Questa ricerca nasce dall’esigenza di colmare le lacune storiografiche riguardo il fenomeno monastico verginiano e la sua produzione artistica in Campania e Basilicata, la cui conoscenza è ancora frammentaria e caratterizzata da scarsa organicità, prendendo in esame globalmente testimonianze monumentali spesso non sufficientemente frequentate dagli studi scientifici, accanto ad altre già sondate, ma quasi sempre per alcuni aspetti di particolare rilevanza, quali gli arredi liturgici o le sculture architettoniche. L’obiettivo è stato quello di una rilettura complessiva, sia storica che artistica, volta a una migliore comprensione delle ragioni che hanno determinato la nascita e lo sviluppo di questo patrimonio di architettura e arte monastica. L’indagine è proceduta per nuclei territoriali, prediligendo un criterio prima topografico e poi cronologico, così da poter evidenziare sito per sito la continuità di un fenomeno caratterizzato sul piano materiale dall’evoluzione delle forme insediative col passaggio dall’eremitismo al cenobitismo, e da una storia monumentale che contempla, per gli insediamenti di rientrati nell’orbita della congregazione sullo scorcio del XII secolo, restauri e ampliamenti nel costante mantenimento dei luoghi delle origini. La scelta dell’area territoriale è stata dettata dalla particolare concentrazione di esperienze monastiche in una regione che in età antica era attraversata dal tracciato della Via Appia, nella quale, in epoca medievale, rientreranno le diocesi di Avellino, Nusco, Conza della Campania e Rapolla, importanti avamposti della nobiltà normanna, che sempre vi eserciterà il suo controllo politico tramite una salda organizzazione vescovile, l’affidamento di alte cariche a uomini di fiducia, la gestione strutturata delle attività agricole ed economiche in genere, e, infine, attraverso gli enti monastici, spesso strettamente connessi al potere signorile. La ricerca ha affrontato, concentrandosi sulle fondazioni abbaziali, i secoli che vanno dalla seconda metà del XII alla seconda metà del XIV, evidenziando i cambiamenti che gli eventi storici, politici e religiosi determinarono nel rapporto tra monasteri e territorio e nelle strutture architettoniche. Il termine cronologico ultimo della trattazione coincide, per l’abbazia di Montevergine, con la fine del dominio angioino, che rappresenta l’avvio di una stasi nella produzione artistica, che riprenderà vigore solo in epoca rinascimentale. Per le fondazioni di Santa Maria di Fontigliano, San Salvatore al Goleto, Sant’Ippolito a Monticchio e Santa Maria di Pierno, monasteri fortemente condizionati dalle vicende della nobiltà normanno-sveva, la ricerca si ferma di fatto alla metà del XIII secolo, dal momento che nessun indizio, né documentario né architettonico- artistico, permette di ipotizzare una rinnovata vitalità dopo l’avvento degli Angiò, quando le loro sorti cominceranno inevitabilmente a decadere. Tuttavia, l’innesto dell’esperienza monastica francescana in Basilicata nel primo XIV secolo rappresenterà, con l’esempio del superstite chiostro del monastero di Sant’Antonio a Muro Lucano, un’ultima traccia di continuità col linguaggio espressivo maturato nell’orbita dell’esperienza verginiana. Le componenti culturali che caratterizzano i monasteri della valle dell’Ofanto e del Partenio danno vita, dalla metà del XII secolo all’età angioina, a un originale percorso creativo in cui a un latente substrato autoctono si sommano progressivamente elementi allogeni, spesso incoraggiati da scelte collegabili a peculiari situazioni politico- istituzionali o agli orientamenti della committenza. La rete di monasteri e dipendenze gravitanti attorno alle fondazioni di Santa Maria di Montevergine e San Salvatore al Goleto, in sinergia con i vicini insediamenti benedettini, si era fatta più o meno consapevolmente centro catalizzatore di maestranze di provenienza eterogenea, sparse su tutto il territorio lucano e campano, con propaggini nella Puglia garganica, oltre che vivace recettore del gusto più in voga in determinati contesti storico-geografici.
Arte e monachesimo verginiano tra Campania e Basilicata dalle origini al XIV secolo. Forme insediative e testimonianze artistiche nelle diocesi di Avellino, Conza, Nusco e Rapolla
MANCHIA, MARIA FEDERICA
2018
Abstract
Questa ricerca nasce dall’esigenza di colmare le lacune storiografiche riguardo il fenomeno monastico verginiano e la sua produzione artistica in Campania e Basilicata, la cui conoscenza è ancora frammentaria e caratterizzata da scarsa organicità, prendendo in esame globalmente testimonianze monumentali spesso non sufficientemente frequentate dagli studi scientifici, accanto ad altre già sondate, ma quasi sempre per alcuni aspetti di particolare rilevanza, quali gli arredi liturgici o le sculture architettoniche. L’obiettivo è stato quello di una rilettura complessiva, sia storica che artistica, volta a una migliore comprensione delle ragioni che hanno determinato la nascita e lo sviluppo di questo patrimonio di architettura e arte monastica. L’indagine è proceduta per nuclei territoriali, prediligendo un criterio prima topografico e poi cronologico, così da poter evidenziare sito per sito la continuità di un fenomeno caratterizzato sul piano materiale dall’evoluzione delle forme insediative col passaggio dall’eremitismo al cenobitismo, e da una storia monumentale che contempla, per gli insediamenti di rientrati nell’orbita della congregazione sullo scorcio del XII secolo, restauri e ampliamenti nel costante mantenimento dei luoghi delle origini. La scelta dell’area territoriale è stata dettata dalla particolare concentrazione di esperienze monastiche in una regione che in età antica era attraversata dal tracciato della Via Appia, nella quale, in epoca medievale, rientreranno le diocesi di Avellino, Nusco, Conza della Campania e Rapolla, importanti avamposti della nobiltà normanna, che sempre vi eserciterà il suo controllo politico tramite una salda organizzazione vescovile, l’affidamento di alte cariche a uomini di fiducia, la gestione strutturata delle attività agricole ed economiche in genere, e, infine, attraverso gli enti monastici, spesso strettamente connessi al potere signorile. La ricerca ha affrontato, concentrandosi sulle fondazioni abbaziali, i secoli che vanno dalla seconda metà del XII alla seconda metà del XIV, evidenziando i cambiamenti che gli eventi storici, politici e religiosi determinarono nel rapporto tra monasteri e territorio e nelle strutture architettoniche. Il termine cronologico ultimo della trattazione coincide, per l’abbazia di Montevergine, con la fine del dominio angioino, che rappresenta l’avvio di una stasi nella produzione artistica, che riprenderà vigore solo in epoca rinascimentale. Per le fondazioni di Santa Maria di Fontigliano, San Salvatore al Goleto, Sant’Ippolito a Monticchio e Santa Maria di Pierno, monasteri fortemente condizionati dalle vicende della nobiltà normanno-sveva, la ricerca si ferma di fatto alla metà del XIII secolo, dal momento che nessun indizio, né documentario né architettonico- artistico, permette di ipotizzare una rinnovata vitalità dopo l’avvento degli Angiò, quando le loro sorti cominceranno inevitabilmente a decadere. Tuttavia, l’innesto dell’esperienza monastica francescana in Basilicata nel primo XIV secolo rappresenterà, con l’esempio del superstite chiostro del monastero di Sant’Antonio a Muro Lucano, un’ultima traccia di continuità col linguaggio espressivo maturato nell’orbita dell’esperienza verginiana. Le componenti culturali che caratterizzano i monasteri della valle dell’Ofanto e del Partenio danno vita, dalla metà del XII secolo all’età angioina, a un originale percorso creativo in cui a un latente substrato autoctono si sommano progressivamente elementi allogeni, spesso incoraggiati da scelte collegabili a peculiari situazioni politico- istituzionali o agli orientamenti della committenza. La rete di monasteri e dipendenze gravitanti attorno alle fondazioni di Santa Maria di Montevergine e San Salvatore al Goleto, in sinergia con i vicini insediamenti benedettini, si era fatta più o meno consapevolmente centro catalizzatore di maestranze di provenienza eterogenea, sparse su tutto il territorio lucano e campano, con propaggini nella Puglia garganica, oltre che vivace recettore del gusto più in voga in determinati contesti storico-geografici.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/89627
URN:NBN:IT:UNIROMA1-89627