La tesi affronta il complesso e delicato tema della ripartizione dell’onere probatorio del nesso di causalità nella responsabilità civile del professionista sanitario. La ricerca si è mossa lungo due direttrici di indagine, tra loro funzionali. Anzitutto si sono illustrati i diversi approcci giurisprudenziali al tema in discussione, dedicando particolare attenzione all’orientamento fino ad oggi dominante (e condensato nella pronuncia delle sezioni unite n. 577/2008), cercando di porre in luce i profili di collisione con i principi generali in tema di responsabilità c.d. contrattuale. In secondo luogo si è avanzata una proposta ricostruttiva orientata ad ipotizzare una soluzione unitaria in tema di ripartizione dell’onere probatorio, idonea da un lato a superare le criticità evidenziate nelle risposte fornite dalla giurisprudenza prevalente e dall’altro a recuperare coerenza con il dato positivo oggi esistente, nonché con i principi generali di riparto dell’onere della prova. La struttura del lavoro si articola in tre parti. La prima, introduttiva, offre una ricognizione dello stato dell’arte in materia di responsabilità civile del medico, specie con riguardo alla natura, contrattuale, di tale responsabilità. In questo contesto si è dato conto della recente modifica legislativa introdotta con il cd. decreto Balduzzi, il cui richiamo espresso all’art. 2043 cod. civ. è stato interpretato dalla giurisprudenza prevalente come ininfluente sulla natura della responsabilità da ascrivere al medico, che quindi, ad oggi, sembra potersi ricondurre ancora al paradigma contrattuale. La seconda parte della tesi è dedicata all’analisi delle risposte che dottrina e giurisprudenza hanno offerto nel tempo allo specifico problema del riparto dell’onere probatorio del nesso di causalità tra danno lamentato dal paziente ed inadempimento del sanitario. In particolare, si sono raffrontati l’approccio tradizionale e quello consacrato dalle sezioni unite del 2008, secondo cui: «è sufficiente che il paziente alleghi un inadempimento qualificato, ovvero astrattamente idoneo alla produzione del danno». L’orientamento inaugurato dalle sezioni unite, e non ancora sconfessato (quantomeno da un’autorità giudiziaria di pari rango), è stato analizzato nel dettaglio: in particolare, ci si è interrogati intorno all’impatto di questo nuovo indirizzo giurisprudenziale rispetto alle regole ordinarie in tema di riparto probatorio. Individuato il fondamento nel principio di vicinanza della prova, ci si è chiesti poi come si collochi tale principio nel nostro ordinamento e quali ne siano i rapporti con il dato positivo. La terza parte della ricerca vorrebbe proporsi come ipotesi ricostruttiva. Anzitutto si è cercato di individuare la ragione dell’esistenza, sul tema, di un crocevia di soluzioni applicative tanto numerose quanto diverse tra loro. La causa è stata individuata nel particolare atteggiarsi della responsabilità da inadempimento al cospetto di un rapporto obbligatorio, quale quello di cura, che presenta tratti peculiari rispetto ai vincoli obbligatori tradizionalmente intesi. Tali caratteri si sono riscontrati: nell’oggetto, consistente nell’attività idonea a soddisfare non l’interesse ultimo del paziente (guarigione), bensì in un interesse per così dire intermedio (attività corretta) solo teleologicamente indirizzato a quello finale (il riferimento è alla tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzo e di risultato); nella peculiare struttura del danno, che in quanto molto simile, per certi versi, al danno aquiliano, ha indotto la giurisprudenza, e parte della dottrina, a mutuarne la distinzione tra causalità materiale e causalità giuridica, creando non pochi problemi di coordinamento con la particolare struttura del rapporto obbligatorio; infine, nel carattere ibrido del comportamento richiesto al debitore, consistente in un dovere «di prestazione» e/o «di protezione». Ed è proprio scorta dell’analisi di tali peculiari profili, delle rispettive «variabili», e del rapporto tra questi e il dato normativo esistente, che è parso possibile giungere alla formulazione di una risposta univoca, e idonea in via generale alla soluzione del problema relativo alla ripartizione dell’onere probatorio: il ripristino della regola che pone l’onere probatorio sul nesso di causalità in capo al paziente-creditore. L’indagine si è estesa a configurare anche la figura del danno da perdita di chance e l’ipotesi, prospettata da attenta dottrina, di una causalità c.d. «proporzionale», con l’avvertimento, però, che trattasi di istituti idonei ad influire esclusivamente sul quantum e non sull’an della prova della causalità, che rimane a carico del paziente. Si è dato infine atto della plausibile necessità di adattamenti o correttivi alla disciplina ricostruita, che siano idonei a soddisfare le avvertite esigenze di policy legate al particolare carattere degli interessi cui il rapporto medico-paziente è informato, nonché alla naturale asimmetria tra le rispettive posizioni delle parti. Tuttavia, sul presupposto della non praticabilità di un percorso giurisprudenziale orientato in tal senso, pena l’inevitabile forzatura del dato normativo, si è suggerita l’apertura di una prospettiva de iure condendo, prendendo a modello la sapiente riforma in tema di responsabilità sanitaria di recente attuata nell’ordinamento tedesco

L'onere della prova del nesso di causalità nella responsabilità medica

FACCIOTTI, SILVIA
2014

Abstract

La tesi affronta il complesso e delicato tema della ripartizione dell’onere probatorio del nesso di causalità nella responsabilità civile del professionista sanitario. La ricerca si è mossa lungo due direttrici di indagine, tra loro funzionali. Anzitutto si sono illustrati i diversi approcci giurisprudenziali al tema in discussione, dedicando particolare attenzione all’orientamento fino ad oggi dominante (e condensato nella pronuncia delle sezioni unite n. 577/2008), cercando di porre in luce i profili di collisione con i principi generali in tema di responsabilità c.d. contrattuale. In secondo luogo si è avanzata una proposta ricostruttiva orientata ad ipotizzare una soluzione unitaria in tema di ripartizione dell’onere probatorio, idonea da un lato a superare le criticità evidenziate nelle risposte fornite dalla giurisprudenza prevalente e dall’altro a recuperare coerenza con il dato positivo oggi esistente, nonché con i principi generali di riparto dell’onere della prova. La struttura del lavoro si articola in tre parti. La prima, introduttiva, offre una ricognizione dello stato dell’arte in materia di responsabilità civile del medico, specie con riguardo alla natura, contrattuale, di tale responsabilità. In questo contesto si è dato conto della recente modifica legislativa introdotta con il cd. decreto Balduzzi, il cui richiamo espresso all’art. 2043 cod. civ. è stato interpretato dalla giurisprudenza prevalente come ininfluente sulla natura della responsabilità da ascrivere al medico, che quindi, ad oggi, sembra potersi ricondurre ancora al paradigma contrattuale. La seconda parte della tesi è dedicata all’analisi delle risposte che dottrina e giurisprudenza hanno offerto nel tempo allo specifico problema del riparto dell’onere probatorio del nesso di causalità tra danno lamentato dal paziente ed inadempimento del sanitario. In particolare, si sono raffrontati l’approccio tradizionale e quello consacrato dalle sezioni unite del 2008, secondo cui: «è sufficiente che il paziente alleghi un inadempimento qualificato, ovvero astrattamente idoneo alla produzione del danno». L’orientamento inaugurato dalle sezioni unite, e non ancora sconfessato (quantomeno da un’autorità giudiziaria di pari rango), è stato analizzato nel dettaglio: in particolare, ci si è interrogati intorno all’impatto di questo nuovo indirizzo giurisprudenziale rispetto alle regole ordinarie in tema di riparto probatorio. Individuato il fondamento nel principio di vicinanza della prova, ci si è chiesti poi come si collochi tale principio nel nostro ordinamento e quali ne siano i rapporti con il dato positivo. La terza parte della ricerca vorrebbe proporsi come ipotesi ricostruttiva. Anzitutto si è cercato di individuare la ragione dell’esistenza, sul tema, di un crocevia di soluzioni applicative tanto numerose quanto diverse tra loro. La causa è stata individuata nel particolare atteggiarsi della responsabilità da inadempimento al cospetto di un rapporto obbligatorio, quale quello di cura, che presenta tratti peculiari rispetto ai vincoli obbligatori tradizionalmente intesi. Tali caratteri si sono riscontrati: nell’oggetto, consistente nell’attività idonea a soddisfare non l’interesse ultimo del paziente (guarigione), bensì in un interesse per così dire intermedio (attività corretta) solo teleologicamente indirizzato a quello finale (il riferimento è alla tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzo e di risultato); nella peculiare struttura del danno, che in quanto molto simile, per certi versi, al danno aquiliano, ha indotto la giurisprudenza, e parte della dottrina, a mutuarne la distinzione tra causalità materiale e causalità giuridica, creando non pochi problemi di coordinamento con la particolare struttura del rapporto obbligatorio; infine, nel carattere ibrido del comportamento richiesto al debitore, consistente in un dovere «di prestazione» e/o «di protezione». Ed è proprio scorta dell’analisi di tali peculiari profili, delle rispettive «variabili», e del rapporto tra questi e il dato normativo esistente, che è parso possibile giungere alla formulazione di una risposta univoca, e idonea in via generale alla soluzione del problema relativo alla ripartizione dell’onere probatorio: il ripristino della regola che pone l’onere probatorio sul nesso di causalità in capo al paziente-creditore. L’indagine si è estesa a configurare anche la figura del danno da perdita di chance e l’ipotesi, prospettata da attenta dottrina, di una causalità c.d. «proporzionale», con l’avvertimento, però, che trattasi di istituti idonei ad influire esclusivamente sul quantum e non sull’an della prova della causalità, che rimane a carico del paziente. Si è dato infine atto della plausibile necessità di adattamenti o correttivi alla disciplina ricostruita, che siano idonei a soddisfare le avvertite esigenze di policy legate al particolare carattere degli interessi cui il rapporto medico-paziente è informato, nonché alla naturale asimmetria tra le rispettive posizioni delle parti. Tuttavia, sul presupposto della non praticabilità di un percorso giurisprudenziale orientato in tal senso, pena l’inevitabile forzatura del dato normativo, si è suggerita l’apertura di una prospettiva de iure condendo, prendendo a modello la sapiente riforma in tema di responsabilità sanitaria di recente attuata nell’ordinamento tedesco
30-gen-2014
Italiano
responsabilità civile del medico / nesso di causalità / onere della prova / medical labilità / causation / burden of proof
MANTOVANI, MANUELA
MANTOVANI, MANUELA
Università degli studi di Padova
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/94924
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-94924