L’acidosi ruminale è un disturbo metabolico-fermentativo presente nell’allevamento della vacca da latte e nel bovino da carne. Attualmente la definizione di acidosi si basa sul pH ruminale e può manifestarsi in forma acuta, cronica e subclinica (sub-acuta). Al fine di ottenere un aumento delle produzioni di latte, le vacche ad alta produzione sono alimentate con diete altamente energetiche e a base di cereali che a seguito della rapida fermentazione ruminale dell’amido e degli zuccheri inducono un accumulo di acidi grassi volatili e/o lattato, che associato a una ridotta capacità tampone a livello ruminale causa una caduta del pH. L’acidosi ruminale subacuta (SARA) è caratterizzata da un recupero spontaneo di ripetuti picchi di basso pH ruminale, assente o transitorio accumulo di lattato ruminale e lievi sintomi clinici durante i cali di pH ruminale. SARA causa ingenti danni economici sia diretti che indiretti nell’allevamento della vacca da latte a causa della diminuita qualità e quantità di latte prodotto, delle maggiori spese veterinarie, della prematura macellazione dell’animale. I sintomi clinici di SARA nel singolo animale sono subdoli, ritardati di settimane o mesi dopo l’evento acidotico, non patognomonici e comuni ad altre numerose patologie. Il pH ruminale inoltre varia considerevolmente a seconda di vari fattori quali: tempo intercorso dopo il pasto, momento del giorno, punto di campionamento all’interno del rumine, tecniche di campionamento utilizzate per raccogliere il liquido ruminale. Per queste ragioni e per i problemi nell’ottenere campioni di liquido ruminale rappresentativi, SARA risulta essere molto spesso sottovalutata. Allo stato attuale, per diagnosticare SARA si misura il pH ruminale utilizzando varie tecniche: alcune di esse sono considerate invasive (fistolizzazione ruminale), o moderatamente invasive (ruminocentesi), forniscono rilievi puntiformi del pH ruminale, perdendo quindi sensibilità nella diagnosi di acidosi ruminale (ruminocentesi, sonda orogastrica) o possono portare a contaminazioni con la saliva che altera il pH del campione (sonda orogastrica). Per ovviare a tali inconvenienti con questa tesi si è cercato di individuare metodi diagnostici (diretti ed indiretti) poco invasivi, rapidi, economici e di facile esecuzione per rilevare la presenza e definire la gravità dell’acidosi ruminale (capitoli 3 e 4). Si è inoltre indagata l’efficacia di diversi metodi di prevenzione (capitoli 5, 6, 7 e 8). Il primo contributo sperimentale (Effect of induced ruminal acidosis on blood variables in heifers; capitolo 3) è stato eseguito utilizzando un quadrato latino 3 × 3 (3 diete × 3 periodi). A sei manze non gravide (incrocio Valdostana x Blu Belga) è stata somministrata una delle tre diete contenenti differenti livelli di amido (% sostanza secca): basso (17.3%) come controllo (CT), medio (MS) per indurre SARA (33.4%) e alto (HS) per indurre l’acidosi ruminale acuta (42.8%). Gli animali sono stati alimentati tre volte al giorno (ore 08:00, 12:00 e 18:00). Il pH ruminale è stato misurato di continuo ogni 10 minuti tramite boli, che hanno la caratteristica di fluttuare all’interno del liquido ruminale, e tramite ruminocentesi eseguita 4 ore dopo la distribuzione della razione al 4° giorno di ogni periodo sperimentale. Il coefficiente di regressione tra i due metodi (boli vs. ruminocentesi) è risultato pari a 0.56 (P = 0.040). La somministrazione di CT, MS e HS ha determinato delle differenze nel tempo speso sotto le soglie di pH 5.8, 5.5 e 5.0 e in diverse variabili compresa l’ingestione (7.7 vs. 6.9 vs. 5.1 kg/d per CT, MS e HS, rispettivamente; P = 0.002), pH ruminale nadir (5.69 vs. 5.47 vs. 5.44; P = 0.042), pH ruminale medio (6.50 vs. 6.34 vs. 6.31; P = 0.012), livello di emoglobina (11.1 vs. 10.9 vs. 11.4 g/dL; P = 0.010), conta piastrinica (506 vs. 481 vs. 601 K/μL; P = 0.008), HCO3- (31.8 vs. 31.3 vs. 30.6 mmol/L; P = 0.071) e proteina legante i lipopolisaccaridi (LBP) (5.9 vs. 9.5 vs. 10.5 μg/mL; P < 0.001). Applicando un’analisi discriminante canonica multifattoriale (CDA), cinque variabili plasmatiche (emoglobina, volume piastrinico medio, β-idrossibutirrato, glucosio ed emoglobina ridotta) sono state in grado di discriminare significativamente lo stato ruminale fisiologico: SARA o acidosi ruminale acuta (Wilks’ λ = 0.282, F approx = 3.76, df1 =15, df2 = 97, P < 0.0001). A seguito della CDA, si sono ottenute due variabili latenti (CAN 1 e CAN 2) che spiegano il 60% e il 38% della varianza. Il secondo contributo sperimentale (Blood parameters modification at different ruminal acidosis conditions; capitolo 4) ha dimostrato che per la valutazione dello stato di acidosi ruminale può essere sufficiente un solo rilievo di sangue al giorno, stante la mancanza di differenze statisticamente significative per tutte le variabili ematologiche determinate nel confronto tra i due tempi di campionamento (08:00 vs. 12:00). Il terzo contributo (Effect of feeding fine maize particles on the reticular pH, milk yield and composition of dairy cows; capitolo 5) ha previsto l’utilizzo di una differente tipologia di boli che hanno la caratteristica di rimanere sul fondo del reticolo. Questi boli hanno registrato in continuo il pH e la temperatura reticolare ed è stato possibile valutare se la somministrazione di mais finemente macinato (Fg) potesse causare un maggiore rischio di SARA in vacche da latte ad alta produzione. Dodici vacche Frisone sono state assegnate a uno dei due gruppi sperimentali: Ct (mais macinato a 1.0 mm) o Fg (mais macinato a 0.5 mm) utilizzando un disegno sperimentale a cross over (2 diete × 2 periodi) basato su una fase di adattamento di 14 giorni e una di rilievo dati di 7 (periodo di 21 giorni). Il pH e la temperatura reticolare sono stati misurati in continuo in 8 vacche utilizzando i boli durante tutta la prova sperimentale. I dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi statistica secondo un modello MIXED. Riducendo le dimensioni delle particelle di mais si è osservato un appena significativo aumento dell’ingestione (19.0 vs. 20.3 kg/d per Ct e Fg, rispettivamente; P = 0.067), un significativo incremento del livello di proteina grezza (3.18 vs. 3.31%; P = 0.021) e caseina nel latte (2.48 vs. 2.57%; P = 0.035); per contro, si è osservata una significativa riduzione dell’efficienza alimentare (1.63 vs. 1.52; P = 0.008) benché sia aumentata significativamente la digeribilità dell’amido (0.94 vs. 0.98; P = 0.078). Le vacche alimentate con Fg hanno significativamente speso maggior tempo sotto la soglia di pH 5.5 (15 vs. 61 min/giorno; P = 0.047), hanno avuto una più alta variazione giornaliera media del pH reticolare caratterizzata da un più basso pH nadir (5.95 vs. 5.72; P < 0.001) e un più alto range di pH (0.79 vs. 0.94; P = 0.003). I trattamenti non hanno influenzato i parametri della temperatura reticolare e neppure il tempo speso giornalmente sotto le soglie di temperatura. Questo studio ha dimostrato che anche le dimensioni delle particelle di mais devono essere prese in considerazione durante la formulazione di una razione volta a massimizzare produzione e qualità del latte, stante il fatto che una loro riduzione sembra favorire un aumento del tenore proteico del latte a scapito di una seppur modesta diminuzione dell’efficienza alimentare; tuttavia, si deve porre attenzione a non aumentare il rischio di acidosi ruminale. La seconda parte della tesi ha avuto lo scopo di individuare alcune strategie per prevenire SARA nelle vacche da latte tramite l’utilizzo di alcuni supplementi alimentari e di cercare di identificare i meccanismi d’azione attraverso i quali questi agiscono sulla fermentazione ruminale (capitoli 6, 7 e 8). Il quarto contributo sperimentale (Effects of carbohydrase inhibiting compounds on in vitro rumen fermentation; capitolo 6) è stato uno studio in vitro sulla fermentazione ruminale che ha previsto l’utilizzo di derivati vegetali (mirtillo, faseolamina, gelso bianco e lino comune) a due dosi (15 o 150 mg) aggiunti a 0.5 g di farina di mais (mais macinato attraverso un setaccio di 2 mm). Gli additivi hanno dimostrato sia di poter modificare il pattern fermentativo sia di poter influenzare la composizione batterica in vitro stante le differenze nella concentrazione di azoto ammoniacale e nelle proporzioni di acidi grassi volatili. In particolare, rispetto a un controllo positivo (acarbosio), mirtillo e gelso hanno determinato una maggiore caduta di pH probabilmente a causa della rapida fermentazione del loro contenuto in zuccheri. Il mirtillo inoltre ha aumentato il propionato e comportato un apparente calo della concentrazione di azoto ammoniacale; il mirtillo sembra avere la capacità di limitare la degradazione dell’amido mascherato, sebbene questo effetto sia stato limitato dalla fermentazione degli zuccheri presenti nel supplemento. Negli ultimi due contributi (Use of dicarboxylic acids and polyphenols to attenuate reticular pH drop and acute phase response in dairy heifers fed a high grain diet; capitolo 7. Effect of dicarboxylic acids and polyphenols on rumen microbial population in dairy heifers fed a high grain diet though metagenomic analysis; capitolo 8) acidi dicarbossilici (fumarato-malato) ed estratti di piante (miscela di olii essenziali e di polifenoli) sono stati utilizzati per una prova in vivo allo scopo di determinare i loro effetti sulla caduta del pH ruminale, sui metaboliti e gli indicatori infiammatori del sangue e del liquido ruminale in manze alimentate con diete ad alto contenuto di mais (capitolo 7) e di valutare i loro effetti sulla popolazione batterica ruminale (capitolo 8). Secondo un protocollo sperimentale a quadrato latino 3 × 3 (3 diete × 3 periodi) sei manze Frisone non gravide sono state alimentate con una dieta a basso contenuto d’amido (LS) per 14 giorni (NDF 39.8%, amido 24.0% SS), seguita da una dieta ad alto contenuto d’amido (HS) per 8 giorni (NDF 33.6%, amido 30.0% SS). Durante la somministrazione della dieta HS gli animali sono stati assegnati a uno dei tre trattamenti: nessun supplemento/controllo (CT), una dose giornaliera di 60 g al giorno di una miscela di fumarato-malato (FM), o 100 g al giorno di una miscela di olii essenziali e polifenoli (PM). Il pH ruminale è stato misurato in continuo mediante boli fissi all’interno del reticolo e confrontato con quello rilevato tramite un pH-metro portatile sul liquido ruminale raccolto mediante ruminocentesi il 21° giorno di ogni periodo sperimentale alle 14:00. Un’aliquota di liquido ruminale è stata raccolta per studiare gli effetti dei supplementi sulla produzione di acidi grassi volatili (AGV) e lipopolisaccaridi (LPS) e sulla popolazione microbica ruminale utilizzando la real-time PCR (qPCR) e il sequenziamento Illumina. Lo stesso giorno sono stati inoltre raccolti campioni di sangue (08:00) e feci (08:00, 14:00 e 21:00). Il coefficiente di correlazione tra i valori di pH acquisiti tramite i boli reticolari o la ruminocentesi è stato pari a 0.83 (P < 0.001). Il pH nadir è risultato più basso nella dieta controllo (5.40, 5.69 e 5.62 per CT, FM e PM, rispettivamente; P = 0.037), confermando l’efficacia di entrambi i supplementi nel ridurre la caduta del pH ruminale causata da alimenti ricchi di cereali. Inoltre, PM ha dimostrato di essere più efficace rispetto a FM nel ridurre la risposta infiammatoria con una diminuzione delle concentrazioni di neutrofili (2.9, 3.2 e 2.8 109/L; P = 0.084), proteine della fase acuta come siero amiloide A (37.1, 28.6 e 20.1 µg/mL; P = 0.036), LBP (4.1, 3.8 e 2.9 µg/mL; P = 0.048) e aptoglobina (675, 695 e 601 µg/mL; P = 0.084). Il pH e la concentrazione di lipolisaccaridi nelle feci non sono state influenzate dai trattamenti, mentre i valori di pH nelle feci sono risultati influenzati dal tempo di raccolta (6.38, 6.71 e 6.69 alle ore 08:00, 14:00 e 21:00, rispettivamente; P = 0.042) (capitolo 7). Entrambi i supplementi hanno dimostrato di modificare la popolazione microbica ruminale in manze alimentate con una dieta ad alto contenuto d’amido (capitolo 8). Concludendo, strumenti diagnostici (diretti e indiretti) come boli e variabili del sangue sono risultati essere promettenti per monitorare variazioni di pH ruminale. Tali strumenti diagnostici possono essere facilmente utilizzati negli allevamenti di vacche da latte ad alta produzione. Per quanto riguarda inoltre la prevenzione di SARA, tra gli additivi alimentari testati, gli acidi dicarbossilici (fumarato-malato) e soprattutto i polifenoli si sono dimostrati efficaci nell’attenuare la caduta del pH ruminale dovuta all’uso di diete ad alto contenuto di cereali, agendo sulla popolazione microbica del rumine. Tali risultati suggeriscono il loro utilizzo negli allevamenti per aiutare a garantire la salute e il benessere delle bovine da latte, favorendo di conseguenza produttività e redditività per gli allevatori
Diagnosis and prevention of subacute ruminal acidosis in dairy cattle
DE NARDI, ROBERTA
2015
Abstract
L’acidosi ruminale è un disturbo metabolico-fermentativo presente nell’allevamento della vacca da latte e nel bovino da carne. Attualmente la definizione di acidosi si basa sul pH ruminale e può manifestarsi in forma acuta, cronica e subclinica (sub-acuta). Al fine di ottenere un aumento delle produzioni di latte, le vacche ad alta produzione sono alimentate con diete altamente energetiche e a base di cereali che a seguito della rapida fermentazione ruminale dell’amido e degli zuccheri inducono un accumulo di acidi grassi volatili e/o lattato, che associato a una ridotta capacità tampone a livello ruminale causa una caduta del pH. L’acidosi ruminale subacuta (SARA) è caratterizzata da un recupero spontaneo di ripetuti picchi di basso pH ruminale, assente o transitorio accumulo di lattato ruminale e lievi sintomi clinici durante i cali di pH ruminale. SARA causa ingenti danni economici sia diretti che indiretti nell’allevamento della vacca da latte a causa della diminuita qualità e quantità di latte prodotto, delle maggiori spese veterinarie, della prematura macellazione dell’animale. I sintomi clinici di SARA nel singolo animale sono subdoli, ritardati di settimane o mesi dopo l’evento acidotico, non patognomonici e comuni ad altre numerose patologie. Il pH ruminale inoltre varia considerevolmente a seconda di vari fattori quali: tempo intercorso dopo il pasto, momento del giorno, punto di campionamento all’interno del rumine, tecniche di campionamento utilizzate per raccogliere il liquido ruminale. Per queste ragioni e per i problemi nell’ottenere campioni di liquido ruminale rappresentativi, SARA risulta essere molto spesso sottovalutata. Allo stato attuale, per diagnosticare SARA si misura il pH ruminale utilizzando varie tecniche: alcune di esse sono considerate invasive (fistolizzazione ruminale), o moderatamente invasive (ruminocentesi), forniscono rilievi puntiformi del pH ruminale, perdendo quindi sensibilità nella diagnosi di acidosi ruminale (ruminocentesi, sonda orogastrica) o possono portare a contaminazioni con la saliva che altera il pH del campione (sonda orogastrica). Per ovviare a tali inconvenienti con questa tesi si è cercato di individuare metodi diagnostici (diretti ed indiretti) poco invasivi, rapidi, economici e di facile esecuzione per rilevare la presenza e definire la gravità dell’acidosi ruminale (capitoli 3 e 4). Si è inoltre indagata l’efficacia di diversi metodi di prevenzione (capitoli 5, 6, 7 e 8). Il primo contributo sperimentale (Effect of induced ruminal acidosis on blood variables in heifers; capitolo 3) è stato eseguito utilizzando un quadrato latino 3 × 3 (3 diete × 3 periodi). A sei manze non gravide (incrocio Valdostana x Blu Belga) è stata somministrata una delle tre diete contenenti differenti livelli di amido (% sostanza secca): basso (17.3%) come controllo (CT), medio (MS) per indurre SARA (33.4%) e alto (HS) per indurre l’acidosi ruminale acuta (42.8%). Gli animali sono stati alimentati tre volte al giorno (ore 08:00, 12:00 e 18:00). Il pH ruminale è stato misurato di continuo ogni 10 minuti tramite boli, che hanno la caratteristica di fluttuare all’interno del liquido ruminale, e tramite ruminocentesi eseguita 4 ore dopo la distribuzione della razione al 4° giorno di ogni periodo sperimentale. Il coefficiente di regressione tra i due metodi (boli vs. ruminocentesi) è risultato pari a 0.56 (P = 0.040). La somministrazione di CT, MS e HS ha determinato delle differenze nel tempo speso sotto le soglie di pH 5.8, 5.5 e 5.0 e in diverse variabili compresa l’ingestione (7.7 vs. 6.9 vs. 5.1 kg/d per CT, MS e HS, rispettivamente; P = 0.002), pH ruminale nadir (5.69 vs. 5.47 vs. 5.44; P = 0.042), pH ruminale medio (6.50 vs. 6.34 vs. 6.31; P = 0.012), livello di emoglobina (11.1 vs. 10.9 vs. 11.4 g/dL; P = 0.010), conta piastrinica (506 vs. 481 vs. 601 K/μL; P = 0.008), HCO3- (31.8 vs. 31.3 vs. 30.6 mmol/L; P = 0.071) e proteina legante i lipopolisaccaridi (LBP) (5.9 vs. 9.5 vs. 10.5 μg/mL; P < 0.001). Applicando un’analisi discriminante canonica multifattoriale (CDA), cinque variabili plasmatiche (emoglobina, volume piastrinico medio, β-idrossibutirrato, glucosio ed emoglobina ridotta) sono state in grado di discriminare significativamente lo stato ruminale fisiologico: SARA o acidosi ruminale acuta (Wilks’ λ = 0.282, F approx = 3.76, df1 =15, df2 = 97, P < 0.0001). A seguito della CDA, si sono ottenute due variabili latenti (CAN 1 e CAN 2) che spiegano il 60% e il 38% della varianza. Il secondo contributo sperimentale (Blood parameters modification at different ruminal acidosis conditions; capitolo 4) ha dimostrato che per la valutazione dello stato di acidosi ruminale può essere sufficiente un solo rilievo di sangue al giorno, stante la mancanza di differenze statisticamente significative per tutte le variabili ematologiche determinate nel confronto tra i due tempi di campionamento (08:00 vs. 12:00). Il terzo contributo (Effect of feeding fine maize particles on the reticular pH, milk yield and composition of dairy cows; capitolo 5) ha previsto l’utilizzo di una differente tipologia di boli che hanno la caratteristica di rimanere sul fondo del reticolo. Questi boli hanno registrato in continuo il pH e la temperatura reticolare ed è stato possibile valutare se la somministrazione di mais finemente macinato (Fg) potesse causare un maggiore rischio di SARA in vacche da latte ad alta produzione. Dodici vacche Frisone sono state assegnate a uno dei due gruppi sperimentali: Ct (mais macinato a 1.0 mm) o Fg (mais macinato a 0.5 mm) utilizzando un disegno sperimentale a cross over (2 diete × 2 periodi) basato su una fase di adattamento di 14 giorni e una di rilievo dati di 7 (periodo di 21 giorni). Il pH e la temperatura reticolare sono stati misurati in continuo in 8 vacche utilizzando i boli durante tutta la prova sperimentale. I dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi statistica secondo un modello MIXED. Riducendo le dimensioni delle particelle di mais si è osservato un appena significativo aumento dell’ingestione (19.0 vs. 20.3 kg/d per Ct e Fg, rispettivamente; P = 0.067), un significativo incremento del livello di proteina grezza (3.18 vs. 3.31%; P = 0.021) e caseina nel latte (2.48 vs. 2.57%; P = 0.035); per contro, si è osservata una significativa riduzione dell’efficienza alimentare (1.63 vs. 1.52; P = 0.008) benché sia aumentata significativamente la digeribilità dell’amido (0.94 vs. 0.98; P = 0.078). Le vacche alimentate con Fg hanno significativamente speso maggior tempo sotto la soglia di pH 5.5 (15 vs. 61 min/giorno; P = 0.047), hanno avuto una più alta variazione giornaliera media del pH reticolare caratterizzata da un più basso pH nadir (5.95 vs. 5.72; P < 0.001) e un più alto range di pH (0.79 vs. 0.94; P = 0.003). I trattamenti non hanno influenzato i parametri della temperatura reticolare e neppure il tempo speso giornalmente sotto le soglie di temperatura. Questo studio ha dimostrato che anche le dimensioni delle particelle di mais devono essere prese in considerazione durante la formulazione di una razione volta a massimizzare produzione e qualità del latte, stante il fatto che una loro riduzione sembra favorire un aumento del tenore proteico del latte a scapito di una seppur modesta diminuzione dell’efficienza alimentare; tuttavia, si deve porre attenzione a non aumentare il rischio di acidosi ruminale. La seconda parte della tesi ha avuto lo scopo di individuare alcune strategie per prevenire SARA nelle vacche da latte tramite l’utilizzo di alcuni supplementi alimentari e di cercare di identificare i meccanismi d’azione attraverso i quali questi agiscono sulla fermentazione ruminale (capitoli 6, 7 e 8). Il quarto contributo sperimentale (Effects of carbohydrase inhibiting compounds on in vitro rumen fermentation; capitolo 6) è stato uno studio in vitro sulla fermentazione ruminale che ha previsto l’utilizzo di derivati vegetali (mirtillo, faseolamina, gelso bianco e lino comune) a due dosi (15 o 150 mg) aggiunti a 0.5 g di farina di mais (mais macinato attraverso un setaccio di 2 mm). Gli additivi hanno dimostrato sia di poter modificare il pattern fermentativo sia di poter influenzare la composizione batterica in vitro stante le differenze nella concentrazione di azoto ammoniacale e nelle proporzioni di acidi grassi volatili. In particolare, rispetto a un controllo positivo (acarbosio), mirtillo e gelso hanno determinato una maggiore caduta di pH probabilmente a causa della rapida fermentazione del loro contenuto in zuccheri. Il mirtillo inoltre ha aumentato il propionato e comportato un apparente calo della concentrazione di azoto ammoniacale; il mirtillo sembra avere la capacità di limitare la degradazione dell’amido mascherato, sebbene questo effetto sia stato limitato dalla fermentazione degli zuccheri presenti nel supplemento. Negli ultimi due contributi (Use of dicarboxylic acids and polyphenols to attenuate reticular pH drop and acute phase response in dairy heifers fed a high grain diet; capitolo 7. Effect of dicarboxylic acids and polyphenols on rumen microbial population in dairy heifers fed a high grain diet though metagenomic analysis; capitolo 8) acidi dicarbossilici (fumarato-malato) ed estratti di piante (miscela di olii essenziali e di polifenoli) sono stati utilizzati per una prova in vivo allo scopo di determinare i loro effetti sulla caduta del pH ruminale, sui metaboliti e gli indicatori infiammatori del sangue e del liquido ruminale in manze alimentate con diete ad alto contenuto di mais (capitolo 7) e di valutare i loro effetti sulla popolazione batterica ruminale (capitolo 8). Secondo un protocollo sperimentale a quadrato latino 3 × 3 (3 diete × 3 periodi) sei manze Frisone non gravide sono state alimentate con una dieta a basso contenuto d’amido (LS) per 14 giorni (NDF 39.8%, amido 24.0% SS), seguita da una dieta ad alto contenuto d’amido (HS) per 8 giorni (NDF 33.6%, amido 30.0% SS). Durante la somministrazione della dieta HS gli animali sono stati assegnati a uno dei tre trattamenti: nessun supplemento/controllo (CT), una dose giornaliera di 60 g al giorno di una miscela di fumarato-malato (FM), o 100 g al giorno di una miscela di olii essenziali e polifenoli (PM). Il pH ruminale è stato misurato in continuo mediante boli fissi all’interno del reticolo e confrontato con quello rilevato tramite un pH-metro portatile sul liquido ruminale raccolto mediante ruminocentesi il 21° giorno di ogni periodo sperimentale alle 14:00. Un’aliquota di liquido ruminale è stata raccolta per studiare gli effetti dei supplementi sulla produzione di acidi grassi volatili (AGV) e lipopolisaccaridi (LPS) e sulla popolazione microbica ruminale utilizzando la real-time PCR (qPCR) e il sequenziamento Illumina. Lo stesso giorno sono stati inoltre raccolti campioni di sangue (08:00) e feci (08:00, 14:00 e 21:00). Il coefficiente di correlazione tra i valori di pH acquisiti tramite i boli reticolari o la ruminocentesi è stato pari a 0.83 (P < 0.001). Il pH nadir è risultato più basso nella dieta controllo (5.40, 5.69 e 5.62 per CT, FM e PM, rispettivamente; P = 0.037), confermando l’efficacia di entrambi i supplementi nel ridurre la caduta del pH ruminale causata da alimenti ricchi di cereali. Inoltre, PM ha dimostrato di essere più efficace rispetto a FM nel ridurre la risposta infiammatoria con una diminuzione delle concentrazioni di neutrofili (2.9, 3.2 e 2.8 109/L; P = 0.084), proteine della fase acuta come siero amiloide A (37.1, 28.6 e 20.1 µg/mL; P = 0.036), LBP (4.1, 3.8 e 2.9 µg/mL; P = 0.048) e aptoglobina (675, 695 e 601 µg/mL; P = 0.084). Il pH e la concentrazione di lipolisaccaridi nelle feci non sono state influenzate dai trattamenti, mentre i valori di pH nelle feci sono risultati influenzati dal tempo di raccolta (6.38, 6.71 e 6.69 alle ore 08:00, 14:00 e 21:00, rispettivamente; P = 0.042) (capitolo 7). Entrambi i supplementi hanno dimostrato di modificare la popolazione microbica ruminale in manze alimentate con una dieta ad alto contenuto d’amido (capitolo 8). Concludendo, strumenti diagnostici (diretti e indiretti) come boli e variabili del sangue sono risultati essere promettenti per monitorare variazioni di pH ruminale. Tali strumenti diagnostici possono essere facilmente utilizzati negli allevamenti di vacche da latte ad alta produzione. Per quanto riguarda inoltre la prevenzione di SARA, tra gli additivi alimentari testati, gli acidi dicarbossilici (fumarato-malato) e soprattutto i polifenoli si sono dimostrati efficaci nell’attenuare la caduta del pH ruminale dovuta all’uso di diete ad alto contenuto di cereali, agendo sulla popolazione microbica del rumine. Tali risultati suggeriscono il loro utilizzo negli allevamenti per aiutare a garantire la salute e il benessere delle bovine da latte, favorendo di conseguenza produttività e redditività per gli allevatoriFile | Dimensione | Formato | |
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