Scopo del lavoro è quello di effettuare un’analisi critica della complessa interazione tra principi costituzionali e norme positive, nazionali e comunitarie, che disciplinano la materia della finanza pubblica, con una particolare attenzione all’inveramento delle regole nella prassi applicativa sottostante la determinazione della decisione di bilancio e della politica economica nazionale. La ricerca fornisce inoltre una ricostruzione delle influenze che le dinamiche esogene, andamento macroeconomico e orientamenti comunitari, ed endogene, forma di governo e sensibilità di natura prettamente politica, esercitano sulla architettura normativa, modificando la qualità e la natura dei documenti di bilancio, il senso e la funzione della decisione di finanza pubblica e, in ultimo, il rapporto fra gli organi istituzionali preposti alla loro definizione, Governo e Parlamento in primis, ma anche enti locali e, indirettamente, istituzioni comunitarie. Il metodo scelto è quello di esaminare preliminarmente i concetti essenziali riguardanti la disciplina della finanza pubblica, individuandone, a livello normativo e con una attenzione all’evoluzione storica, le fonti, i soggetti e le procedure, e successivamente di approfondirne i nodi problematici. A tale fine, volendo tracciare un prospetto che dia conto della democraticità, legalità e trasparenza del processo di bilancio in Italia, cogliendone le innovazioni intercorse dai primi anni della Repubblica sino ai nostri giorni (con le recenti revisioni della disciplina sulla contabilità pubblica operate dalla legge 196/2009 e dalla legge 39/2011) e le prospettive future di riordino della materia, le procedure di finanza pubblica sono analizzate non in base a canoni classici, quali il livello di debito e di deficit, la capacità di adempimento delle obbligazioni comunitarie o gli indicatori di risultato nell’attività amministrativa, ma alla luce di due direttrici originali quali il principio di rappresentanza, garante del “diritto al bilancio” proprio di ogni cittadino, e il rapporto di fiducia, istituto basilare sul quale si dispiega la dinamica interistituzionale. Sulla base di un esame ragionato, si arriva a definire concetti nuovi come quello del “bilancio multilivello”, frutto della progressiva erosione del bilancio dello Stato in conseguenza dello sviluppo del principio autonomistico delle autonomie territoriali, da una parte, e dall’attrazione della politica monetaria e di bilancio in favore dell’Unione Europea, dall’altra. O come quello della “manovra permanente”, che caratterizza l’affermarsi di una prassi distante dalle regole e improntata sul ruolo preponderante dell’esecutivo in materia di bilancio e sulla emergenzialità delle decisioni finanziarie. Secondo lo studio infatti, che analizza l’incidenza e gli effetti dell’utilizzo dei decreti legge, della questione di fiducia e dei maxiemendamenti nelle sessioni di bilancio dalla VII legislatura alla ultima, si sta affermando un “bilancio del governo” a cui fa da contraltare il “parlamentarismo negato”, che emerge dalla riduzione delle leggi di spesa di origine parlamentare, dalla minore significatività, politica ed economica, dell’attività emendativa delle camere, e dal restringimento, nei tempi e nei contenuti, del dibattito parlamentare. Si è determinato cioè uno spostamento del processo di bilancio in favore dell’esecutivo, non tanto nelle regole giuridiche, che cristallizzano ancora un equilibrio con il potere legislativo, quanto in una prassi al di fuori della norma. La legge 196 del 2009, l’ultima riforma organica della contabilità e finanza pubblica, è definita nella ricerca come una “riforma mancata”, in quanto alla volontà del legislatore di conferire all’organo legislativo un minor potere di scelta in ordine alle questioni finanziarie e un più incisivo potere di controllo sulle proposte governative, non sarebbe seguita l’attuazione pratica se non del primo aspetto, con la conseguenza che il Parlamento, immerso in una permanente carenza informativa sui principali dati macroeconomici e sulle proiezioni finanziarie alla base dei documenti di bilancio, viene depotenziato nelle sue funzioni sia di controllo che di scelta, inficiando così la rappresentatività delle decisioni di politica economica. Ampliando l'indagine oltre il bilancio dello Stato, si sostiene, inoltre, che l’esclusione, di fatto, del coinvolgimento dell’organo rappresentativo, e quindi dei cittadini stessi, dalle decisioni circa l’allocazione delle risorse, avvenga anche a livello locale e comunitario, a causa dell’instaurarsi di un dialogo esclusivo e di natura pattizia fra esecutivi: governo, giunte - e organi monocratici - locali e Commissione Europea, con l’esclusione dei parlamenti nazionali, delle assemblee locali e del Parlamento Europeo. La tesi presenta inoltre le attuali linee di tendenza, che vedono a livello comunitario il tentativo di una razionalizzazione ed armonizzazione legislativa dei diversi processi di bilancio in vigore negli Stati membri, e, sul piano nazionale, il progetto di riforma costituzionale. Sulla proposta di revisione costituzionale, attualmente in discussione in Parlamento, si ritiene che, sebbene possa rappresentare un forte commitment valoriale, l’introduzione del principio del pareggio di bilancio non sia così discriminante in quanto già la nostra Carta possiederebbe strumenti e vincoli sufficienti per garantire un tendenziale pareggio di bilancio, ma anzi possa comportare rigidità applicative e, nella giurisdizionalizzazione della materia, un abbandono della responsabilità politica. Le carenze che hanno determinato una lievitazione dei disavanzi di bilancio sarebbero piuttosto nei limiti di informazione, trasparenza, pubblicità e controllo che inficiano il processo di bilancio, e soprattutto in una cultura politica incapace di trasferire nel processo di bilancio esigenze e bisogni dei cittadini e allo stesso tempo garantire il rigore, a causa della scarsa accountability dei decisori. La tesi si chiude con la proposta di introdurre in Costituzione il diritto al bilancio che emerge, all’inizio della ricerca, da una analisi combinata delle attuali disposizioni costituzionali, e che potrebbe essere fissato esplicitamente al pari degli altri diritti economici della prima parte della Carta.

Rappresentanza e rapporto di fiducia nella decisione di bilancio

CECCONI, LINDA
2011

Abstract

Scopo del lavoro è quello di effettuare un’analisi critica della complessa interazione tra principi costituzionali e norme positive, nazionali e comunitarie, che disciplinano la materia della finanza pubblica, con una particolare attenzione all’inveramento delle regole nella prassi applicativa sottostante la determinazione della decisione di bilancio e della politica economica nazionale. La ricerca fornisce inoltre una ricostruzione delle influenze che le dinamiche esogene, andamento macroeconomico e orientamenti comunitari, ed endogene, forma di governo e sensibilità di natura prettamente politica, esercitano sulla architettura normativa, modificando la qualità e la natura dei documenti di bilancio, il senso e la funzione della decisione di finanza pubblica e, in ultimo, il rapporto fra gli organi istituzionali preposti alla loro definizione, Governo e Parlamento in primis, ma anche enti locali e, indirettamente, istituzioni comunitarie. Il metodo scelto è quello di esaminare preliminarmente i concetti essenziali riguardanti la disciplina della finanza pubblica, individuandone, a livello normativo e con una attenzione all’evoluzione storica, le fonti, i soggetti e le procedure, e successivamente di approfondirne i nodi problematici. A tale fine, volendo tracciare un prospetto che dia conto della democraticità, legalità e trasparenza del processo di bilancio in Italia, cogliendone le innovazioni intercorse dai primi anni della Repubblica sino ai nostri giorni (con le recenti revisioni della disciplina sulla contabilità pubblica operate dalla legge 196/2009 e dalla legge 39/2011) e le prospettive future di riordino della materia, le procedure di finanza pubblica sono analizzate non in base a canoni classici, quali il livello di debito e di deficit, la capacità di adempimento delle obbligazioni comunitarie o gli indicatori di risultato nell’attività amministrativa, ma alla luce di due direttrici originali quali il principio di rappresentanza, garante del “diritto al bilancio” proprio di ogni cittadino, e il rapporto di fiducia, istituto basilare sul quale si dispiega la dinamica interistituzionale. Sulla base di un esame ragionato, si arriva a definire concetti nuovi come quello del “bilancio multilivello”, frutto della progressiva erosione del bilancio dello Stato in conseguenza dello sviluppo del principio autonomistico delle autonomie territoriali, da una parte, e dall’attrazione della politica monetaria e di bilancio in favore dell’Unione Europea, dall’altra. O come quello della “manovra permanente”, che caratterizza l’affermarsi di una prassi distante dalle regole e improntata sul ruolo preponderante dell’esecutivo in materia di bilancio e sulla emergenzialità delle decisioni finanziarie. Secondo lo studio infatti, che analizza l’incidenza e gli effetti dell’utilizzo dei decreti legge, della questione di fiducia e dei maxiemendamenti nelle sessioni di bilancio dalla VII legislatura alla ultima, si sta affermando un “bilancio del governo” a cui fa da contraltare il “parlamentarismo negato”, che emerge dalla riduzione delle leggi di spesa di origine parlamentare, dalla minore significatività, politica ed economica, dell’attività emendativa delle camere, e dal restringimento, nei tempi e nei contenuti, del dibattito parlamentare. Si è determinato cioè uno spostamento del processo di bilancio in favore dell’esecutivo, non tanto nelle regole giuridiche, che cristallizzano ancora un equilibrio con il potere legislativo, quanto in una prassi al di fuori della norma. La legge 196 del 2009, l’ultima riforma organica della contabilità e finanza pubblica, è definita nella ricerca come una “riforma mancata”, in quanto alla volontà del legislatore di conferire all’organo legislativo un minor potere di scelta in ordine alle questioni finanziarie e un più incisivo potere di controllo sulle proposte governative, non sarebbe seguita l’attuazione pratica se non del primo aspetto, con la conseguenza che il Parlamento, immerso in una permanente carenza informativa sui principali dati macroeconomici e sulle proiezioni finanziarie alla base dei documenti di bilancio, viene depotenziato nelle sue funzioni sia di controllo che di scelta, inficiando così la rappresentatività delle decisioni di politica economica. Ampliando l'indagine oltre il bilancio dello Stato, si sostiene, inoltre, che l’esclusione, di fatto, del coinvolgimento dell’organo rappresentativo, e quindi dei cittadini stessi, dalle decisioni circa l’allocazione delle risorse, avvenga anche a livello locale e comunitario, a causa dell’instaurarsi di un dialogo esclusivo e di natura pattizia fra esecutivi: governo, giunte - e organi monocratici - locali e Commissione Europea, con l’esclusione dei parlamenti nazionali, delle assemblee locali e del Parlamento Europeo. La tesi presenta inoltre le attuali linee di tendenza, che vedono a livello comunitario il tentativo di una razionalizzazione ed armonizzazione legislativa dei diversi processi di bilancio in vigore negli Stati membri, e, sul piano nazionale, il progetto di riforma costituzionale. Sulla proposta di revisione costituzionale, attualmente in discussione in Parlamento, si ritiene che, sebbene possa rappresentare un forte commitment valoriale, l’introduzione del principio del pareggio di bilancio non sia così discriminante in quanto già la nostra Carta possiederebbe strumenti e vincoli sufficienti per garantire un tendenziale pareggio di bilancio, ma anzi possa comportare rigidità applicative e, nella giurisdizionalizzazione della materia, un abbandono della responsabilità politica. Le carenze che hanno determinato una lievitazione dei disavanzi di bilancio sarebbero piuttosto nei limiti di informazione, trasparenza, pubblicità e controllo che inficiano il processo di bilancio, e soprattutto in una cultura politica incapace di trasferire nel processo di bilancio esigenze e bisogni dei cittadini e allo stesso tempo garantire il rigore, a causa della scarsa accountability dei decisori. La tesi si chiude con la proposta di introdurre in Costituzione il diritto al bilancio che emerge, all’inizio della ricerca, da una analisi combinata delle attuali disposizioni costituzionali, e che potrebbe essere fissato esplicitamente al pari degli altri diritti economici della prima parte della Carta.
20-dic-2011
Italiano
pareggio di bilancio
RIVOSECCHI, Guido
MICCU', Roberto
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/90845
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIROMA1-90845