In Italia la maggior parte delle persone malate di demenza è assistita all’interno delle famiglie, tuttavia viene spesso dato per scontato cosa voglia dire essere “caregiver”, quasi fosse distinguibile un’entità precisa riconoscibile esclusivamente sulla base dei compiti a questa assegnati. Nella letteratura specifica, infatti, il caregiver viene spesso rappresentato come colui che si prende cura di una persona malata o non autosufficiente, tuttavia i riflessi di questa esperienza sull'identità delle persone restano un tema ancora poco indagato. Partendo dai contributi delle illness narratives e della psicologia narrativa, abbiamo assunto la teoria del posizionamento come cornice teorica del presente lavoro. Questa prospettiva pone l’accento sulla “costruzione” dell’identità all’interno delle interazioni e intende le narrazioni come performance in cui le identità vengono negoziate. Alla luce di queste premesse, lo studio mira ad esplorare come i caregiver primari di persone con demenza posizionino se stessi e come (ri)considerino la loro identità nella relazione di cura. L’indagine si articola su tre aree distinte ma connesse: (1) Come i caregiver costruiscono la demenza (2) Come costruiscono il familiare malato (3) Come i caregiver costruiscono la propria identità nella relazione di cura. A questo scopo sono state condotte 47 interviste narrative con i caregiver primari (20 coniugi e 27 figli/e) di persone malate di demenza ad uno stadio medio-grave. Attraverso un’analisi qualitativo-tematica sono state indagate le prime due domande di ricerca, mentre la terza è stata esplorata attraverso un’analisi del posizionamento assumendo una prospettiva di genere e generazionale. Dalle analisi la persona con demenza risulta impegnata ad esprimere la propria agency attraverso un continuo bilancio tra identity disruption e identity re-construction, confrontandosi con una patologia che si configura come malattia familiare e fonte di stigma. Allo stesso tempo, i caregiver si trovano costantemente impegnati a fronteggiare le richieste e i cambiamenti imposti dalla malattia e a trovare un equilibrio tra posizionamenti diversi, spesso in contraddizione tra di loro. Essere caregiver si presenta quindi come un processo di costante negoziazione tra la persona, gli altri, i propri valori e le aspettative sociali. Sono tracciati quattro tipi di movimenti identitari (“slittamento”, “bilanciamento”, “evitamento” e “appartenenza”), mettendo in luce le differenze di genere e generazionali che maggiormente influiscono su come l’esperienza di cura viene vissuta. A chiusura del lavoro è presentato il caso-studio di una caregiver al fine di proporre un’analisi integrata della tecnica narrativa dell’autocaratterizzazione come possibile strumento rivolto ai professionisti che lavorano con i familiari. I risultati complessivi sono discussi criticamente e commentati così da mettere in luce le interazioni tra le tre aree d’indagine. Lo studio propone infine alcune riflessioni sull’applicazione dei risultati, oltre ai limiti e ai possibili sviluppi della ricerca.
Narrazioni di malattia e identità. Le prospettive dei caregiver primari di persone con demenza
BELLONI, ELEONORA
2014
Abstract
In Italia la maggior parte delle persone malate di demenza è assistita all’interno delle famiglie, tuttavia viene spesso dato per scontato cosa voglia dire essere “caregiver”, quasi fosse distinguibile un’entità precisa riconoscibile esclusivamente sulla base dei compiti a questa assegnati. Nella letteratura specifica, infatti, il caregiver viene spesso rappresentato come colui che si prende cura di una persona malata o non autosufficiente, tuttavia i riflessi di questa esperienza sull'identità delle persone restano un tema ancora poco indagato. Partendo dai contributi delle illness narratives e della psicologia narrativa, abbiamo assunto la teoria del posizionamento come cornice teorica del presente lavoro. Questa prospettiva pone l’accento sulla “costruzione” dell’identità all’interno delle interazioni e intende le narrazioni come performance in cui le identità vengono negoziate. Alla luce di queste premesse, lo studio mira ad esplorare come i caregiver primari di persone con demenza posizionino se stessi e come (ri)considerino la loro identità nella relazione di cura. L’indagine si articola su tre aree distinte ma connesse: (1) Come i caregiver costruiscono la demenza (2) Come costruiscono il familiare malato (3) Come i caregiver costruiscono la propria identità nella relazione di cura. A questo scopo sono state condotte 47 interviste narrative con i caregiver primari (20 coniugi e 27 figli/e) di persone malate di demenza ad uno stadio medio-grave. Attraverso un’analisi qualitativo-tematica sono state indagate le prime due domande di ricerca, mentre la terza è stata esplorata attraverso un’analisi del posizionamento assumendo una prospettiva di genere e generazionale. Dalle analisi la persona con demenza risulta impegnata ad esprimere la propria agency attraverso un continuo bilancio tra identity disruption e identity re-construction, confrontandosi con una patologia che si configura come malattia familiare e fonte di stigma. Allo stesso tempo, i caregiver si trovano costantemente impegnati a fronteggiare le richieste e i cambiamenti imposti dalla malattia e a trovare un equilibrio tra posizionamenti diversi, spesso in contraddizione tra di loro. Essere caregiver si presenta quindi come un processo di costante negoziazione tra la persona, gli altri, i propri valori e le aspettative sociali. Sono tracciati quattro tipi di movimenti identitari (“slittamento”, “bilanciamento”, “evitamento” e “appartenenza”), mettendo in luce le differenze di genere e generazionali che maggiormente influiscono su come l’esperienza di cura viene vissuta. A chiusura del lavoro è presentato il caso-studio di una caregiver al fine di proporre un’analisi integrata della tecnica narrativa dell’autocaratterizzazione come possibile strumento rivolto ai professionisti che lavorano con i familiari. I risultati complessivi sono discussi criticamente e commentati così da mettere in luce le interazioni tra le tre aree d’indagine. Lo studio propone infine alcune riflessioni sull’applicazione dei risultati, oltre ai limiti e ai possibili sviluppi della ricerca.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/92221
URN:NBN:IT:UNIPD-92221