Tutto può essere fuori scala, nulla può esserlo. Il parametro di riferimento è tutto. Può, il fuori scala, avere la stessa valenza per tutti gli ambiti e gli osservatori, stante il parametro di riferimento come chiave di lettura? Può il fuori scala oggi, continuare a essere una modalità progettuale coerente? Questa ricerca nasce dal desiderio di fornire chiarezza in un ambito della composizione apparentemente limpido e cristallino, nelle sue implicazioni nel moderno-contemporaneo e nei suoi futuri sviluppi come strumento di sperimentazione. Ho tuttavia scritto non a caso, limpido e cristallino perché, pur essendo il fuori scala un metodo comune e costantemente usato nel corso dei secoli, in realtà risente molto, delle percezioni visive sia personali che di un definito gruppo umano, fosse anche un’intera cultura. Già nei primi stadi della ricerca mi sono infatti reso conto che, parlando di fuori scala in termini progettuali, si può trovare infinito materiale, soprattutto risalente agli ultimi cinquanta anni, ma pochissime sono le informazioni in comune e concordanti. A partire dalla sua definizione. Pur essendo un concetto di uso quotidiano, ne manca una qualunque lettura comunemente accettata e questo ne ha sostanzialmente fatto un contenitore di qualunque significato nel tutto e nel suo contrario. Tutti sappiamo per esperienza comparativa e sensoriale cosa sia un fuori scala. Più difficile è definirlo. La nostra Europea forma mentis è ben nutrita da secoli di rappresentazioni di ordini, di studi del contesto, di rapporto umano. Ciononostante abbiamo difficoltà nell’interpretare oggi quello che è sempre stato metodo di progetto sin dai tempi più antichi. Definire meglio gli ambiti di ricerca è stato quindi passo fondamentale per capire come il fuori scala sia nato e si sia sviluppato. Questo però non è stato e non può essere sufficiente proprio per l’indeterminatezza dovuta alla sua attuale percezione. Percezione che infatti, nei secoli e più rapidamente negli ultimi decenni, è cambiata rapidamente, passando da reazioni neutre o non-reazioni, a prese di posizione talvolta fortemente negative e critiche. E d’altronde bisogna constatare quanto il fuori scala non sia chiaramente solo un metodo progettuale, esso nasce da un concetto che, come abbiamo visto, è per noi occidentali comprensibile in maniera istintiva. E che, sotto diverse vesti, è tuttora argomento molto dibattuto, sia attraverso le teorizzazione della Bigness di Rem Koohlaas, sia attraverso il dibattito degli ultimi anni portato avanti, tra gli altri, da Vittorio Gregotti e che tende a considerare come non architettura “ciò che supera la misura”, raggiunge lo smisurato. Infine, chiedendosi se il fuori scala possa essere considerato un linguaggio della composizione architettonica indipendente. Può esistere un problema circa il “fuori scala”? Osservare l’evoluzione qualitativa della percezione di un concetto, di per sé neutrale, non può non porre ulteriori dubbi che possono essere fugati unicamente utilizzando strumenti più vicini al pensiero laterale . Quando infatti i parametri di selezione su cosa possa o debba essere il fuori scala in architettura oggi diventano parziali e non sufficienti nella loro schematicità, occorre trovare un nodo gordiano da tagliare. Di conseguenza, è stata messo in atto un confronto percettivo tra il nostro livello di consapevolezza dell’uso di tale concetto ai fini compositivi, e quella di una “dimensione altra” della percezione. Una dimensione il più possibile lontana dai nostri schemi mentali e che potesse fornirci i parametri di confronto semplicemente mancanti. Per la sua evoluzione così diversa da quella italiana ed europea, è stata scelta la cultura architettonica giapponese, doppiamente utile proprio perché parallela alla nostra ma con pochi punti di contatto, particolarmente fiorente nelle ultime decadi e figlia di filosofie, quelle shintoiste-buddiste molto diverse dai nostri schemi di pensiero, prevalentemente ispirati all’unione tra i modelli greco-latino e quello giudaico-cristiano. Tale confronto ha di fatto portato alla messa in definizione di strategie progettuali contemporanee, utili strumenti compositivi, direttamente parte della strategia più generale del fuori scala architettonico.
Il Fuori Scala tra Occidente e Oriente
SCARONI, FEDERICO
2009
Abstract
Tutto può essere fuori scala, nulla può esserlo. Il parametro di riferimento è tutto. Può, il fuori scala, avere la stessa valenza per tutti gli ambiti e gli osservatori, stante il parametro di riferimento come chiave di lettura? Può il fuori scala oggi, continuare a essere una modalità progettuale coerente? Questa ricerca nasce dal desiderio di fornire chiarezza in un ambito della composizione apparentemente limpido e cristallino, nelle sue implicazioni nel moderno-contemporaneo e nei suoi futuri sviluppi come strumento di sperimentazione. Ho tuttavia scritto non a caso, limpido e cristallino perché, pur essendo il fuori scala un metodo comune e costantemente usato nel corso dei secoli, in realtà risente molto, delle percezioni visive sia personali che di un definito gruppo umano, fosse anche un’intera cultura. Già nei primi stadi della ricerca mi sono infatti reso conto che, parlando di fuori scala in termini progettuali, si può trovare infinito materiale, soprattutto risalente agli ultimi cinquanta anni, ma pochissime sono le informazioni in comune e concordanti. A partire dalla sua definizione. Pur essendo un concetto di uso quotidiano, ne manca una qualunque lettura comunemente accettata e questo ne ha sostanzialmente fatto un contenitore di qualunque significato nel tutto e nel suo contrario. Tutti sappiamo per esperienza comparativa e sensoriale cosa sia un fuori scala. Più difficile è definirlo. La nostra Europea forma mentis è ben nutrita da secoli di rappresentazioni di ordini, di studi del contesto, di rapporto umano. Ciononostante abbiamo difficoltà nell’interpretare oggi quello che è sempre stato metodo di progetto sin dai tempi più antichi. Definire meglio gli ambiti di ricerca è stato quindi passo fondamentale per capire come il fuori scala sia nato e si sia sviluppato. Questo però non è stato e non può essere sufficiente proprio per l’indeterminatezza dovuta alla sua attuale percezione. Percezione che infatti, nei secoli e più rapidamente negli ultimi decenni, è cambiata rapidamente, passando da reazioni neutre o non-reazioni, a prese di posizione talvolta fortemente negative e critiche. E d’altronde bisogna constatare quanto il fuori scala non sia chiaramente solo un metodo progettuale, esso nasce da un concetto che, come abbiamo visto, è per noi occidentali comprensibile in maniera istintiva. E che, sotto diverse vesti, è tuttora argomento molto dibattuto, sia attraverso le teorizzazione della Bigness di Rem Koohlaas, sia attraverso il dibattito degli ultimi anni portato avanti, tra gli altri, da Vittorio Gregotti e che tende a considerare come non architettura “ciò che supera la misura”, raggiunge lo smisurato. Infine, chiedendosi se il fuori scala possa essere considerato un linguaggio della composizione architettonica indipendente. Può esistere un problema circa il “fuori scala”? Osservare l’evoluzione qualitativa della percezione di un concetto, di per sé neutrale, non può non porre ulteriori dubbi che possono essere fugati unicamente utilizzando strumenti più vicini al pensiero laterale . Quando infatti i parametri di selezione su cosa possa o debba essere il fuori scala in architettura oggi diventano parziali e non sufficienti nella loro schematicità, occorre trovare un nodo gordiano da tagliare. Di conseguenza, è stata messo in atto un confronto percettivo tra il nostro livello di consapevolezza dell’uso di tale concetto ai fini compositivi, e quella di una “dimensione altra” della percezione. Una dimensione il più possibile lontana dai nostri schemi mentali e che potesse fornirci i parametri di confronto semplicemente mancanti. Per la sua evoluzione così diversa da quella italiana ed europea, è stata scelta la cultura architettonica giapponese, doppiamente utile proprio perché parallela alla nostra ma con pochi punti di contatto, particolarmente fiorente nelle ultime decadi e figlia di filosofie, quelle shintoiste-buddiste molto diverse dai nostri schemi di pensiero, prevalentemente ispirati all’unione tra i modelli greco-latino e quello giudaico-cristiano. Tale confronto ha di fatto portato alla messa in definizione di strategie progettuali contemporanee, utili strumenti compositivi, direttamente parte della strategia più generale del fuori scala architettonico.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/95774
URN:NBN:IT:UNIROMA1-95774