La cirrosi epatica dovuta all’infezione dell’epatite C (HCV), associata o meno ad epatocarcinoma, è l’indicazione principale al trapianto di fegato. La ricorrenza dell’infezione nel fegato trapiantato è universale nei pazienti HCV positivi al momento del trapianto. Un terzo dei riceventi presenta un quadro cirrosi epatica nei 5 anni successivi al trapianto di fegato e una parte minore può sviluppare una forma severa di ricorrenza, associata ad una prognosi infausta, chiamata epatite colestasica fibrosante (CHC). Negli ultimi anni, l’utilizzo delle terapie antivirali senza interferone per il trattamento dell’epatite C ha segnato un traguardo importante dell’epatologia dei trapianti. Infatti l’efficacia e la sicurezza dei farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs) permette di trattare i pazienti con cirrosi HCV-correlata in lista d’attesa per trapianto e i pazienti trapiantati che hanno sviluppato una ricorrenza dell’infezione dopo trapianto. In questa tesi presentiamo due studi che includono pazienti affetti da epatite HCV nell’ambito del trapianto di fegato. Nel primo studio lo scopo è stato quello di determinare la persistenza del genoma virale (HCV-RNA) nel fegato espiantato di pazienti con cirrosi HCV-correlata, che avevano ricevuto un trattamento antivirale con DAAs, durante la lista d’attesa per trapianto di fegato. Abbiamo inoltre valutato il ruolo dell’immunità innata nella persistenza dell’HCV-RNA nel fegato espiantato dopo trattamento antivirale. Abbiamo dimostrato che, nonostante il trattamento, il genoma virale persisteva nel fegato espiantato della maggior parte dei pazienti. Tuttavia, la presenza di HCV-RNA non è risultata associata al fallimento del trattamento, ossia alla ricorrenza dell’infezione HCV dopo trapianto, tranne che nei pazienti in cui vi era una elevata quantità di genoma virale nel fegato espiantato. Interessante è stato vedere come in questi pazienti trattati con DAAs ci fosse una ridotta attivazione della via di segnalizzazione cellulare dell’interferone. Nel secondo studio sono stati indagati specifici meccanismi virologici coinvolti nella patogenesi dell’epatite colestasica C (CHC), la forma più severa di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto di fegato. L’evoluzione delle popolazioni virali che circolano normalmente in un unico individuo, chiamate quasispecie virali, e la presenza di specifiche mutazioni nella regione codificante per la polimerasi del virus (NS5B) sono state studiate utilizzando una tecnica molto sensibile e innovativa, quale il sequenziamento massivo di nuova generazione. Sono stati inclusi nello studio due gruppi di pazienti: pazienti che avevano sviluppato la CHC e pazienti che avevano presentato una forma lieve di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto, inclusi nel gruppo di controllo. Abbiamo visto che nei pazienti con CHC uno specifico ceppo virale dominava sugli altri, generando una quasispecie virale omogenea. In questi pazienti il virus aveva acquisito una maggiore “fitness”, confermato anche dal fatto che la sequenza maggioritaria presente prima del trapianto si manteneva anche dopo trapianto. Invece, nei pazienti con una ricorrenza lieve questo non avveniva, e la quasispecie virale appariva più disomogenea dopo trapianto. Nei pazienti con CHC, la presenza di specifiche mutazioni del gene NS5B potrebbero spiegare il comportamento del virus, che replicando ad alti livelli induce un danno cellulare severo. Abbiamo identificato alcune mutazioni della regione NS5B nei pazienti con CHC ma, probabilmente per il piccolo campione incluso nello studio, tali mutazioni non erano significativamente più presenti nei pazienti con CHC rispetto al gruppo di controllo. L’obiettivo successivo sarà quello di utilizzare queste mutazioni per creare un modello in vitro, che permetta di confermare il loro impatto sulla replicazione del virus e la patogenesi della CHC. In conclusione, in pazienti trattati con i nuovi potenti farmaci antivirali durante la lista d’attesa per trapianto, che presentano alti livelli di HCV-RNA nell’espianto e con una ridotta risposta immunitaria innata, dovrebbe essere adottata un’altra strategia terapeutica dopo trapianto. Nei pazienti che sviluppano una epatite colestatica HCV correlata dopo trapianto di fegato, lo studio e l’utilizzo di mutazioni presenti nel genoma virale possono essere utili allo scopo di definire i meccanismi alla base di questa severa forma di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto di fegato.
Host and virological features of HCV infection in liver transplant setting
GAMBATO, MARTINA
2016
Abstract
La cirrosi epatica dovuta all’infezione dell’epatite C (HCV), associata o meno ad epatocarcinoma, è l’indicazione principale al trapianto di fegato. La ricorrenza dell’infezione nel fegato trapiantato è universale nei pazienti HCV positivi al momento del trapianto. Un terzo dei riceventi presenta un quadro cirrosi epatica nei 5 anni successivi al trapianto di fegato e una parte minore può sviluppare una forma severa di ricorrenza, associata ad una prognosi infausta, chiamata epatite colestasica fibrosante (CHC). Negli ultimi anni, l’utilizzo delle terapie antivirali senza interferone per il trattamento dell’epatite C ha segnato un traguardo importante dell’epatologia dei trapianti. Infatti l’efficacia e la sicurezza dei farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs) permette di trattare i pazienti con cirrosi HCV-correlata in lista d’attesa per trapianto e i pazienti trapiantati che hanno sviluppato una ricorrenza dell’infezione dopo trapianto. In questa tesi presentiamo due studi che includono pazienti affetti da epatite HCV nell’ambito del trapianto di fegato. Nel primo studio lo scopo è stato quello di determinare la persistenza del genoma virale (HCV-RNA) nel fegato espiantato di pazienti con cirrosi HCV-correlata, che avevano ricevuto un trattamento antivirale con DAAs, durante la lista d’attesa per trapianto di fegato. Abbiamo inoltre valutato il ruolo dell’immunità innata nella persistenza dell’HCV-RNA nel fegato espiantato dopo trattamento antivirale. Abbiamo dimostrato che, nonostante il trattamento, il genoma virale persisteva nel fegato espiantato della maggior parte dei pazienti. Tuttavia, la presenza di HCV-RNA non è risultata associata al fallimento del trattamento, ossia alla ricorrenza dell’infezione HCV dopo trapianto, tranne che nei pazienti in cui vi era una elevata quantità di genoma virale nel fegato espiantato. Interessante è stato vedere come in questi pazienti trattati con DAAs ci fosse una ridotta attivazione della via di segnalizzazione cellulare dell’interferone. Nel secondo studio sono stati indagati specifici meccanismi virologici coinvolti nella patogenesi dell’epatite colestasica C (CHC), la forma più severa di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto di fegato. L’evoluzione delle popolazioni virali che circolano normalmente in un unico individuo, chiamate quasispecie virali, e la presenza di specifiche mutazioni nella regione codificante per la polimerasi del virus (NS5B) sono state studiate utilizzando una tecnica molto sensibile e innovativa, quale il sequenziamento massivo di nuova generazione. Sono stati inclusi nello studio due gruppi di pazienti: pazienti che avevano sviluppato la CHC e pazienti che avevano presentato una forma lieve di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto, inclusi nel gruppo di controllo. Abbiamo visto che nei pazienti con CHC uno specifico ceppo virale dominava sugli altri, generando una quasispecie virale omogenea. In questi pazienti il virus aveva acquisito una maggiore “fitness”, confermato anche dal fatto che la sequenza maggioritaria presente prima del trapianto si manteneva anche dopo trapianto. Invece, nei pazienti con una ricorrenza lieve questo non avveniva, e la quasispecie virale appariva più disomogenea dopo trapianto. Nei pazienti con CHC, la presenza di specifiche mutazioni del gene NS5B potrebbero spiegare il comportamento del virus, che replicando ad alti livelli induce un danno cellulare severo. Abbiamo identificato alcune mutazioni della regione NS5B nei pazienti con CHC ma, probabilmente per il piccolo campione incluso nello studio, tali mutazioni non erano significativamente più presenti nei pazienti con CHC rispetto al gruppo di controllo. L’obiettivo successivo sarà quello di utilizzare queste mutazioni per creare un modello in vitro, che permetta di confermare il loro impatto sulla replicazione del virus e la patogenesi della CHC. In conclusione, in pazienti trattati con i nuovi potenti farmaci antivirali durante la lista d’attesa per trapianto, che presentano alti livelli di HCV-RNA nell’espianto e con una ridotta risposta immunitaria innata, dovrebbe essere adottata un’altra strategia terapeutica dopo trapianto. Nei pazienti che sviluppano una epatite colestatica HCV correlata dopo trapianto di fegato, lo studio e l’utilizzo di mutazioni presenti nel genoma virale possono essere utili allo scopo di definire i meccanismi alla base di questa severa forma di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto di fegato.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/92629
URN:NBN:IT:UNIPD-92629