La conservazione e la valorizzazione delle risorse genetiche animali autoctone è un campo di studio teorico ed applicativo che sta assumendo sempre maggior interesse ed importanza, soprattutto in questo nuovo millennio in cui i cambiamenti globali sono sempre più rapidi e l’esigenza di un’agricoltura sostenibile e spesso localizzata si fa sempre maggiormente presente (FAO, 2012, The State of Food and Agriculture, http://www.fao.org/catalog/inter-e.htm). Lo studio riportato in questa tesi di dottorato, finanziato anche dalla Regione Veneto con una borsa di studio a tema vincolato, è stato focalizzato, attraverso la presentazione di quattro contributi, sullo studio delle risorse genetiche ovine autoctone del Veneto, con particolare riferimento al centro di conservazione presso l’Azienda Sperimentale per la Montagna “Villiago” (Veneto Agricoltura - Agenzia Regionale per i settori Agricolo, Forestale e Agroalimentare) di Sedico (BL) (Allegato I). Il primo contributo riguarda la caratterizzazione delle razze ovine venete a limitata diffusione iscritte a R.A. (Alpagota, Brogna, Foza e Lamon), attraverso un’indagine genetica con l’uso di un panel a 17 marcatori microsatelliti (FASS, 1999; ISAG/FAO, 2004) e in relazione ad una razza italiana iscritta a L.G. (Appenninica) usata come outgroup. Per cercare di valutare l’influenza delle strutture di sottopopolazione (se presenti), i dati totali sono stati considerati nel piano sperimentale in due modi: - come un’unica popolazione campionaria; - come due popolazioni campionarie, suddivise in un allevamento principale istituzionale definito “main flock”(“Villiago”) e che racchiude tutte e 4 le razze venete, e in allevamenti secondari definiti “secondary flocks”(essenzialmente allevatori privati). In generale, si è rilevato che le razze venete mostrano una considerevole variabilità genetica, in termini di numero di alleli e di eterozigosità, rispetto alla razza di riferimento, che si è rivelata la meno variabile (0.663). Tuttavia, un significativo deficit di eterozigoti è stato osservato in ogni razza a causa di livelli piuttosto elevati di consanguineità o per la presenza di sottostrutture nella popolazione, probabilmente dovute a una maggiore variabilità genetica nelle popolazioni fondatori rispetto a quest’ultime. Considerando poi la popolazione campionaria suddivisa in “main flock” e “secondary flocks”, si è assistito ad una differenziazione genetica tra greggi principali e secondarie all'interno di ogni razza, in termini di numero totale di alleli, ricchezza allelica e riduzione di diversità genetica (Caballero & Toro, 2002). In generale, dai campioni totali e non considerando la suddivisione in “main flock” e “secondary flocks”, il contributo della diversità genetica è compresa tra -0,954%, rimuovendo dal set di dati la razza Appenninica, a +1,357%, rimuovendo Alpagota. Considerando la suddivisione tra “main flock” e “secondary flocks”, i risultati ottenuti dal gruppo principale sono diversi da quelli dei gruppi secondari: rimuovendo i soggetti del “secondary flocks” il valore massimo si è raggiunto togliendo le razze Alpagota (-7,415) e Brogna (-6,390), mentre non considerando le razze Foza e Lamon in entrambi i gruppi principale e secondario, il valore ottenuto risulta sempre negativo (Foza: -0,209, -6,237, Lamon: 0,949, -2,795, per “main flock” e “secondary flocks”, rispettivamente). In sintesi, i risultati di questo studio mostrano quindi l'importanza di confrontare la diversità genetica tra le greggi principali e secondari per salvaguardare le razze ovine autoctone, soprattutto nell’ambito delle linee guide che le istituzioni dovrebbero fornire nei programmi di conservazione a tutela di allevamenti istituzionali e privati, prevedendo azioni distinte e mirate. I risultati ottenuti sono serviti, inoltre, per la realizzazione di una scheda tecnica informativo-divulgativa per gli allevatori (Allegato II). Nel secondo contributo si propone di studiare delle simulazioni generazionali attraverso l’uso del software Hybridlab, al fine di valutare una prima ipotesi sui possibili effetti di una selezione di genotipi non suscettibili allo sviluppo della malattia neurodegenerativa scrapie nelle razze ovine autoctone; lo studio riguarda in particolar modo l’approccio alle simulazioni generazionali in gruppi di ovini di cui non si possiedono i dati di pedigree. In questo caso la variabilità genetica di due gruppi di soggetti appartenenti a due razze ovine autoctone del Veneto, Alpagota e Brogna (118 soggetti totali, di cui 23 ♂ e 42 ♀ per Brogna, 27 ♂ e 26 ♀ per Alpagota), è stata studiata attraverso l’analisi genetica con l’applicazione di 17 marcatori microsatelliti, come nel protocollo seguito nello studio del primo contributo di questo lavoro. I dati molecolari ottenuti sono stati utilizzati per la simulazione delle generazioni successive delle due razze, secondo uno schema di incroci all'interno della razza e sulla base della scelta dei maschi riproduttori in relazione ai dati genotipici di suscettibilità scrapie. Gli assunti alla base del lavoro, necessari per il piano di accoppiamento, sono stati: - le frequenze alleliche degli animali del campione sono rappresentativi delle popolazioni originali; - tutti i montoni e le tutte femmine hanno le stesse prestazioni riproduttive; - i maschi sono selezionati da un disegno casuale e sono utilizzati solo per un turno di monte; - il numero di animali che compone la popolazione campione è fisso. Per ogni razza quattro nuove generazioni simulate successive sono state realizzate ampliando la popolazione al tempo zero fino a 1000 individui e selezionando oltre 500 soggetti rappresentativi della popolazione reale (per frequenze alleliche e sesso). Su queste popolazioni simulate al tempo zero, ritenute rappresentative della situazione reale di partenza, si è proceduto ad applicare uno schema di selezione con rimonta interna pari a 10% della consistenza reale, sex ratio della progenie 50% circa, prolificità media 145%, utilizzo dei maschi per un solo turno di monte e mai nel turno riproduttivo (stagione) successiva alla nascita, ma in quello dopo. La selezione, su base maschile, è stata eseguita utilizzando due diversi approcci: scartando maschi con genotipo scrapie sfavorevole (Classe di rischio V, genotipi VRQ/VRQ, ARQ/VRQ e ARH/VRQ) e senza selezione del genotipo. I soggetti eliminati sono stati scelti in maniera casuale tra quelli idonei alla selezione. Si è riscontrato che il numero totale di alleli rilevati in Alpagota è stato di 158 (media 9.29 ± SD 2.95), e in Brogna è stato di 186 (media 10.94 ± SD 3.05). Le differenze nel numero medio di alleli, eterozigosità attesa e osservata, e coancestry molecolare sono stati rilevati per le popolazioni selezionate e non selezionate di entrambe le razze. I risultati hanno mostrato che, se gli assunti sono rispettati e l’analisi generazionale è corretta con l’uso del software Hybridlab, la selezione contro la sensibilità alla scrapie è possibile nelle razze locali a ridotta diffusione studiate, senza compromettere la diversità genetica. Il terzo contributo è stato realizzato consecutivamente ai primi due e come continuazione degli stessi. Si basa sui dati molecolari dei soggetti animali analizzati nel primo contributo e ha come scopo cercare di rispondere a due domande che un ricercatore si potrebbe porre a seguito dell’analisi teorica di simulazione generazionale delle popolazioni: - "Cosa succederebbe se ci fosse in realtà la rimozione diretta ed immediata di individui a seguito di un di piano selezione dei soggetti a suscettibilità elevata di sviluppare la scrapie, e quindi nella popolazione reale?"; - "È possibile ipotizzare un quadro descrittivo della popolazione attuale al tempo zero?". Per fare questo, si sono utilizzati i dati reali degli animali caratterizzati nel primo contributo di questa tesi, estrapolando 394 soggetti appartenenti alle 4 razze ovine venete, con le seguenti specifiche: 110 Alpagota, 186 Brogna, 55 Foza e 43 Lamon. Oltre alla caratterizzazione molecolare a 17 marcatori microsatelliti, si sono utilizzate le informazioni derivanti dalla genotipizzazione per verifica dell’aplotipo associato al gene PrP, ritenuto associabile al grado di suscettibilità di sviluppo della malattia. Ho creato così 31 dataset puntuali differenti, in relazione alla rimozione di tutte le combinazioni di aplotipi inquadrati nella tabella di classe di rischio indicata dalla Commissione Europea. La numerosità delle popolazioni è però differente: - popolazione integra (394 soggetti); - popolazione con rimozione dei soggetti maschi e femmine iscrivibili nella classe di rischio V (332 soggetti); - popolazione con soggetti delle classi di rischio V e IV insieme (quindi con rimozione completa dell’allele VRQ dalla popolazione, per un totale di 134 soggetti). Dall’analisi statistica dei dataset ritenuti utili è emerso che il numero totale di alleli rilevato è pari a 286, con valore minimo di 11 per i loci McM527 e MAF65 e valore massimo di 23 per i loci CSRD247 e INRA063. La frequenza allelica relativa agli alleli rilevati ARR, AHQ, ARK, ARQ, ARH e VRQ è variabile tra le razze, ma in tutte l’allele maggiormente presente è ARQ. Mentre l’eterozigosità osservata, passando dall’analisi dei dati relativi alla popolazione integra a quelli delle altre due popolazioni senza classe quinta e senza classi quinta e quarta di rischio degli individui, aumenterebbe solo in tutti i casi per Brogna, per Lamon aumenta solo tra le ultime due categorie, mentre per tutte le razze il numero medio di alleli cala drasticamente. Infine, proprio solo la popolazione dei soggetti di razza Lamon presenta una riduzione della perdita in diversità genetica confrontando le tre categorie di dataset. In generale, quindi, è possibile affermare che se si considera la selezione dei soggetti nelle razze ovine venete, in relazione ai dati campionati e assumendo che questi siano rappresentativi della situazione reale delle popolazioni allevate nella loro totalità, vi sia una possibile generale perdita di biodiversità allevata. Nel quarto contributo, invece, la conservazione e valorizzazione delle risorse genetiche animali è stata investigata con un approccio indiretto, assumendo che se esistono delle differenze macroscopiche tra i soggetti delle diverse razze e tra le razze, potrebbero esistere anche delle differenze espresse a livello microscopico. Nel caso specifico, si è scelto di utilizzare un metodo di raffronto del vello, con rilievo delle caratteristiche micro-morfometriche strutturali della superficie del pelo, concentrandosi sulle forme cuticolari. Per cercare di ridurre l’errore dell’operatore che dovrebbe essere adeguatamente preparato a riconoscere e classificare le mutevoli forme cuticolari, si è messo a punto un metodo basato sulla misurazione mediante microscopia d’immagine e successiva image analysis con software ImageJ di sezioni calibrate di pelo, in aree determinate di Shield (terzo distale del pelo verso la punta) e di Shaft (terzo prossimale del pelo verso il bulbo). Dall’analisi di 90 peli appartenenti a 15 soggetti femmine (6 peli a soggetto) riconducibili in maniera univoca alle razze Alpagota (3), Brogna (3), Foza (3), Lamon (3) e Appenninica (3), abbiamo ottenuto 2 serie di 9023 dati grezzi; in ciascuna sono espressi valori di area e perimetro di tutte le forme cuticolari (parziali o totali) riconducibili a 6 aree campione contigue di 50 µm l’una. Poiché lo scopo è quello di individuare un metodo di rilevamento delle caratteristiche morfometriche e assumendo che esistano delle relazioni metriche tra l’area e il perimetro di qualsiasi forma geometrica anche se non regolare, si è provveduto a trasformare i valori di area e perimetro di ciascuna forma nel suo rapporto “Area/Perimetro”, ottenendo un valore espresso in µm. Da ciascuna serie di valori è stata quindi creata una nuova serie di valori indice pari alla media e alla mediana delle singole 6 aree campione di Shield e di Shaft, portando una contrazione delle serie campionaria della popolazione di dati a 1080. Tali popolazioni campionarie sono state considerate nella loro totalità dei dati, solo considerando i dati relativi alla zona di Shield e solo quelli relativi alla zona di Shaft, sottoponendole ad analisi parametrica della varianza con procedura “Proc GLM SAS® version 9.2” e test post-hoc di Duncan-Waller. Dall’analisi è emerso che in tutti i casi sono stati sempre rilevati delle differenze tra le aree considerate (Shield e Shaft), a riprova del fatto che il metodo è in grado di rappresentare adeguatamente le differenze microscopiche evidenti tra le due aree del pelo. Considerando poi solo le serie di dati relative a Shield e Shaft, è stato possibile rilevare delle differenze tra le razze, con raggruppamenti “Foza-Alpagota”, “Lamon” e “Brogna-Appenninica”. Riguardo questo, si può dire che le caratteristiche di diametro micrometrico del vello delle razze Brogna e Appenninica siano comparabili, mentre il vello della razza Lamon è notoriamente di dimensioni maggiori in termini di lunghezza e diametro delle fibre. Solo nel caso dell’analisi della serie relativa alle mediane in Shaft, con il test post-hoc di Duncan-Waller è stato possibile separare tutte e cinque le razze. In sintesi, tale metodo, se i risultati fossero confermati dall’applicazione delle metodiche su un set di dati di dimensioni maggiori in termini di numerosità dei soggetti campionati, potrebbe rappresentare un possibile metodo economico che integra le analisi genetiche, utile anche nella valorizzazione delle razze mediante caratterizzazione (controllo e autocontrollo) dei prodotti derivati.
Conservazione e valorizzazione delle risorse genetiche animali autoctone
TORMEN, NICOLA
2013
Abstract
La conservazione e la valorizzazione delle risorse genetiche animali autoctone è un campo di studio teorico ed applicativo che sta assumendo sempre maggior interesse ed importanza, soprattutto in questo nuovo millennio in cui i cambiamenti globali sono sempre più rapidi e l’esigenza di un’agricoltura sostenibile e spesso localizzata si fa sempre maggiormente presente (FAO, 2012, The State of Food and Agriculture, http://www.fao.org/catalog/inter-e.htm). Lo studio riportato in questa tesi di dottorato, finanziato anche dalla Regione Veneto con una borsa di studio a tema vincolato, è stato focalizzato, attraverso la presentazione di quattro contributi, sullo studio delle risorse genetiche ovine autoctone del Veneto, con particolare riferimento al centro di conservazione presso l’Azienda Sperimentale per la Montagna “Villiago” (Veneto Agricoltura - Agenzia Regionale per i settori Agricolo, Forestale e Agroalimentare) di Sedico (BL) (Allegato I). Il primo contributo riguarda la caratterizzazione delle razze ovine venete a limitata diffusione iscritte a R.A. (Alpagota, Brogna, Foza e Lamon), attraverso un’indagine genetica con l’uso di un panel a 17 marcatori microsatelliti (FASS, 1999; ISAG/FAO, 2004) e in relazione ad una razza italiana iscritta a L.G. (Appenninica) usata come outgroup. Per cercare di valutare l’influenza delle strutture di sottopopolazione (se presenti), i dati totali sono stati considerati nel piano sperimentale in due modi: - come un’unica popolazione campionaria; - come due popolazioni campionarie, suddivise in un allevamento principale istituzionale definito “main flock”(“Villiago”) e che racchiude tutte e 4 le razze venete, e in allevamenti secondari definiti “secondary flocks”(essenzialmente allevatori privati). In generale, si è rilevato che le razze venete mostrano una considerevole variabilità genetica, in termini di numero di alleli e di eterozigosità, rispetto alla razza di riferimento, che si è rivelata la meno variabile (0.663). Tuttavia, un significativo deficit di eterozigoti è stato osservato in ogni razza a causa di livelli piuttosto elevati di consanguineità o per la presenza di sottostrutture nella popolazione, probabilmente dovute a una maggiore variabilità genetica nelle popolazioni fondatori rispetto a quest’ultime. Considerando poi la popolazione campionaria suddivisa in “main flock” e “secondary flocks”, si è assistito ad una differenziazione genetica tra greggi principali e secondarie all'interno di ogni razza, in termini di numero totale di alleli, ricchezza allelica e riduzione di diversità genetica (Caballero & Toro, 2002). In generale, dai campioni totali e non considerando la suddivisione in “main flock” e “secondary flocks”, il contributo della diversità genetica è compresa tra -0,954%, rimuovendo dal set di dati la razza Appenninica, a +1,357%, rimuovendo Alpagota. Considerando la suddivisione tra “main flock” e “secondary flocks”, i risultati ottenuti dal gruppo principale sono diversi da quelli dei gruppi secondari: rimuovendo i soggetti del “secondary flocks” il valore massimo si è raggiunto togliendo le razze Alpagota (-7,415) e Brogna (-6,390), mentre non considerando le razze Foza e Lamon in entrambi i gruppi principale e secondario, il valore ottenuto risulta sempre negativo (Foza: -0,209, -6,237, Lamon: 0,949, -2,795, per “main flock” e “secondary flocks”, rispettivamente). In sintesi, i risultati di questo studio mostrano quindi l'importanza di confrontare la diversità genetica tra le greggi principali e secondari per salvaguardare le razze ovine autoctone, soprattutto nell’ambito delle linee guide che le istituzioni dovrebbero fornire nei programmi di conservazione a tutela di allevamenti istituzionali e privati, prevedendo azioni distinte e mirate. I risultati ottenuti sono serviti, inoltre, per la realizzazione di una scheda tecnica informativo-divulgativa per gli allevatori (Allegato II). Nel secondo contributo si propone di studiare delle simulazioni generazionali attraverso l’uso del software Hybridlab, al fine di valutare una prima ipotesi sui possibili effetti di una selezione di genotipi non suscettibili allo sviluppo della malattia neurodegenerativa scrapie nelle razze ovine autoctone; lo studio riguarda in particolar modo l’approccio alle simulazioni generazionali in gruppi di ovini di cui non si possiedono i dati di pedigree. In questo caso la variabilità genetica di due gruppi di soggetti appartenenti a due razze ovine autoctone del Veneto, Alpagota e Brogna (118 soggetti totali, di cui 23 ♂ e 42 ♀ per Brogna, 27 ♂ e 26 ♀ per Alpagota), è stata studiata attraverso l’analisi genetica con l’applicazione di 17 marcatori microsatelliti, come nel protocollo seguito nello studio del primo contributo di questo lavoro. I dati molecolari ottenuti sono stati utilizzati per la simulazione delle generazioni successive delle due razze, secondo uno schema di incroci all'interno della razza e sulla base della scelta dei maschi riproduttori in relazione ai dati genotipici di suscettibilità scrapie. Gli assunti alla base del lavoro, necessari per il piano di accoppiamento, sono stati: - le frequenze alleliche degli animali del campione sono rappresentativi delle popolazioni originali; - tutti i montoni e le tutte femmine hanno le stesse prestazioni riproduttive; - i maschi sono selezionati da un disegno casuale e sono utilizzati solo per un turno di monte; - il numero di animali che compone la popolazione campione è fisso. Per ogni razza quattro nuove generazioni simulate successive sono state realizzate ampliando la popolazione al tempo zero fino a 1000 individui e selezionando oltre 500 soggetti rappresentativi della popolazione reale (per frequenze alleliche e sesso). Su queste popolazioni simulate al tempo zero, ritenute rappresentative della situazione reale di partenza, si è proceduto ad applicare uno schema di selezione con rimonta interna pari a 10% della consistenza reale, sex ratio della progenie 50% circa, prolificità media 145%, utilizzo dei maschi per un solo turno di monte e mai nel turno riproduttivo (stagione) successiva alla nascita, ma in quello dopo. La selezione, su base maschile, è stata eseguita utilizzando due diversi approcci: scartando maschi con genotipo scrapie sfavorevole (Classe di rischio V, genotipi VRQ/VRQ, ARQ/VRQ e ARH/VRQ) e senza selezione del genotipo. I soggetti eliminati sono stati scelti in maniera casuale tra quelli idonei alla selezione. Si è riscontrato che il numero totale di alleli rilevati in Alpagota è stato di 158 (media 9.29 ± SD 2.95), e in Brogna è stato di 186 (media 10.94 ± SD 3.05). Le differenze nel numero medio di alleli, eterozigosità attesa e osservata, e coancestry molecolare sono stati rilevati per le popolazioni selezionate e non selezionate di entrambe le razze. I risultati hanno mostrato che, se gli assunti sono rispettati e l’analisi generazionale è corretta con l’uso del software Hybridlab, la selezione contro la sensibilità alla scrapie è possibile nelle razze locali a ridotta diffusione studiate, senza compromettere la diversità genetica. Il terzo contributo è stato realizzato consecutivamente ai primi due e come continuazione degli stessi. Si basa sui dati molecolari dei soggetti animali analizzati nel primo contributo e ha come scopo cercare di rispondere a due domande che un ricercatore si potrebbe porre a seguito dell’analisi teorica di simulazione generazionale delle popolazioni: - "Cosa succederebbe se ci fosse in realtà la rimozione diretta ed immediata di individui a seguito di un di piano selezione dei soggetti a suscettibilità elevata di sviluppare la scrapie, e quindi nella popolazione reale?"; - "È possibile ipotizzare un quadro descrittivo della popolazione attuale al tempo zero?". Per fare questo, si sono utilizzati i dati reali degli animali caratterizzati nel primo contributo di questa tesi, estrapolando 394 soggetti appartenenti alle 4 razze ovine venete, con le seguenti specifiche: 110 Alpagota, 186 Brogna, 55 Foza e 43 Lamon. Oltre alla caratterizzazione molecolare a 17 marcatori microsatelliti, si sono utilizzate le informazioni derivanti dalla genotipizzazione per verifica dell’aplotipo associato al gene PrP, ritenuto associabile al grado di suscettibilità di sviluppo della malattia. Ho creato così 31 dataset puntuali differenti, in relazione alla rimozione di tutte le combinazioni di aplotipi inquadrati nella tabella di classe di rischio indicata dalla Commissione Europea. La numerosità delle popolazioni è però differente: - popolazione integra (394 soggetti); - popolazione con rimozione dei soggetti maschi e femmine iscrivibili nella classe di rischio V (332 soggetti); - popolazione con soggetti delle classi di rischio V e IV insieme (quindi con rimozione completa dell’allele VRQ dalla popolazione, per un totale di 134 soggetti). Dall’analisi statistica dei dataset ritenuti utili è emerso che il numero totale di alleli rilevato è pari a 286, con valore minimo di 11 per i loci McM527 e MAF65 e valore massimo di 23 per i loci CSRD247 e INRA063. La frequenza allelica relativa agli alleli rilevati ARR, AHQ, ARK, ARQ, ARH e VRQ è variabile tra le razze, ma in tutte l’allele maggiormente presente è ARQ. Mentre l’eterozigosità osservata, passando dall’analisi dei dati relativi alla popolazione integra a quelli delle altre due popolazioni senza classe quinta e senza classi quinta e quarta di rischio degli individui, aumenterebbe solo in tutti i casi per Brogna, per Lamon aumenta solo tra le ultime due categorie, mentre per tutte le razze il numero medio di alleli cala drasticamente. Infine, proprio solo la popolazione dei soggetti di razza Lamon presenta una riduzione della perdita in diversità genetica confrontando le tre categorie di dataset. In generale, quindi, è possibile affermare che se si considera la selezione dei soggetti nelle razze ovine venete, in relazione ai dati campionati e assumendo che questi siano rappresentativi della situazione reale delle popolazioni allevate nella loro totalità, vi sia una possibile generale perdita di biodiversità allevata. Nel quarto contributo, invece, la conservazione e valorizzazione delle risorse genetiche animali è stata investigata con un approccio indiretto, assumendo che se esistono delle differenze macroscopiche tra i soggetti delle diverse razze e tra le razze, potrebbero esistere anche delle differenze espresse a livello microscopico. Nel caso specifico, si è scelto di utilizzare un metodo di raffronto del vello, con rilievo delle caratteristiche micro-morfometriche strutturali della superficie del pelo, concentrandosi sulle forme cuticolari. Per cercare di ridurre l’errore dell’operatore che dovrebbe essere adeguatamente preparato a riconoscere e classificare le mutevoli forme cuticolari, si è messo a punto un metodo basato sulla misurazione mediante microscopia d’immagine e successiva image analysis con software ImageJ di sezioni calibrate di pelo, in aree determinate di Shield (terzo distale del pelo verso la punta) e di Shaft (terzo prossimale del pelo verso il bulbo). Dall’analisi di 90 peli appartenenti a 15 soggetti femmine (6 peli a soggetto) riconducibili in maniera univoca alle razze Alpagota (3), Brogna (3), Foza (3), Lamon (3) e Appenninica (3), abbiamo ottenuto 2 serie di 9023 dati grezzi; in ciascuna sono espressi valori di area e perimetro di tutte le forme cuticolari (parziali o totali) riconducibili a 6 aree campione contigue di 50 µm l’una. Poiché lo scopo è quello di individuare un metodo di rilevamento delle caratteristiche morfometriche e assumendo che esistano delle relazioni metriche tra l’area e il perimetro di qualsiasi forma geometrica anche se non regolare, si è provveduto a trasformare i valori di area e perimetro di ciascuna forma nel suo rapporto “Area/Perimetro”, ottenendo un valore espresso in µm. Da ciascuna serie di valori è stata quindi creata una nuova serie di valori indice pari alla media e alla mediana delle singole 6 aree campione di Shield e di Shaft, portando una contrazione delle serie campionaria della popolazione di dati a 1080. Tali popolazioni campionarie sono state considerate nella loro totalità dei dati, solo considerando i dati relativi alla zona di Shield e solo quelli relativi alla zona di Shaft, sottoponendole ad analisi parametrica della varianza con procedura “Proc GLM SAS® version 9.2” e test post-hoc di Duncan-Waller. Dall’analisi è emerso che in tutti i casi sono stati sempre rilevati delle differenze tra le aree considerate (Shield e Shaft), a riprova del fatto che il metodo è in grado di rappresentare adeguatamente le differenze microscopiche evidenti tra le due aree del pelo. Considerando poi solo le serie di dati relative a Shield e Shaft, è stato possibile rilevare delle differenze tra le razze, con raggruppamenti “Foza-Alpagota”, “Lamon” e “Brogna-Appenninica”. Riguardo questo, si può dire che le caratteristiche di diametro micrometrico del vello delle razze Brogna e Appenninica siano comparabili, mentre il vello della razza Lamon è notoriamente di dimensioni maggiori in termini di lunghezza e diametro delle fibre. Solo nel caso dell’analisi della serie relativa alle mediane in Shaft, con il test post-hoc di Duncan-Waller è stato possibile separare tutte e cinque le razze. In sintesi, tale metodo, se i risultati fossero confermati dall’applicazione delle metodiche su un set di dati di dimensioni maggiori in termini di numerosità dei soggetti campionati, potrebbe rappresentare un possibile metodo economico che integra le analisi genetiche, utile anche nella valorizzazione delle razze mediante caratterizzazione (controllo e autocontrollo) dei prodotti derivati.File | Dimensione | Formato | |
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