Le funzioni metacognitive svolgono un ruolo chiave nella comprensione di quali elementi potrebbero indurre una persona con gravi disturbi mentali a commettere atti violenti contro altre persone. Risulta, infatti, essenziale comprendere gli stati interni quali pensieri, emozioni, desideri, paure e obiettivi, sia propri che altrui, ed essere capaci di differenziarli tra loro, per poter guidare il proprio comportamento verso la risoluzione dei conflitti interpersonali. Per tale ragione, questo aspetto diviene fondamentale nell'affrontare il tema del rischio di violenza, cercando di comprendere ciò che discrimina persone con disturbi mentali che commettono agiti aggressivi e pazienti con gli stessi disturbi che non commettono tali atti. Gli obiettivi dello studio erano i seguenti: (a) indagare le differenze tra pazienti con uno scarso funzionamento metacognitivo e pazienti con un buon funzionamento metacognitivo in relazione alla storia di violenza; (b) esplorare le differenze tra pazienti con uno scarso funzionamento metacognitivo e pazienti con un buon funzionamento metacognitivo in relazione ad altri importanti aspetti potenzialmente coinvolti in comportamenti aggressivi come i tratti della personalità, la rabbia, l'impulsività, l'ostilità e il riconoscimento delle emozioni; (c) investigare le differenze tra pazienti con uno scarso funzionamento metacognitivo e pazienti con un buon funzionamento metacognitivo in relazione al comportamento aggressivo manifestato durante l’anno di follow-up; (d) analizzare i fattori predittivi del comportamento aggressivo e valutare se le funzioni metacognitive associate ad altri aspetti indagati sono correlate al comportamento aggressivo agito durante il follow-up. Il campione è costituito da 180 pazienti: 56% ambulatoriali e 44% residenziali, la maggior parte erano maschi (75%) con un'età media di 44 anni (+9,8) e metà di essi aveva una storia di violenza. Il campione è stato diviso in due gruppi: il gruppo Scarsa Metacognizione (PM) e il gruppo Buona Metacognizione (GM), in base ai punteggi ottenuti nella valutazione dell’intervista metacognitiva (MAI). I pazienti con scarsa metacognizione hanno riportato più frequentemente una storia di violenza rispetto ai pazienti con buona metacognizione (considerando il punteggio totale MAI), e in particolare i pazienti con scarsa metacognizione nelle specifiche funzioni di monitoraggio, differenziazione e decentramento. Inoltre, i pazienti con scarsa metacognizione presentavano meno abilità nel riconoscimento delle emozioni e più frequentemente tratti di personalità paranoidi e narcisistici rispetto ai pazienti con buona metacognizione. Per quanto concerne l'ostilità, l'impulsività e la rabbia, non sono state riscontrate differenze significative tra i due gruppi, ad eccezione del "Negativismo" (sottoscala del BDHI), che era più alto nei pazienti con scarsa metacognizione. Anche nel caso dei comportamenti aggressivi (verbali, contro oggetti, auto-aggressivi, contro le persone) manifestati durante l’anno di follow-up, non sono emerse differenze significative tra i due gruppi. I dati rivelano che i predittori del comportamento aggressivo sono i seguenti: tratti di personalità borderline e passivo-aggressivi, storia di violenza, rabbia e ostilità. Le funzioni metacognitive da sole non predivano il comportamento aggressivo, ma esse interagivano con le seguenti dimensioni in tale predizione: l'ostilità manifestata attraverso aggressioni dirette e indirette (due sottoscale del BDHI) e le reazioni rabbiose agite tramite il comportamento aggressivo (una sottoscala della STAXI-2). Infatti, questi aspetti emergevano come predittori dei comportamenti aggressivi solo nei pazienti con scarsa metacognizione e al contrario, non risultavano più predittori nei pazienti con buona metacognizione. Questo studio porta a importanti riflessioni: (a) alcuni aspetti strettamente correlati alla violenza (ad esempio, ostilità, rabbia) sono predittivi di comportamenti aggressivi solo in pazienti con scarsa metacognizione, facendo risutare la buona metacognizione come fattore protettivo; (b) la scarsa metacognizione è associata alla storia di violenza, la quale a sua volta aumenta il rischio di commettere comportamenti aggressivi. Per tale ragione e considerando che la ricerca in questo campo è ancora molto limitata, sono necessari ulteriori studi al fine di approfondire il ruolo delle funzioni metacognitive in relazione al comportamento aggressivo, e per indagare se la psicoterapia orientata al miglioramento delle funzioni metacognitive può rivelarsi efficace nel prevenire e/o ridurre la violenza interpersonale .
Metacognition, mental disorders and aggressive behaviour: a longitudinal study
CANDINI, VALENTINA
2018
Abstract
Le funzioni metacognitive svolgono un ruolo chiave nella comprensione di quali elementi potrebbero indurre una persona con gravi disturbi mentali a commettere atti violenti contro altre persone. Risulta, infatti, essenziale comprendere gli stati interni quali pensieri, emozioni, desideri, paure e obiettivi, sia propri che altrui, ed essere capaci di differenziarli tra loro, per poter guidare il proprio comportamento verso la risoluzione dei conflitti interpersonali. Per tale ragione, questo aspetto diviene fondamentale nell'affrontare il tema del rischio di violenza, cercando di comprendere ciò che discrimina persone con disturbi mentali che commettono agiti aggressivi e pazienti con gli stessi disturbi che non commettono tali atti. Gli obiettivi dello studio erano i seguenti: (a) indagare le differenze tra pazienti con uno scarso funzionamento metacognitivo e pazienti con un buon funzionamento metacognitivo in relazione alla storia di violenza; (b) esplorare le differenze tra pazienti con uno scarso funzionamento metacognitivo e pazienti con un buon funzionamento metacognitivo in relazione ad altri importanti aspetti potenzialmente coinvolti in comportamenti aggressivi come i tratti della personalità, la rabbia, l'impulsività, l'ostilità e il riconoscimento delle emozioni; (c) investigare le differenze tra pazienti con uno scarso funzionamento metacognitivo e pazienti con un buon funzionamento metacognitivo in relazione al comportamento aggressivo manifestato durante l’anno di follow-up; (d) analizzare i fattori predittivi del comportamento aggressivo e valutare se le funzioni metacognitive associate ad altri aspetti indagati sono correlate al comportamento aggressivo agito durante il follow-up. Il campione è costituito da 180 pazienti: 56% ambulatoriali e 44% residenziali, la maggior parte erano maschi (75%) con un'età media di 44 anni (+9,8) e metà di essi aveva una storia di violenza. Il campione è stato diviso in due gruppi: il gruppo Scarsa Metacognizione (PM) e il gruppo Buona Metacognizione (GM), in base ai punteggi ottenuti nella valutazione dell’intervista metacognitiva (MAI). I pazienti con scarsa metacognizione hanno riportato più frequentemente una storia di violenza rispetto ai pazienti con buona metacognizione (considerando il punteggio totale MAI), e in particolare i pazienti con scarsa metacognizione nelle specifiche funzioni di monitoraggio, differenziazione e decentramento. Inoltre, i pazienti con scarsa metacognizione presentavano meno abilità nel riconoscimento delle emozioni e più frequentemente tratti di personalità paranoidi e narcisistici rispetto ai pazienti con buona metacognizione. Per quanto concerne l'ostilità, l'impulsività e la rabbia, non sono state riscontrate differenze significative tra i due gruppi, ad eccezione del "Negativismo" (sottoscala del BDHI), che era più alto nei pazienti con scarsa metacognizione. Anche nel caso dei comportamenti aggressivi (verbali, contro oggetti, auto-aggressivi, contro le persone) manifestati durante l’anno di follow-up, non sono emerse differenze significative tra i due gruppi. I dati rivelano che i predittori del comportamento aggressivo sono i seguenti: tratti di personalità borderline e passivo-aggressivi, storia di violenza, rabbia e ostilità. Le funzioni metacognitive da sole non predivano il comportamento aggressivo, ma esse interagivano con le seguenti dimensioni in tale predizione: l'ostilità manifestata attraverso aggressioni dirette e indirette (due sottoscale del BDHI) e le reazioni rabbiose agite tramite il comportamento aggressivo (una sottoscala della STAXI-2). Infatti, questi aspetti emergevano come predittori dei comportamenti aggressivi solo nei pazienti con scarsa metacognizione e al contrario, non risultavano più predittori nei pazienti con buona metacognizione. Questo studio porta a importanti riflessioni: (a) alcuni aspetti strettamente correlati alla violenza (ad esempio, ostilità, rabbia) sono predittivi di comportamenti aggressivi solo in pazienti con scarsa metacognizione, facendo risutare la buona metacognizione come fattore protettivo; (b) la scarsa metacognizione è associata alla storia di violenza, la quale a sua volta aumenta il rischio di commettere comportamenti aggressivi. Per tale ragione e considerando che la ricerca in questo campo è ancora molto limitata, sono necessari ulteriori studi al fine di approfondire il ruolo delle funzioni metacognitive in relazione al comportamento aggressivo, e per indagare se la psicoterapia orientata al miglioramento delle funzioni metacognitive può rivelarsi efficace nel prevenire e/o ridurre la violenza interpersonale .File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/88889
URN:NBN:IT:UNIPD-88889