua da trattare. Inoltre ad oggi, nonostante la complessità del sistema plasma necessiti ancora di molto studio sotto tutti gli aspetti, quello ingegneristico, fisico e chimico, gli sviluppi di tipo applicativo sono piuttosto avanzati mentre ancora pochi sono gli studi di carattere fondamentale sui processi chimici che avvengono nel plasma e soprattutto sui meccanismi di degradazione degli inquinanti in acqua. Lo scopo della mia Tesi è stato proprio quello di studiare il processo di degradazione di alcuni inquinanti organici modello, tra cui principalmente il fenolo, ed il ruolo delle principali specie ossidanti del plasma non-termico in aria. Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando due prototipi di reattore al plasma costruiti nel Dipartimento di Scienze Chimiche in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università di Padova. Essi generano scariche a barriera di dielettrico nell’aria sovrastante la soluzione acquosa da trattare. In entrambi i reattori la fase liquida è stazionaria mentre l’aria fluisce sopra la soluzione, mentre differiscono per le dimensioni e per il numero di fili (7 oppure 2) che costituiscono l’elettrodo attivo. Essendo il reattore grande di più recente costruzione, mi sono innanzitutto occupata del suo collaudo e della caratterizzazione. Presenta efficienza pressoché simile al primo ma permette di trattare quantitativi maggiori di soluzione (200 mL anziché 70 mL) con conseguente facilitazione anche per le analisi degli intermedi di ossidazione. La selettività del processo a dare CO2 è infatti un aspetto molto importante, in quanto alcuni intermedi di ossidazione possono essere inquinanti più pericolosi del composto di partenza. Ho quindi perfezionato il metodo di quantificazione dell’anidride carbonica, prodotto finale del processo d’ossidazione indotto da scarica elettrica, estendendo la calibrazione a concentrazioni molto piccole di CO2 per ridurre gli errori sulla misura del grado di mineralizzazione degli inquinanti trattati. Utilizzando fenolo come inquinante modello ho effettuato esperimenti a diversi valori di pH e con diversi sali presenti in soluzione da cui è risultato che l’ossidazione del fenolo è molto favorita in ambiente basico. Non è stata invece osservata alcuna correlazione evidente fra la velocità di reazione e la natura e concentrazione del sale utilizzato (carbonato e fosfato). Mediante cromatografia ionica ho individuato e quantificato alcuni intermedi di reazione completando così uno studio svolto in precedenza tramite analisi di cromatografia HPLC, analisi TOC e analisi della CO2 tramite spettroscopia FT-IR e determinando il bilancio del carbonio. Da queste analisi è risultato che la velocità di formazione della CO2 è molto minore della velocità di scomparsa del fenolo e che una frazione importante del carbonio organico presente in soluzione alla fine del trattamento del fenolo è ancora da identificare. Ho misurato il rilascio di CO2 in funzione del tempo di trattamento effettuando esperimenti nel reattore al plasma con numerosi intermedi di reazione del fenolo (l’acido formico, l’acido acetico, l’acido ossalico, l’acido gliossilico, l’acido malonico ed il gliossale). L’unico intermedio che mineralizza completamente a CO2 nelle condizioni investigate è l’acido formico, l’intermedio più avanzato della ossidazione a CO2 del fenolo. Il meccanismo di mineralizzazione del fenolo quindi procede attraverso più stadi consecutivi di reazione, con la complicazione anche di possibili reazioni competitive e lo stadio o gli stadi lenti dell’ossidazione sono a monte di questo intermedio. Infine lo studio dell’effetto della concentrazione iniziale mi consente di concludere che alle basse concentrazioni presenti nell’ambiente, l’ossidazione indotta da scarica DBD porta alla completa mineralizzazione del fenolo. Per determinare il ruolo delle principali specie reattive, O3 e OH, ho effettuato una serie di esperimenti di trattamento di soluzioni acquose contenenti fenolo con scarica in situ, cioè applicata direttamente sopra la soluzione acquosa, e con ozono prodotto tramite scarica applicata ex situ in un ozonizzatore commerciale posto a monte del reattore, utilizzato in questo caso come semplice recipiente di reazione. Questi esperimenti hanno indicato che a parità di concentrazione di ozono il trattamento del fenolo con scarica DBD in situ è più efficiente. Quindi ho studiato l’ossidazione del fenolo con scarica DBD in presenza di ter-butanolo, un composto che reagisce molto lentamente con l’ozono ed è noto dalla letteratura essere un efficace sequestratore di radicali OH. Questi esperimenti hanno dimostrato che in presenza di un forte eccesso di ter-butanolo l’ossidazione del fenolo viene fortemente rallentata. Il ter-butanolo, trattato singolarmente, si è rivelato una sonda meccanicistica utilissima in quanto reagisce solo con il radicale OH e non con l’ozono: ha consentito quindi di determinare la concentrazione di radicali OH presenti in soluzione nei diversi tipi di trattamento e ai diversi pH sperimentati. Infine l’impiego di argon anzichè d’aria mi ha permesso di generare un plasma privo di ozono e studiare il processo di degradazione del fenolo e del ter-butanolo trattati singolarmente e assieme, ad opera del radicale OH. I risultati di tutti questi esperimenti mi hanno permesso di verificare che l’applicazione della scarica in situ induce un processo di degradazione più efficiente rispetto a quello osservato, a parità di condizioni sperimentali, in esperimenti di ozonizzazione, ovvero con scarica ex situ. Questo risultato è attribuito alla presenza di una maggiore quantità di radicali OH, noti per la loro estrema reattività con tutte le strutture molecolari organiche, prodotti direttamente dalla scarica in situ a contatto con la soluzione da trattare. La mia attenzione infine si è rivolta ad alcuni contaminanti organici emergenti, in particolare a tre farmaci, la cui presenza nelle acque superficiali è documentata da un paio di decenni in molti paesi europei, e, grazie alle odierne tecniche di analisi molto sensibili, è stata rilevata addirittura nelle acque di falda e potabili. Ho scelto quindi tre farmaci tra quelli maggiormente rilevati nelle acque italiane, in particolare nel bacino del Po: la carbamazepina, un antiepilettico, l’idroclorotiazide, un diuretico, e l’atenololo, un beta-bloccante. Ho determinato la velocità di degradazione nel reattore al plasma in acqua mQ e in tampone fosfato a pH 7, riscontrando che la reattività dei tre composti segue l’ordine: carbamazepina > idroclorotiazide > atenololo. Ho determinato le rese di mineralizzazione e verificato che aumentano notevolmente al diminuire della concentrazione, risultato molto incoraggiante se si considera che le concentrazioni più basse utilizzate nei miei esperimenti sono ancora diecimila volte maggiori di quelle riscontrate nelle acque naturali. Infine attraverso analisi di cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa (LC-ESI) ho potuto identificare numerosi intermedi di ossidazione che nel corso del trattamento subiscono a loro volta degradazione ossidativa fino al prodotto ultimo, l’anidride carbonica. Questa tesi conferma ed estende risultati che dimostrano come il trattamento al plasma di soluzioni acquose inquinate da composti organici sia una tecnica promettente di depurazione delle acque che può essere efficacemente affiancata a quelle più tradizionali, soprattutto per la rimozione completa di composti persistenti presenti in basse concentrazioni. La Tesi fornisce inoltre un contributo alla comprensione dei meccanismi di ossidazione indotti da plasma non termico prodotto a contatto con soluzioni acquose.
Processi d'ossidazione avanzata indotti da plasma non-termico per la purificazione dell'acqua
CERIANI, ELISA
2014
Abstract
Innumerevoli sorgenti di inquinamento immettono ogni giorno nelle acque del nostro pianeta inquinanti dei tipi più svariati di cui i composti organici costituiscono una frazione molto consistente. Le tradizionali tecniche di depurazione delle acque non sono in grado di rimuovere completamente tutti questi contaminanti, soprattutto quelli più persistenti e resistenti all’ossidazione, che possono essere presenti, seppur in concentrazioni molto basse, addirittura nelle acque potabili. Le tecniche più innovative recentemente applicate per la depurazione delle acque si basano su processi di ossidazione avanzata che utilizzano specie altamente reattive e ossidanti quali l’O3, e i radicali OH. Esempi ne sono l’ozonizzazione, il processo Fenton e tutte le tecniche che combinano radiazione UV, H2O2, O3 con l’eventuale presenza di catalizzatori. Più recente e ancora in fase di studio l’applicazione di scariche elettriche nell’acqua e sopra l’acqua. La scarica elettrica è la manifestazione del passaggio di corrente in un gas e viene generata applicando una tensione elevata tra un elettrodo detto attivo e un contro elettrodo posto a potenziale di terra. La scarica elettrica genera un plasma, un ambiente altamente reattivo contenente elettroni, ioni, molecole eccitate, radicali, specie neutre, che nell’insieme risulta elettricamente neutro. Quando viene applicata una scarica elettrica non termalizzante in un gas a pressione atmosferica e temperatura ambiente si genera un plasma non-termico, in non-equilibrio termodinamico, in cui gli elettroni acquistano elevata energia e temperatura mentre tutti gli altri costituenti permangono a temperatura ambiente. Se il gas è aria, il plasma generato è ricco di specie attive dell’ossigeno quali O3, •OH, O, O2•-, etc. ed è un quindi un ambiente fortemente ossidante che può essere impiegato per l’ossidazione di inquinanti organici disciolti nelle acque. La scarica elettrica può essere innescata direttamente nell’acqua oppure nell’aria sopra l’acqua da trattare: nel primo caso la scarica è energeticamente più dispendiosa. Questo è uno dei motivi che hanno condotto il gruppo di ricerca presso cui è stata svolta questa tesi ad impiegare scariche elettriche sopra l’acqua da trattare. Inoltre ad oggi, nonostante la complessità del sistema plasma necessiti ancora di molto studio sotto tutti gli aspetti, quello ingegneristico, fisico e chimico, gli sviluppi di tipo applicativo sono piuttosto avanzati mentre ancora pochi sono gli studi di carattere fondamentale sui processi chimici che avvengono nel plasma e soprattutto sui meccanismi di degradazione degli inquinanti in acqua. Lo scopo della mia Tesi è stato proprio quello di studiare il processo di degradazione di alcuni inquinanti organici modello, tra cui principalmente il fenolo, ed il ruolo delle principali specie ossidanti del plasma non-termico in aria. Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando due prototipi di reattore al plasma costruiti nel Dipartimento di Scienze Chimiche in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università di Padova. Essi generano scariche a barriera di dielettrico nell’aria sovrastante la soluzione acquosa da trattare. In entrambi i reattori la fase liquida è stazionaria mentre l’aria fluisce sopra la soluzione, mentre differiscono per le dimensioni e per il numero di fili (7 oppure 2) che costituiscono l’elettrodo attivo. Essendo il reattore grande di più recente costruzione, mi sono innanzitutto occupata del suo collaudo e della caratterizzazione. Presenta efficienza pressoché simile al primo ma permette di trattare quantitativi maggiori di soluzione (200 mL anziché 70 mL) con conseguente facilitazione anche per le analisi degli intermedi di ossidazione. La selettività del processo a dare CO2 è infatti un aspetto molto importante, in quanto alcuni intermedi di ossidazione possono essere inquinanti più pericolosi del composto di partenza. Ho quindi perfezionato il metodo di quantificazione dell’anidride carbonica, prodotto finale del processo d’ossidazione indotto da scarica elettrica, estendendo la calibrazione a concentrazioni molto piccole di CO2 per ridurre gli errori sulla misura del grado di mineralizzazione degli inquinanti trattati. Utilizzando fenolo come inquinante modello ho effettuato esperimenti a diversi valori di pH e con diversi sali presenti in soluzione da cui è risultato che l’ossidazione del fenolo è molto favorita in ambiente basico. Non è stata invece osservata alcuna correlazione evidente fra la velocità di reazione e la natura e concentrazione del sale utilizzato (carbonato e fosfato). Mediante cromatografia ionica ho individuato e quantificato alcuni intermedi di reazione completando così uno studio svolto in precedenza tramite analisi di cromatografia HPLC, analisi TOC e analisi della CO2 tramite spettroscopia FT-IR e determinando il bilancio del carbonio. Da queste analisi è risultato che la velocità di formazione della CO2 è molto minore della velocità di scomparsa del fenolo e che una frazione importante del carbonio organico presente in soluzione alla fine del trattamento del fenolo è ancora da identificare. Ho misurato il rilascio di CO2 in funzione del tempo di trattamento effettuando esperimenti nel reattore al plasma con numerosi intermedi di reazione del fenolo (l’acido formico, l’acido acetico, l’acido ossalico, l’acido gliossilico, l’acido malonico ed il gliossale). L’unico intermedio che mineralizza completamente a CO2 nelle condizioni investigate è l’acido formico, l’intermedio più avanzato della ossidazione a CO2 del fenolo. Il meccanismo di mineralizzazione del fenolo quindi procede attraverso più stadi consecutivi di reazione, con la complicazione anche di possibili reazioni competitive e lo stadio o gli stadi lenti dell’ossidazione sono a monte di questo intermedio. Infine lo studio dell’effetto della concentrazione iniziale mi consente di concludere che alle basse concentrazioni presenti nell’ambiente, l’ossidazione indotta da scarica DBD porta alla completa mineralizzazione del fenolo. Per determinare il ruolo delle principali specie reattive, O3 e OH, ho effettuato una serie di esperimenti di trattamento di soluzioni acquose contenenti fenolo con scarica in situ, cioè applicata direttamente sopra la soluzione acquosa, e con ozono prodotto tramite scarica applicata ex situ in un ozonizzatore commerciale posto a monte del reattore, utilizzato in questo caso come semplice recipiente di reazione. Questi esperimenti hanno indicato che a parità di concentrazione di ozono il trattamento del fenolo con scarica DBD in situ è più efficiente. Quindi ho studiato l’ossidazione del fenolo con scarica DBD in presenza di ter-butanolo, un composto che reagisce molto lentamente con l’ozono ed è noto dalla letteratura essere un efficace sequestratore di radicali OH. Questi esperimenti hanno dimostrato che in presenza di un forte eccesso di ter-butanolo l’ossidazione del fenolo viene fortemente rallentata. Il ter-butanolo, trattato singolarmente, si è rivelato una sonda meccanicistica utilissima in quanto reagisce solo con il radicale OH e non con l’ozono: ha consentito quindi di determinare la concentrazione di radicali OH presenti in soluzione nei diversi tipi di trattamento e ai diversi pH sperimentati. Infine l’impiego di argon anzichè d’aria mi ha permesso di generare un plasma privo di ozono e studiare il processo di degradazione del fenolo e del ter-butanolo trattati singolarmente e assieme, ad opera del radicale OH. I risultati di tutti questi esperimenti mi hanno permesso di verificare che l’applicazione della scarica in situ induce un processo di degradazione più efficiente rispetto a quello osservato, a parità di condizioni sperimentali, in esperimenti di ozonizzazione, ovvero con scarica ex situ. Questo risultato è attribuito alla presenza di una maggiore quantità di radicali OH, noti per la loro estrema reattività con tutte le strutture molecolari organiche, prodotti direttamente dalla scarica in situ a contatto con la soluzione da trattare. La mia attenzione infine si è rivolta ad alcuni contaminanti organici emergenti, in particolare a tre farmaci, la cui presenza nelle acque superficiali è documentata da un paio di decenni in molti paesi europei, e, grazie alle odierne tecniche di analisi molto sensibili, è stata rilevata addirittura nelle acque di falda e potabili. Ho scelto quindi tre farmaci tra quelli maggiormente rilevati nelle acque italiane, in particolare nel bacino del Po: la carbamazepina, un antiepilettico, l’idroclorotiazide, un diuretico, e l’atenololo, un beta-bloccante. Ho determinato la velocità di degradazione nel reattore al plasma in acqua mQ e in tampone fosfato a pH 7, riscontrando che la reattività dei tre composti segue l’ordine: carbamazepina > idroclorotiazide > atenololo. Ho determinato le rese di mineralizzazione e verificato che aumentano notevolmente al diminuire della concentrazione, risultato molto incoraggiante se si considera che le concentrazioni più basse utilizzate nei miei esperimenti sono ancora diecimila volte maggiori di quelle riscontrate nelle acque naturali. Infine attraverso analisi di cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa (LC-ESI) ho potuto identificare numerosi intermedi di ossidazione che nel corso del trattamento subiscono a loro volta degradazione ossidativa fino al prodotto ultimo, l’anidride carbonica. Questa tesi conferma ed estende risultati che dimostrano come il trattamento al plasma di soluzioni acquose inquinate da composti organici sia una tecnica promettente di depurazione delle acque che può essere efficacemente affiancata a quelle più tradizionali, soprattutto per la rimozione completa di composti persistenti presenti in basse concentrazioni. La Tesi fornisce inoltre un contributo alla comprensione dei meccanismi di ossidazione indotti da plasma non termico prodotto a contatto con soluzioni acquose.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/85666
URN:NBN:IT:UNIPD-85666