Il presente lavoro può essere inserito nel trentennale dibattito filosofico sulla globalizzazione sorto in seguito alla dissoluzione dell’URSS. Nel solco di diversi studi pubblicati negli ultimi anni, primo fra i quali Border as Method di Sandro Mezzadra e Brett Neilson, la tesi che si è cercato di sviluppare è che il processo di globalizzazione, avviato con la scoperta delle Americhe e giunto a una decisiva accelerazione con la caduta del Muro di Berlino, non abbia coinciso con un’eliminazione dei limiti quanto, piuttosto, con la loro proliferazione e moltiplicazione, in una parola, con la loro disseminazione. Con i processi globali, i confini sarebbero diventati virtuali, estendendosi su ogni luogo e trasformandolo in un limite in potenza, ossia o nella sede di un attraversamento (autostrade, strade a scorrimento veloce, aeroporti, ferrovie ad alta velocità) o nella sede di un confinamento (Centri di Identificazione ed Espulsione, zone d’attesa, aree turistiche, sobborghi). In tal modo, i luoghi assumerebbero in ogni loro porzione le stesse caratteristiche dei non-luoghi descritti da Marc Augé, decretando una topografia nella quale è impossibile distinguere la realtà della circolazione, del transito e della dislocazione, da quella della sosta, della stanzialità e della localizzazione. Rispetto alla ricerca di Mezzadra e Neilson, tuttavia, la tesi è stata sviluppata in una prospettiva eminentemente filosofica, attraverso una ricostruzione genealogica della nozione di limite: la storia della filosofia occidentale, nelle sue molteplici e particolari traiettorie, può essere considerata alla luce del complesso rapporto che ha intrattenuto con la questione del limite. Espressioni quali filosofia del limite, concetto limite, situazione limite sono tutt'altro che estranee al lessico filosofico: la determinazione dell'essere rispetto al nulla, delle strutture fondamentali dell'essere umano nel confronto con la sua finitezza, delle categorie logiche e della loro efficacia sul reale, del rapporto tra teoria e prassi, del dominio della conoscenza e dell'esperienza, ha spesso coinciso con un'operazione topologica di separazione e articolazione, spartizione e localizzazione, conseguita nei termini di “dentro” e “fuori”, “interno” ed “esterno”, “inclusione” ed “esclusione”. Ciò nonostante, sembra mancare una trattazione filosofica del limite in quanto tale, in qualità di concetto. Al suo posto, si affermerebbe ovunque una trattazione scientifica del limite, ovvero una trattazione del limite come funtivo, come elemento di una funzione o di una proposizione all'interno di un sistema discorsivo, orientata unicamente alla sua attualizzazione, in altre parole come un dispositivo. A tal riguardo, è possibile constatare l'utilizzo di due diverse modalità del limite: il limite statico e il limite dinamico. Se il limite statico (rappresentabile nella forma o/o) può essere considerato come il segno di una radicale incapacità di raggiungere il “fuori”, intendendo quest'ultimo negativamente rispetto al “dentro”, attraverso una privazione, come il “non-dentro” in cui si perde ogni determinazione, diversamente, il limite dinamico o dialettico (rappresentabile nella forma non-più/non-ancora) si arrischia nel tentativo di cogliere il “non-dentro” all'interno di un continuum temporale, negando e trasgredendo le condizioni della sua esteriorità. Nel primo caso, il limite si configura come l'impensata e intransitabile linea del non, il punto zero che distingue e congiunge, opponendoli, “dentro” e “fuori”; nel secondo caso, come lo iato ineliminabile, lo spazio indefinito e vuoto, l'intervallo sospeso e inafferrabile della doppia negazione in cui la transitorietà diventa permanente, come il non luogo che si apre tra il non-più del “dentro” e il non-ancora del “fuori”. A partire da questa analisi, si intende avviare un ripensamento concettuale della nozione di limite muovendo da quella sorta di ossessione per i limiti e i confini che ha animato la mentalità italica e, precipuamente, latina. Ci si concentrerà sull’etimologia incerta della parola limes sottolineandone la derivazione dalla limitatio, una pratica giuridico-sacrale di provenienza etrusca, nonché sulla sua parentela con le espressioni finis e terminus. Da queste delucidazioni terminologiche, si procederà con l’approfondimento del culto del dio Terminus e delle feste a lui dedicate, i Terminalia, per soffermarsi sull’esame della leggenda della fondazione di Roma e dell’uccisione di Remo, mettendola in tensione, da un lato, con la sacratio e, dall’altro, con il bellum civile. Nel fare ciò, la bifrontalità della figura del limite presso i romani si verrà a esplicare attraverso il particolare rapporto tra la sanctitas a cui sono sottoposte le mura e lo ius proprio delle porte, che viene a manifestarsi nella funzione della serratura e alla porosità che le compete. Solo alla luce di questo chiarimento del significato dei termini limes, finis e terminus si prenderà in considerazione il processo che, tra il Medioevo e l’epoca Moderna, li ha portati ad assumere un significato sempre più astratto, culminato nel criticismo di Immanuel Kant. È solo con la piena modernità, infatti, che il limite assume la centralità che le è propria all’interno dell’autocomprensione dell’esperienza occidentale del mondo, rivelandosi in qualità di principale operatore del dispositivo topologico, da un lato, attraverso la ragione cartografica che presiederà alla spartizione del globo e alla costituzione degli Stati-nazione; dall’altro, con il criticismo e la sua eredità. Ci si concentrerà, in particolare, su tre diverse tematizzazioni del limite, nella convinzione che il loro studio possa restituire la complessità teoretica del dispositivo topologico: quella indicata da Immanuel Kant; quella sviluppata dall’idealismo di G.W. Friedrich Hegel, successivamente recuperata da Karl Marx nel concetto di mercato mondiale; infine, quella proposta dall’esistenzialismo di Karl Jaspers e che ha avuto un’influenza decisiva sull’ontologia fondamentale di Martin Heidegger. La paziente ricostruzione delle modalità del limite in quanto dispositivo topologico che agisce attraverso la produzione (analitica e dialettica) di un vuoto di determinazioni, apre la strada alla possibilità di un ripensamento e di una riconcettualizzazione, in vista delle quali sarà opportuno individuare delle strategie alternative alla violazione o, meglio, alla trasgressione di origine remoriana. In particolare, ci si concentrerà sulla nozione di soglia o limen, irriducibile a quella di limite e che sembra venirsi a configurare come una sospensione della limitazione. La strategia che si viene gradualmente ad affermare è quella dell’“assalto al limite”, tratteggiata da Franz Kafka nei suoi diari e nelle sue opere, rielaborazione di uno slancio filosofico e poetico debitore della riflessione di Friedrich Hölderlin, prima, e della scrittura di Robert Walser, poi. Per comprendere, approfondire e sviluppare questa particolare strategia si procederà con lo studio dell’interpretazione offerta, rispettivamente, da Walter Benjamin e Gilles Deleuze, per i quali il concetto di soglia (Schwelle; seuil) acquista esplicitamente un ruolo decisivo. A partire dalle influenze kantiane, platoniche, hölderliniane e kafkiane, presenti nei due autori, la soglia, né dentro né fuori, sembrerebbe essere ancora una volta ciò che risulta, ciò che resta, dall’interruzione della funzione del limite: una zona sia dentro sia fuori, una sorta di illimite spaziale e materiale capace di suggerire una diversa concezione dell’infinito – non dissimile da quella proposta da Giordano Bruno – e una diversa teoria dello spazio. In questo senso, restituire il limite alla filosofia, costruire le condizioni che ne rendano possibile una conoscenza e un'esperienza che non si riduca semplicemente alla sua attualizzazione, significa trasformare il limes in limen, in soglia, situandosi ai margini, alla periferia, revocando la tradizionale separazione e articolazione tra “interno” ed “esterno”. Né “dentro” né “fuori”, la soglia si afferma così come un tertium datur, come una zona di passaggio o di fuga, come una zona di indiscernibilità, transitoria e transitabile, in cui i due elementi, incontrandosi, si de-identificano e si neutralizzano reciprocamente, scoprendosi già sempre coinvolti in un movimento comune, in un divenire-altro, in un campo di instabili tensioni vettoriali e di vibrazioni oscillatorie. In questione è la particolare esperienza dell'esteriorità pura, dell'esser-dentro un fuori, sia dentro sia fuori, che, similmente all'anello di Möbious, nell'iridarsi dei limiti, rivela instancabilmente in ogni superficie interna una superficie esterna e viceversa. Non si tratta di un intervallo indeterminato ma di uno spazio di migrazione concettuale e di tessitura di affetti, linee, concetti, singolarità, flussi, rizomi, vibrazioni. Di un varco capace di indicare un altro modo di abitare.

Attraversare il limite. Per un pensiero della soglia

LUZI, Flavio
2022

Abstract

Il presente lavoro può essere inserito nel trentennale dibattito filosofico sulla globalizzazione sorto in seguito alla dissoluzione dell’URSS. Nel solco di diversi studi pubblicati negli ultimi anni, primo fra i quali Border as Method di Sandro Mezzadra e Brett Neilson, la tesi che si è cercato di sviluppare è che il processo di globalizzazione, avviato con la scoperta delle Americhe e giunto a una decisiva accelerazione con la caduta del Muro di Berlino, non abbia coinciso con un’eliminazione dei limiti quanto, piuttosto, con la loro proliferazione e moltiplicazione, in una parola, con la loro disseminazione. Con i processi globali, i confini sarebbero diventati virtuali, estendendosi su ogni luogo e trasformandolo in un limite in potenza, ossia o nella sede di un attraversamento (autostrade, strade a scorrimento veloce, aeroporti, ferrovie ad alta velocità) o nella sede di un confinamento (Centri di Identificazione ed Espulsione, zone d’attesa, aree turistiche, sobborghi). In tal modo, i luoghi assumerebbero in ogni loro porzione le stesse caratteristiche dei non-luoghi descritti da Marc Augé, decretando una topografia nella quale è impossibile distinguere la realtà della circolazione, del transito e della dislocazione, da quella della sosta, della stanzialità e della localizzazione. Rispetto alla ricerca di Mezzadra e Neilson, tuttavia, la tesi è stata sviluppata in una prospettiva eminentemente filosofica, attraverso una ricostruzione genealogica della nozione di limite: la storia della filosofia occidentale, nelle sue molteplici e particolari traiettorie, può essere considerata alla luce del complesso rapporto che ha intrattenuto con la questione del limite. Espressioni quali filosofia del limite, concetto limite, situazione limite sono tutt'altro che estranee al lessico filosofico: la determinazione dell'essere rispetto al nulla, delle strutture fondamentali dell'essere umano nel confronto con la sua finitezza, delle categorie logiche e della loro efficacia sul reale, del rapporto tra teoria e prassi, del dominio della conoscenza e dell'esperienza, ha spesso coinciso con un'operazione topologica di separazione e articolazione, spartizione e localizzazione, conseguita nei termini di “dentro” e “fuori”, “interno” ed “esterno”, “inclusione” ed “esclusione”. Ciò nonostante, sembra mancare una trattazione filosofica del limite in quanto tale, in qualità di concetto. Al suo posto, si affermerebbe ovunque una trattazione scientifica del limite, ovvero una trattazione del limite come funtivo, come elemento di una funzione o di una proposizione all'interno di un sistema discorsivo, orientata unicamente alla sua attualizzazione, in altre parole come un dispositivo. A tal riguardo, è possibile constatare l'utilizzo di due diverse modalità del limite: il limite statico e il limite dinamico. Se il limite statico (rappresentabile nella forma o/o) può essere considerato come il segno di una radicale incapacità di raggiungere il “fuori”, intendendo quest'ultimo negativamente rispetto al “dentro”, attraverso una privazione, come il “non-dentro” in cui si perde ogni determinazione, diversamente, il limite dinamico o dialettico (rappresentabile nella forma non-più/non-ancora) si arrischia nel tentativo di cogliere il “non-dentro” all'interno di un continuum temporale, negando e trasgredendo le condizioni della sua esteriorità. Nel primo caso, il limite si configura come l'impensata e intransitabile linea del non, il punto zero che distingue e congiunge, opponendoli, “dentro” e “fuori”; nel secondo caso, come lo iato ineliminabile, lo spazio indefinito e vuoto, l'intervallo sospeso e inafferrabile della doppia negazione in cui la transitorietà diventa permanente, come il non luogo che si apre tra il non-più del “dentro” e il non-ancora del “fuori”. A partire da questa analisi, si intende avviare un ripensamento concettuale della nozione di limite muovendo da quella sorta di ossessione per i limiti e i confini che ha animato la mentalità italica e, precipuamente, latina. Ci si concentrerà sull’etimologia incerta della parola limes sottolineandone la derivazione dalla limitatio, una pratica giuridico-sacrale di provenienza etrusca, nonché sulla sua parentela con le espressioni finis e terminus. Da queste delucidazioni terminologiche, si procederà con l’approfondimento del culto del dio Terminus e delle feste a lui dedicate, i Terminalia, per soffermarsi sull’esame della leggenda della fondazione di Roma e dell’uccisione di Remo, mettendola in tensione, da un lato, con la sacratio e, dall’altro, con il bellum civile. Nel fare ciò, la bifrontalità della figura del limite presso i romani si verrà a esplicare attraverso il particolare rapporto tra la sanctitas a cui sono sottoposte le mura e lo ius proprio delle porte, che viene a manifestarsi nella funzione della serratura e alla porosità che le compete. Solo alla luce di questo chiarimento del significato dei termini limes, finis e terminus si prenderà in considerazione il processo che, tra il Medioevo e l’epoca Moderna, li ha portati ad assumere un significato sempre più astratto, culminato nel criticismo di Immanuel Kant. È solo con la piena modernità, infatti, che il limite assume la centralità che le è propria all’interno dell’autocomprensione dell’esperienza occidentale del mondo, rivelandosi in qualità di principale operatore del dispositivo topologico, da un lato, attraverso la ragione cartografica che presiederà alla spartizione del globo e alla costituzione degli Stati-nazione; dall’altro, con il criticismo e la sua eredità. Ci si concentrerà, in particolare, su tre diverse tematizzazioni del limite, nella convinzione che il loro studio possa restituire la complessità teoretica del dispositivo topologico: quella indicata da Immanuel Kant; quella sviluppata dall’idealismo di G.W. Friedrich Hegel, successivamente recuperata da Karl Marx nel concetto di mercato mondiale; infine, quella proposta dall’esistenzialismo di Karl Jaspers e che ha avuto un’influenza decisiva sull’ontologia fondamentale di Martin Heidegger. La paziente ricostruzione delle modalità del limite in quanto dispositivo topologico che agisce attraverso la produzione (analitica e dialettica) di un vuoto di determinazioni, apre la strada alla possibilità di un ripensamento e di una riconcettualizzazione, in vista delle quali sarà opportuno individuare delle strategie alternative alla violazione o, meglio, alla trasgressione di origine remoriana. In particolare, ci si concentrerà sulla nozione di soglia o limen, irriducibile a quella di limite e che sembra venirsi a configurare come una sospensione della limitazione. La strategia che si viene gradualmente ad affermare è quella dell’“assalto al limite”, tratteggiata da Franz Kafka nei suoi diari e nelle sue opere, rielaborazione di uno slancio filosofico e poetico debitore della riflessione di Friedrich Hölderlin, prima, e della scrittura di Robert Walser, poi. Per comprendere, approfondire e sviluppare questa particolare strategia si procederà con lo studio dell’interpretazione offerta, rispettivamente, da Walter Benjamin e Gilles Deleuze, per i quali il concetto di soglia (Schwelle; seuil) acquista esplicitamente un ruolo decisivo. A partire dalle influenze kantiane, platoniche, hölderliniane e kafkiane, presenti nei due autori, la soglia, né dentro né fuori, sembrerebbe essere ancora una volta ciò che risulta, ciò che resta, dall’interruzione della funzione del limite: una zona sia dentro sia fuori, una sorta di illimite spaziale e materiale capace di suggerire una diversa concezione dell’infinito – non dissimile da quella proposta da Giordano Bruno – e una diversa teoria dello spazio. In questo senso, restituire il limite alla filosofia, costruire le condizioni che ne rendano possibile una conoscenza e un'esperienza che non si riduca semplicemente alla sua attualizzazione, significa trasformare il limes in limen, in soglia, situandosi ai margini, alla periferia, revocando la tradizionale separazione e articolazione tra “interno” ed “esterno”. Né “dentro” né “fuori”, la soglia si afferma così come un tertium datur, come una zona di passaggio o di fuga, come una zona di indiscernibilità, transitoria e transitabile, in cui i due elementi, incontrandosi, si de-identificano e si neutralizzano reciprocamente, scoprendosi già sempre coinvolti in un movimento comune, in un divenire-altro, in un campo di instabili tensioni vettoriali e di vibrazioni oscillatorie. In questione è la particolare esperienza dell'esteriorità pura, dell'esser-dentro un fuori, sia dentro sia fuori, che, similmente all'anello di Möbious, nell'iridarsi dei limiti, rivela instancabilmente in ogni superficie interna una superficie esterna e viceversa. Non si tratta di un intervallo indeterminato ma di uno spazio di migrazione concettuale e di tessitura di affetti, linee, concetti, singolarità, flussi, rizomi, vibrazioni. Di un varco capace di indicare un altro modo di abitare.
17-mag-2022
Italiano
Soglia; limite; globalizzazione; archeologia filosofica; metafisica critica; Michel Foucault; Gilles Deleuze; Walter Benjamin; Giorgio Agamben
DI CESARE, Donatella
STIMILLI, ELETTRA
DE PALO, MARINA
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIROMA1-96713