L’obiettivo di questa tesi vorrebbe essere quello di utilizzare il prisma dell’interpretazione conforme a Costituzione per analizzare come, nella realtà giurisprudenziale in tema di espropriazione per pubblica utilità, si intersecano autorità statale e autonomia privata, fermo restando il ruolo cardine spettante al Giudice in questo difficile bilanciamento di interessi. La scelta di focalizzare l’attenzione su tale istituto nasce dalla semplice considerazione che “i rapporti tra lo Stato e la proprietà privata costituiscono, insieme con quello della libertà dell’individuo, il problema cardine della vita organizzata socialmente; e l’espropriazione per pubblica utilità costituisce il punto di incontro più drammatico tra l’autorità dello Stato e l’autonomia privata” (cfr. U. NICOLINI, Espropriazione per pubblica utilità, in Enc. Dir., XV, 1966, 802). Ed invero, l’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità, come tratteggiato dagli artt. 42, 43 e 44 della Costituzione, consistendo nella possibilità di auferre rem privati, da cui il termine ablazione, rappresenta la limitazione più incisiva del diritto di proprietà che viene ad estinguersi in capo al soggetto espropriato a favore di un collettività beneficiaria per motivi di pubblico interesse. La formula adottata dai costituenti, però, lascia inevitabilmente aperti numerosi problemi interpretativi e pratici che riguardano la valutazione del concetto di interesse generale quale presupposto per l’espropriazione; la conformità o meno a Costituzione di leggi applicative che, non essendo sufficientemente dettagliate, possano rendere discrezionale il “delicato potere” di cui la Pubblica Amministrazione è titolare; nonchè, infine – ma di notevole importanza per il cittadino che rappresenta il fine ultimo delle previsioni legislative – la quantificazione dell’indennizzo. E ciò a maggior ragione se solo si considera che, nonostante i limiti dettati dalla Carta costituzionale, la prassi amministrativa si è avvalsa per moltissimo tempo della cd. espropriazione indiretta, nella quale l’ablazione del diritto di proprietà avveniva non in conseguenza dell’adozione di un provvedimento di esproprio da parte dell’Autorità competente, bensì per effetto della trasformazione irreversibile di un bene privato per il soddisfacimento di un interesse pubblico, senza che tale soddisfacimento fosse portato avanti nel rispetto della normativa di settore. Muovendo da tali presupposti, il presente elaborato ha ad oggetto l’analisi delle origini del fenomeno espropriativo, da rinvenirsi, ancor prima che nell’epoca comunale, nel diritto romano: ed invero l’esistenza nel diritto romano di un istituto con finalità e funzioni giuridico-sociali corrispondenti, almeno in parte, a quelle dell’odierna espropriazione per pubblica utilità, è tra i problemi più controversi nelle discipline romanistiche. Punto di partenza, quindi, del presente lavoro sarà lo studio delle fonti, per evidenziare se e in quale misura vi potesse essere spazio per tale istituto nel mondo romano: un excursus che meglio permetterà di comprendere le problematiche che ancor oggi interessano la vicenda espropriativa, anche alla luce delle novità recentissimamente introdotte dal d.l. 13 agosto 2011, n. 128, così come modificato dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148
Elementi storico costituzionali in tema di espropriazione per pubblica utilità
GOBBATO, ILARIA
2012
Abstract
L’obiettivo di questa tesi vorrebbe essere quello di utilizzare il prisma dell’interpretazione conforme a Costituzione per analizzare come, nella realtà giurisprudenziale in tema di espropriazione per pubblica utilità, si intersecano autorità statale e autonomia privata, fermo restando il ruolo cardine spettante al Giudice in questo difficile bilanciamento di interessi. La scelta di focalizzare l’attenzione su tale istituto nasce dalla semplice considerazione che “i rapporti tra lo Stato e la proprietà privata costituiscono, insieme con quello della libertà dell’individuo, il problema cardine della vita organizzata socialmente; e l’espropriazione per pubblica utilità costituisce il punto di incontro più drammatico tra l’autorità dello Stato e l’autonomia privata” (cfr. U. NICOLINI, Espropriazione per pubblica utilità, in Enc. Dir., XV, 1966, 802). Ed invero, l’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità, come tratteggiato dagli artt. 42, 43 e 44 della Costituzione, consistendo nella possibilità di auferre rem privati, da cui il termine ablazione, rappresenta la limitazione più incisiva del diritto di proprietà che viene ad estinguersi in capo al soggetto espropriato a favore di un collettività beneficiaria per motivi di pubblico interesse. La formula adottata dai costituenti, però, lascia inevitabilmente aperti numerosi problemi interpretativi e pratici che riguardano la valutazione del concetto di interesse generale quale presupposto per l’espropriazione; la conformità o meno a Costituzione di leggi applicative che, non essendo sufficientemente dettagliate, possano rendere discrezionale il “delicato potere” di cui la Pubblica Amministrazione è titolare; nonchè, infine – ma di notevole importanza per il cittadino che rappresenta il fine ultimo delle previsioni legislative – la quantificazione dell’indennizzo. E ciò a maggior ragione se solo si considera che, nonostante i limiti dettati dalla Carta costituzionale, la prassi amministrativa si è avvalsa per moltissimo tempo della cd. espropriazione indiretta, nella quale l’ablazione del diritto di proprietà avveniva non in conseguenza dell’adozione di un provvedimento di esproprio da parte dell’Autorità competente, bensì per effetto della trasformazione irreversibile di un bene privato per il soddisfacimento di un interesse pubblico, senza che tale soddisfacimento fosse portato avanti nel rispetto della normativa di settore. Muovendo da tali presupposti, il presente elaborato ha ad oggetto l’analisi delle origini del fenomeno espropriativo, da rinvenirsi, ancor prima che nell’epoca comunale, nel diritto romano: ed invero l’esistenza nel diritto romano di un istituto con finalità e funzioni giuridico-sociali corrispondenti, almeno in parte, a quelle dell’odierna espropriazione per pubblica utilità, è tra i problemi più controversi nelle discipline romanistiche. Punto di partenza, quindi, del presente lavoro sarà lo studio delle fonti, per evidenziare se e in quale misura vi potesse essere spazio per tale istituto nel mondo romano: un excursus che meglio permetterà di comprendere le problematiche che ancor oggi interessano la vicenda espropriativa, anche alla luce delle novità recentissimamente introdotte dal d.l. 13 agosto 2011, n. 128, così come modificato dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/87228
URN:NBN:IT:UNIPD-87228