Il presente lavoro consiste nell’edizione critica del Poema tartaro dell’abate libertino Giovan Battista Casti (1724-1803). Si tratta di una lunga narrazione in ottave che, secondo i dettami del genere eroicomico, offre una satira della corte di Caterina II di Russia, che l’autore aveva visitato tra il 1776 e il 1779 al seguito del corpo diplomatico absburgico. Il testo non approdò mai a una stampa autorizzata da Casti: l’alleanza firmata da Austria e Russia nel 1781 convinse l’imperatore Giuseppe II, presso cui l’abate si era collocato come poeta di corte, a proibire la pubblicazione del poema, che circolò a lungo manoscritto oppure in stampe incomplete e difettose. Un esame puntuale di questa tradizione ha condotto all’isolamento del codice che Casti fece redigere per la lettura imperiale del 1786 e all’acquisizione di 84 ottave assenti dalle stampe ottocentesche. All’edizione criticamente condotta di questi materiali segue un ampio commento, teso a illustrare i molteplici livelli di lettura del testo. Peculiarità del Tartaro, infatti, è la permeabilità tra XVIII e XIII secolo, tra Russia cateriniana e Impero mongolo: la vicenda, pur essendo ricca di allusioni alla politica e alla vita di corte sotto Caterina, è trasportata allegoricamente ai tempi di Gengis Khan, al fine di mostrare lo stato di perenne barbarie della società russa. Ritraendo Pietroburgo come la perduta Karakorum, e Caterina come una sovrana dispotica e “orientale”, Casti si poneva in contradditorio con Voltaire e con gli illuministi francesi, che nella Russia cateriniana avevano visto, al contrario, un punto di riferimento per l’Europa dei Lumi. Il nostro lavoro riporta, in appendice, l’indice dei travestimenti storici predisposto dall’autore, e utilizza questi materiali per un esame rigoroso degli obiettivi polemici del poema.
Giovan Battista Casti, "Il poema tartaro". Edizione critica e commento.
GASPARELLA, PAOLO
2013
Abstract
Il presente lavoro consiste nell’edizione critica del Poema tartaro dell’abate libertino Giovan Battista Casti (1724-1803). Si tratta di una lunga narrazione in ottave che, secondo i dettami del genere eroicomico, offre una satira della corte di Caterina II di Russia, che l’autore aveva visitato tra il 1776 e il 1779 al seguito del corpo diplomatico absburgico. Il testo non approdò mai a una stampa autorizzata da Casti: l’alleanza firmata da Austria e Russia nel 1781 convinse l’imperatore Giuseppe II, presso cui l’abate si era collocato come poeta di corte, a proibire la pubblicazione del poema, che circolò a lungo manoscritto oppure in stampe incomplete e difettose. Un esame puntuale di questa tradizione ha condotto all’isolamento del codice che Casti fece redigere per la lettura imperiale del 1786 e all’acquisizione di 84 ottave assenti dalle stampe ottocentesche. All’edizione criticamente condotta di questi materiali segue un ampio commento, teso a illustrare i molteplici livelli di lettura del testo. Peculiarità del Tartaro, infatti, è la permeabilità tra XVIII e XIII secolo, tra Russia cateriniana e Impero mongolo: la vicenda, pur essendo ricca di allusioni alla politica e alla vita di corte sotto Caterina, è trasportata allegoricamente ai tempi di Gengis Khan, al fine di mostrare lo stato di perenne barbarie della società russa. Ritraendo Pietroburgo come la perduta Karakorum, e Caterina come una sovrana dispotica e “orientale”, Casti si poneva in contradditorio con Voltaire e con gli illuministi francesi, che nella Russia cateriniana avevano visto, al contrario, un punto di riferimento per l’Europa dei Lumi. Il nostro lavoro riporta, in appendice, l’indice dei travestimenti storici predisposto dall’autore, e utilizza questi materiali per un esame rigoroso degli obiettivi polemici del poema.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/94437
URN:NBN:IT:UNIPD-94437