Nell’ultimo decennio i social network sono diventati sempre più importanti nelle relazioni interpersonali e nelle interazioni di gruppo (Ryan, Chester, Reece, & Xenos, 2014). Tra i tanti social network esistenti, Facebook è il più popolare al mondo con circa due miliardi di utenti. Nonostante le numerose risorse e le funzioni sociali offerte da Facebook (Lee, Cheung, & Thadani, 2012), la ricerca scientifica sembra suggerire che l’uso di Facebook possa diventare problematico, specialmente per gli adolescenti e i giovani adulti (Kuss & Griffiths, 2011a), e che, perciò, l’uso problematico del social network potrebbe manifestarsi nella forma di un nuovo potenziale disturbo mentale (Kuss & Griffiths, 2011a). Ciononostante, nella comunità scientifica non c’è ancora accordo rispetto ai criteri diagnostici da utilizzare e alla teoria da adottare per comprendere e classificare l’uso problematico di Facebook. Per questo motivo, nel presente progetto di ricerca, abbiamo adattato al contesto di Facebook il modello dell’uso problematico di Internet sviluppato da Caplan (2010). L’uso problematico di Facebook è stato, quindi, definito come l’uso maladattivo del social network caratterizzato da aspetti cognitivi e comportamentali che hanno un impatto negativo sul benessere degli utenti. Mentre negli ultimi anni la ricerca sta continuando a mostrare un crescente interesse verso la concettualizzazione dell’uso problematico di Facebook e la sua associazione con le caratteristiche individuali e l’adattamento psicologico, è sempre più difficile avere un quadro completo di quali siano le caratteristiche specifiche e i correlati di tale fenomeno. Quindi, il primo obiettivo del presente lavoro è stato fare una rassegna sistematica dei risultati della ricerca scientifica sull’uso problematico di Facebook. Studio 1: Lo studio meta-analitico aveva lo scopo di comprendere quali fossero le caratteristiche specifiche dell’uso problematico di Facebook (cioè, l’eventuale sovrapposizione con il tempo speso online e il concetto più generale della dipendenza da Internet), le caratteristiche individuali degli utenti di Facebook (comprese le differenze di genere, i tratti di personalità, l’autostima e le motivazioni per usare il social network), e l’associazione dell’uso problematico di Facebook con il malessere e il benessere psicologico. Cinquantaquattro campioni indipendenti sono stati inseriti nelle analisi per un totale di 26707 partecipanti (59.49% di genere femminile; età media = 25.31 anni, DS = 4.75). In sintesi, i risultati hanno mostrato un piccolo effetto del genere in favore delle donne e un’associazione positiva tra uso problematico di Facebook, tempo speso online e dipendenza da Internet. Al contrario, è emersa una relazione negativa con l’autostima. Il nevroticismo e la coscienziosità sono i due tratti di personalità chiaramente associati con l’uso problematico di Facebook. Inoltre, le relazioni più forti sono emerse tra l’uso problematico di Facebook e le motivazioni interne e le motivazioni con valenza negativa. Infine, l’uso problematico di Facebook correla positivamente con i sintomi di malessere psicologico, compresi ansia e depressione, mentre è emersa una associazione relativamente meno forte tra l’uso problematico di Facebook e benessere (compresi la soddisfazione per la vita e altri indici di benessere soggettivo). La presente meta-analisi potrebbe essere utile per una più completa comprensione del fenomeno e dei suoi correlati. Come secondo obiettivo del progetto di ricerca, sono stati condotti tre studi con lo scopo specifico di chiarire alcuni risultati ancora incerti emersi nella meta-analisi. Studio 2: Il secondo studio aveva l’obiettivo di analizzare il ruolo dei tratti di personalità e dei processi di influenza sociale (le norme soggettive, le norme di gruppo e l’identità sociale) nella spiegazione della frequenza d’uso e nell’uso problematico di Facebook in un campione di adolescenti. Allo studio hanno partecipato 968 adolescenti italiani (37.7% di genere femminile; età media = 17.19, DS = 1.48). Il modello di equazioni strutturali ha mostrato che la stabilità emotiva (il rovescio del nevroticismo), l’estroversione, la coscienziosità e le norme soggettive predicono direttamente l’uso problematico di Facebook, mentre le norme di gruppo e l’identità sociale predicono la frequenza d’uso. In conclusione, sia le variabili personali che quelle sociali sembrano spiegare l’uso (problematico) di Facebook tra gli adolescenti. Studio 3: Il terzo studio aveva lo scopo di testare, in un unico modello, il contributo dei tratti di personalità, delle motivazioni per usare Facebook e delle metacognizioni nel predire l’uso problematico di Facebook tra i giovani adulti. Allo studio hanno partecipato 815 studenti universitari italiani (77.2% di genere femminile; età media = 21.17, DS = 2.16). La path analysis ha mostrato che tre delle quattro motivazioni per usare Facebook e due delle cinque metacognizioni predicono l’uso problematico di Facebook. Inoltre, soltanto un tratto di personalità (l’estroversione) sembra essere direttamente legato all’uso problematico di Facebook, mentre la stabilità emotiva sembra influenzare l’uso problematico di Facebook indirettamente attraverso le motivazioni (coping e conformismo) e le metacognizioni (credenze negative sulla preoccupazione e sicurezza cognitiva). Studio 4: Lo scopo del quarto studio era testare se e in quale misura alcuni comportamenti reali su Facebook fossero più frequenti tra gli utenti problematici rispetto agli utenti non problematici. Le differenze nei comportamenti reali su Facebook tra “problematici” e “non problematici” sono stati analizzati mediante una serie di t-test sia secondo l’approccio frequentista sia seguendo l’approccio bayesiano. Allo studio hanno partecipato 297 studenti universitari (80.8% di genere femminile; età media = 21.05, DS = 1.88). Per ottenere i dati relativi ai comportamenti reali messi in atto su Facebook (cioè, attività relative ad amicizie, eventi, bacheca e messaggi di testo), è stata creata un’apposita libreria di R. I t-test hanno indicato che i problematici e i non problematici differiscono significativamente in diversi comportamenti reali su Facebook. Le analisi bayesiane hanno confermato i risultati delle analisi frequentiste supportando l’evidenza che i problematici hanno punteggi più alti rispetto ai non problematici in molte variabili reali, come il numero di amicizie strette, il numero di eventi a cui si è partecipato, tutte le attività sulla bacheca (per esempio, il numero di mi piace), e il numero di messaggi privati. L’analisi dei dati oggettivi relativi ai comportamenti realmente messi in atto su Facebook permette di superare il problema della misurazione di tali comportamenti attraverso rilevazioni self-report. Tale approccio può aiutare a comprendere come alcune attività su Facebook (che possono potenzialmente “dare dipendenza”) siano in grado di predire l’uso problematico di Facebook. In conclusione, presi nel loro complesso, i risultati dei quattro studi suggeriscono che possano esserci dei meccanismi di auto-regolazione emotiva e comportamentale sottostanti l’uso problematico di Facebook. Per questo motivo, la presente tesi potrebbe avere delle implicazioni utili sia per la concettualizzazione stessa del fenomeno dell’uso problematico di Facebook, sia per gli interventi clinici volti ad affrontare il problema che per gli interventi di prevenzione destinati ai più giovani.

Lost in facebook: individual and social correlates of problematic facebook use in adolescents and young adults

MARINO, CLAUDIA
2018

Abstract

Nell’ultimo decennio i social network sono diventati sempre più importanti nelle relazioni interpersonali e nelle interazioni di gruppo (Ryan, Chester, Reece, & Xenos, 2014). Tra i tanti social network esistenti, Facebook è il più popolare al mondo con circa due miliardi di utenti. Nonostante le numerose risorse e le funzioni sociali offerte da Facebook (Lee, Cheung, & Thadani, 2012), la ricerca scientifica sembra suggerire che l’uso di Facebook possa diventare problematico, specialmente per gli adolescenti e i giovani adulti (Kuss & Griffiths, 2011a), e che, perciò, l’uso problematico del social network potrebbe manifestarsi nella forma di un nuovo potenziale disturbo mentale (Kuss & Griffiths, 2011a). Ciononostante, nella comunità scientifica non c’è ancora accordo rispetto ai criteri diagnostici da utilizzare e alla teoria da adottare per comprendere e classificare l’uso problematico di Facebook. Per questo motivo, nel presente progetto di ricerca, abbiamo adattato al contesto di Facebook il modello dell’uso problematico di Internet sviluppato da Caplan (2010). L’uso problematico di Facebook è stato, quindi, definito come l’uso maladattivo del social network caratterizzato da aspetti cognitivi e comportamentali che hanno un impatto negativo sul benessere degli utenti. Mentre negli ultimi anni la ricerca sta continuando a mostrare un crescente interesse verso la concettualizzazione dell’uso problematico di Facebook e la sua associazione con le caratteristiche individuali e l’adattamento psicologico, è sempre più difficile avere un quadro completo di quali siano le caratteristiche specifiche e i correlati di tale fenomeno. Quindi, il primo obiettivo del presente lavoro è stato fare una rassegna sistematica dei risultati della ricerca scientifica sull’uso problematico di Facebook. Studio 1: Lo studio meta-analitico aveva lo scopo di comprendere quali fossero le caratteristiche specifiche dell’uso problematico di Facebook (cioè, l’eventuale sovrapposizione con il tempo speso online e il concetto più generale della dipendenza da Internet), le caratteristiche individuali degli utenti di Facebook (comprese le differenze di genere, i tratti di personalità, l’autostima e le motivazioni per usare il social network), e l’associazione dell’uso problematico di Facebook con il malessere e il benessere psicologico. Cinquantaquattro campioni indipendenti sono stati inseriti nelle analisi per un totale di 26707 partecipanti (59.49% di genere femminile; età media = 25.31 anni, DS = 4.75). In sintesi, i risultati hanno mostrato un piccolo effetto del genere in favore delle donne e un’associazione positiva tra uso problematico di Facebook, tempo speso online e dipendenza da Internet. Al contrario, è emersa una relazione negativa con l’autostima. Il nevroticismo e la coscienziosità sono i due tratti di personalità chiaramente associati con l’uso problematico di Facebook. Inoltre, le relazioni più forti sono emerse tra l’uso problematico di Facebook e le motivazioni interne e le motivazioni con valenza negativa. Infine, l’uso problematico di Facebook correla positivamente con i sintomi di malessere psicologico, compresi ansia e depressione, mentre è emersa una associazione relativamente meno forte tra l’uso problematico di Facebook e benessere (compresi la soddisfazione per la vita e altri indici di benessere soggettivo). La presente meta-analisi potrebbe essere utile per una più completa comprensione del fenomeno e dei suoi correlati. Come secondo obiettivo del progetto di ricerca, sono stati condotti tre studi con lo scopo specifico di chiarire alcuni risultati ancora incerti emersi nella meta-analisi. Studio 2: Il secondo studio aveva l’obiettivo di analizzare il ruolo dei tratti di personalità e dei processi di influenza sociale (le norme soggettive, le norme di gruppo e l’identità sociale) nella spiegazione della frequenza d’uso e nell’uso problematico di Facebook in un campione di adolescenti. Allo studio hanno partecipato 968 adolescenti italiani (37.7% di genere femminile; età media = 17.19, DS = 1.48). Il modello di equazioni strutturali ha mostrato che la stabilità emotiva (il rovescio del nevroticismo), l’estroversione, la coscienziosità e le norme soggettive predicono direttamente l’uso problematico di Facebook, mentre le norme di gruppo e l’identità sociale predicono la frequenza d’uso. In conclusione, sia le variabili personali che quelle sociali sembrano spiegare l’uso (problematico) di Facebook tra gli adolescenti. Studio 3: Il terzo studio aveva lo scopo di testare, in un unico modello, il contributo dei tratti di personalità, delle motivazioni per usare Facebook e delle metacognizioni nel predire l’uso problematico di Facebook tra i giovani adulti. Allo studio hanno partecipato 815 studenti universitari italiani (77.2% di genere femminile; età media = 21.17, DS = 2.16). La path analysis ha mostrato che tre delle quattro motivazioni per usare Facebook e due delle cinque metacognizioni predicono l’uso problematico di Facebook. Inoltre, soltanto un tratto di personalità (l’estroversione) sembra essere direttamente legato all’uso problematico di Facebook, mentre la stabilità emotiva sembra influenzare l’uso problematico di Facebook indirettamente attraverso le motivazioni (coping e conformismo) e le metacognizioni (credenze negative sulla preoccupazione e sicurezza cognitiva). Studio 4: Lo scopo del quarto studio era testare se e in quale misura alcuni comportamenti reali su Facebook fossero più frequenti tra gli utenti problematici rispetto agli utenti non problematici. Le differenze nei comportamenti reali su Facebook tra “problematici” e “non problematici” sono stati analizzati mediante una serie di t-test sia secondo l’approccio frequentista sia seguendo l’approccio bayesiano. Allo studio hanno partecipato 297 studenti universitari (80.8% di genere femminile; età media = 21.05, DS = 1.88). Per ottenere i dati relativi ai comportamenti reali messi in atto su Facebook (cioè, attività relative ad amicizie, eventi, bacheca e messaggi di testo), è stata creata un’apposita libreria di R. I t-test hanno indicato che i problematici e i non problematici differiscono significativamente in diversi comportamenti reali su Facebook. Le analisi bayesiane hanno confermato i risultati delle analisi frequentiste supportando l’evidenza che i problematici hanno punteggi più alti rispetto ai non problematici in molte variabili reali, come il numero di amicizie strette, il numero di eventi a cui si è partecipato, tutte le attività sulla bacheca (per esempio, il numero di mi piace), e il numero di messaggi privati. L’analisi dei dati oggettivi relativi ai comportamenti realmente messi in atto su Facebook permette di superare il problema della misurazione di tali comportamenti attraverso rilevazioni self-report. Tale approccio può aiutare a comprendere come alcune attività su Facebook (che possono potenzialmente “dare dipendenza”) siano in grado di predire l’uso problematico di Facebook. In conclusione, presi nel loro complesso, i risultati dei quattro studi suggeriscono che possano esserci dei meccanismi di auto-regolazione emotiva e comportamentale sottostanti l’uso problematico di Facebook. Per questo motivo, la presente tesi potrebbe avere delle implicazioni utili sia per la concettualizzazione stessa del fenomeno dell’uso problematico di Facebook, sia per gli interventi clinici volti ad affrontare il problema che per gli interventi di prevenzione destinati ai più giovani.
2018
Inglese
Facebook, problematic use, adolescents, young adults, Internet addiction
VIENO, ALESSIO
GALFANO, GIOVANNI
Università degli studi di Padova
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/87126
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-87126