La tesi, frutto del mio percorso dottorale triennale, è di ispirazione comparativa ed è stata condotta sia in Italia che su un campo extraeuropeo, in Etiopia. Il lavoro è strutturato in tre vaste sezioni. La prima è dedicata alla storia degli studi sulle tematiche della marginalità, alla decostruzione dei concetti di banda giovanile e di devianza, alla deriva securitaria in contesti mondiali di ispirazione neoliberista, alla dialettica centro-periferia; in questa prima parte vengono anche discusse le categorie di governamentalità, soggettivazione e resistenza, partendo da prospettive foucaultiane e alla luce di importanti studi antropologici (Bourdieu, Wacquant), ma tendendo conto anche della multidimensionalità del concetto di violenza nelle sue connessioni con lo Stato, inteso come un campo complesso, attraversato da forze e da pratiche discorsive. La seconda parte della tesi è dedicata al terreno di ricerca nella periferia romana: un quartiere ‘occupato’ (o di emergenza abitativa), restituito al lettore con il nome fittizio (per tutelare la riservatezza degli informatori) di Marozia, nome preso in prestito dalla penna di Italo Calvino. Attraverso una scrittura autoriflessiva, in questa sezione di etnografia ‘domestica’, emerge la creazione di una rete di informatori quale processo estremamente delicato e complesso, specialmente considerando la peculiarità del campo di indagine: un’area in cui l’assenza di servizi e di luoghi della socializzazione ha prodotto una totale diffidenza nei confronti di chi – dall’esterno – si avvicina per cercare di penetrare storie o realtà vissute. La ricerca sul campo nella periferia romana è orientata all’individuazione di zone ‘critiche’, in termini di disagio giovanile e sociale, concentrandosi su un gruppo di ragazzi e giovani adulti, balzati agli onori delle cronache cittadine (e nazionali) come gang. In questa sezione viene mostrato in che modo il settore dell’economia dell’illecito sia un microcosmo variegato nel quartiere oggetto delle mie indagini, laddove la piccola banda giovanile, da me frequentata, ne occupa solo una limitata porzione: il rifornimento e lo spaccio di sostanze stupefacenti ‘leggere’. Risulta, dunque, fondamentale il racconto e la ricostruzione delle trasformazioni che negli anni hanno investito Marozia, dovute al susseguirsi di occupazioni a scopo abitativo, spontanee o più meno guidate, ma anche a operazioni di riallocazione e fusioni degli spazi, concesse dalle autorità comunali, ma non controllate dalle stesse. Attraverso un’etnografia delle zone grigie, cerco qui di far emergere come nel contesto di indagine la distinzione tra giusto e sbagliato, tra legale e illegale, tra inclusione ed esclusione, sia una costruzione sociale protratta nel tempo, che si fa discorso comunitario in una specifica economia morale. L’epilogo di questa etnografia “a casa” è l’analisi della pratica della “retta”, cioè del ‘basismo’ nel locale mercato degli stupefacenti: emerge come l’uso sociale di questa pratica metta in condizione i giovani del gruppo di valicare differenze generazionali e stabilire rapporti di forza inediti con adulti o abitanti ‘altri’ di Marozia, ma anche di resistere a processi di invecchiamento sociale o di ‘adultizzazione forzata’. La terza sezione della tesi parte dall’analisi del contesto urbano di Mekelle, seguita ad anni di ricerca sul terreno extraeuropeo (sin dal 2014), quale membro della Missione Etnologica Italiana in Tigray - Etiopia (MEITE). Partendo da specifiche e locali descrizioni di marginalità giovanile («gangsters»; «vagabondi pericolosi», «giovani disoccupati»), cerco di mostrare come esse siano divenute nelle retoriche dell’EPRDF – coalizione di governo dominante in Etiopia dal 1991 – categorie “utili” a negare qualunque genesi di dissenso ad una “democrazia difettosa”, o meglio ad un “regime ibrido”. Seguendo una banda di giovani ladri di strada, provenienti da un’area storicamente marginalizzata ed ora periferia schiacciata da un violento processo di urbanizzazione ed inurbamento, in questa sezione ho scelto di indagare le strategie alternative di sussistenza dei miei giovani interlocutori. Una retorica emica, che si concentra (generazionalmente) sulla profonda sofferenza nell’ottenimento di un lavoro stabile, si intreccia con il sentimento di sikfta – incorporazione del giudizio negativo altrui – ma anche con declinazioni maschili e ‘tradizionali’ dei concetti di prestigio, onore e forza virili, riassunti nel locale neologismo hayalnet. Dinanzi alla condizione di eterna attesa sociale, a cui sembrano essere condannati i giovani attori sociali mekellesi, le pratiche dell’illecito, operate dai membri della gang del quartiere di Da Gabriel, si configurano come resilienza ad una condizione limbica che l’antropologa Alcinda Honwana definisce waithood: una sospensione tra l’infanzia e l’età adulta che può produrre nuove inedite forme di agentività. Investigando il dialogo tra generazioni, nella tesi documento e ricostruisco un processo di riconciliazione (erqi) tradizionale tra la società tutta e due bande giovanili, rivali sul territorio urbano; ciò è stato possibile grazie all’accesso agli audiovisivi della Tigray Television e alla frequentazione (negli anni) sia dei giovani gangster che delle istituzioni coinvolte. Il problema degli scontri tra bande giovanili a Mekelle si coniuga con l’analisi centro- periferia e si intreccia alla questione degli immaginari globali di benessere e delle aspirazioni bloccate di intere generazione di giovani nelle città africane; attraverso le esperienze di alcuni informatori, il “gangsterismo” (categoria ‘governativa’) ed anche la migrazione emergono come modi limite di negoziare il supporto degli anziani, altrimenti impassibili dinanzi alle richieste di mobilità sociale, ma anche come resistenza a strutturali forme di marginalità post-coloniale. Nel lavoro trovano spazio le etnografie carcerarie: il carcere, nel contesto tigrino, è specchio delle politiche di sviluppo che si svolgono al suo esterno, laddove esse – anche quando vedono coinvolti cooperanti e ONG – sono metodicamente cooptate nelle locali strategie di governo e controllo capillare della società. Oltre a contribuire alla riconfigurazione di una società punitiva (Foucault), tali politiche – una delle quali vede il tentativo di riconversione delle gang urbane in cooperative paragovernative di ‘docili’ lavoratori dequalificati – portano a compimento l’ideologia della ‘mercatizzazione’ della povertà, “estraendo valore dagli ultimi” (Sassen) e contribuendo all’“accumulazione per spossessamento” (Harvey) da parte dello Stato, incarnato in una precisa élite di governo e dal suo “sogno politico” di controllo, per mezzo di una ambigua inserzione nell’economia mondo (Fantini), sostenuta dalle retoriche della “democrazia rivoluzionaria” (Bach e Lefort) e del “capitalismo sviluppista” (Vaughan).
Periferie gangsterismo e bande giovanili. Marginalità e forme di resistenza urbane in uno studio comparativo (Italia-Etiopia)
MARASCO, MARIO
2020
Abstract
La tesi, frutto del mio percorso dottorale triennale, è di ispirazione comparativa ed è stata condotta sia in Italia che su un campo extraeuropeo, in Etiopia. Il lavoro è strutturato in tre vaste sezioni. La prima è dedicata alla storia degli studi sulle tematiche della marginalità, alla decostruzione dei concetti di banda giovanile e di devianza, alla deriva securitaria in contesti mondiali di ispirazione neoliberista, alla dialettica centro-periferia; in questa prima parte vengono anche discusse le categorie di governamentalità, soggettivazione e resistenza, partendo da prospettive foucaultiane e alla luce di importanti studi antropologici (Bourdieu, Wacquant), ma tendendo conto anche della multidimensionalità del concetto di violenza nelle sue connessioni con lo Stato, inteso come un campo complesso, attraversato da forze e da pratiche discorsive. La seconda parte della tesi è dedicata al terreno di ricerca nella periferia romana: un quartiere ‘occupato’ (o di emergenza abitativa), restituito al lettore con il nome fittizio (per tutelare la riservatezza degli informatori) di Marozia, nome preso in prestito dalla penna di Italo Calvino. Attraverso una scrittura autoriflessiva, in questa sezione di etnografia ‘domestica’, emerge la creazione di una rete di informatori quale processo estremamente delicato e complesso, specialmente considerando la peculiarità del campo di indagine: un’area in cui l’assenza di servizi e di luoghi della socializzazione ha prodotto una totale diffidenza nei confronti di chi – dall’esterno – si avvicina per cercare di penetrare storie o realtà vissute. La ricerca sul campo nella periferia romana è orientata all’individuazione di zone ‘critiche’, in termini di disagio giovanile e sociale, concentrandosi su un gruppo di ragazzi e giovani adulti, balzati agli onori delle cronache cittadine (e nazionali) come gang. In questa sezione viene mostrato in che modo il settore dell’economia dell’illecito sia un microcosmo variegato nel quartiere oggetto delle mie indagini, laddove la piccola banda giovanile, da me frequentata, ne occupa solo una limitata porzione: il rifornimento e lo spaccio di sostanze stupefacenti ‘leggere’. Risulta, dunque, fondamentale il racconto e la ricostruzione delle trasformazioni che negli anni hanno investito Marozia, dovute al susseguirsi di occupazioni a scopo abitativo, spontanee o più meno guidate, ma anche a operazioni di riallocazione e fusioni degli spazi, concesse dalle autorità comunali, ma non controllate dalle stesse. Attraverso un’etnografia delle zone grigie, cerco qui di far emergere come nel contesto di indagine la distinzione tra giusto e sbagliato, tra legale e illegale, tra inclusione ed esclusione, sia una costruzione sociale protratta nel tempo, che si fa discorso comunitario in una specifica economia morale. L’epilogo di questa etnografia “a casa” è l’analisi della pratica della “retta”, cioè del ‘basismo’ nel locale mercato degli stupefacenti: emerge come l’uso sociale di questa pratica metta in condizione i giovani del gruppo di valicare differenze generazionali e stabilire rapporti di forza inediti con adulti o abitanti ‘altri’ di Marozia, ma anche di resistere a processi di invecchiamento sociale o di ‘adultizzazione forzata’. La terza sezione della tesi parte dall’analisi del contesto urbano di Mekelle, seguita ad anni di ricerca sul terreno extraeuropeo (sin dal 2014), quale membro della Missione Etnologica Italiana in Tigray - Etiopia (MEITE). Partendo da specifiche e locali descrizioni di marginalità giovanile («gangsters»; «vagabondi pericolosi», «giovani disoccupati»), cerco di mostrare come esse siano divenute nelle retoriche dell’EPRDF – coalizione di governo dominante in Etiopia dal 1991 – categorie “utili” a negare qualunque genesi di dissenso ad una “democrazia difettosa”, o meglio ad un “regime ibrido”. Seguendo una banda di giovani ladri di strada, provenienti da un’area storicamente marginalizzata ed ora periferia schiacciata da un violento processo di urbanizzazione ed inurbamento, in questa sezione ho scelto di indagare le strategie alternative di sussistenza dei miei giovani interlocutori. Una retorica emica, che si concentra (generazionalmente) sulla profonda sofferenza nell’ottenimento di un lavoro stabile, si intreccia con il sentimento di sikfta – incorporazione del giudizio negativo altrui – ma anche con declinazioni maschili e ‘tradizionali’ dei concetti di prestigio, onore e forza virili, riassunti nel locale neologismo hayalnet. Dinanzi alla condizione di eterna attesa sociale, a cui sembrano essere condannati i giovani attori sociali mekellesi, le pratiche dell’illecito, operate dai membri della gang del quartiere di Da Gabriel, si configurano come resilienza ad una condizione limbica che l’antropologa Alcinda Honwana definisce waithood: una sospensione tra l’infanzia e l’età adulta che può produrre nuove inedite forme di agentività. Investigando il dialogo tra generazioni, nella tesi documento e ricostruisco un processo di riconciliazione (erqi) tradizionale tra la società tutta e due bande giovanili, rivali sul territorio urbano; ciò è stato possibile grazie all’accesso agli audiovisivi della Tigray Television e alla frequentazione (negli anni) sia dei giovani gangster che delle istituzioni coinvolte. Il problema degli scontri tra bande giovanili a Mekelle si coniuga con l’analisi centro- periferia e si intreccia alla questione degli immaginari globali di benessere e delle aspirazioni bloccate di intere generazione di giovani nelle città africane; attraverso le esperienze di alcuni informatori, il “gangsterismo” (categoria ‘governativa’) ed anche la migrazione emergono come modi limite di negoziare il supporto degli anziani, altrimenti impassibili dinanzi alle richieste di mobilità sociale, ma anche come resistenza a strutturali forme di marginalità post-coloniale. Nel lavoro trovano spazio le etnografie carcerarie: il carcere, nel contesto tigrino, è specchio delle politiche di sviluppo che si svolgono al suo esterno, laddove esse – anche quando vedono coinvolti cooperanti e ONG – sono metodicamente cooptate nelle locali strategie di governo e controllo capillare della società. Oltre a contribuire alla riconfigurazione di una società punitiva (Foucault), tali politiche – una delle quali vede il tentativo di riconversione delle gang urbane in cooperative paragovernative di ‘docili’ lavoratori dequalificati – portano a compimento l’ideologia della ‘mercatizzazione’ della povertà, “estraendo valore dagli ultimi” (Sassen) e contribuendo all’“accumulazione per spossessamento” (Harvey) da parte dello Stato, incarnato in una precisa élite di governo e dal suo “sogno politico” di controllo, per mezzo di una ambigua inserzione nell’economia mondo (Fantini), sostenuta dalle retoriche della “democrazia rivoluzionaria” (Bach e Lefort) e del “capitalismo sviluppista” (Vaughan).File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/90040
URN:NBN:IT:UNIROMA1-90040