Negli ultimi cinquant’anni le proteine del latte sono state oggetto di ricerca approfondita, date le loro caratteristiche e l’importanza ad esse attribuita per quanto riguarda qualità e capacità di coagulazione del latte. L’interesse creatosi ha reso possibile il raggiungimento di diversi risultati di grande rilevanza scientifica, come l’identificazione di polimorfismi a livello di queste molecole e di differenze anche piuttosto accentuate tra diverse specie e razze bovine. Gli studi che hanno considerato gli effetti dei polimorfismi proteici sulle caratteristiche e proprietà del latte hanno trovato ampio spazio in Italia, già a partire dai primi anni ’70, dove gran parte del latte viene usato nell’industria lattiero-casearia e dove è fondamentale l’ottimizzazione della produzione di prodotti trasformati e prodotti tipici, tra i quali figurano anche i Prodotti a Denominazione di Origine Protetta. In zootecnia la rilevanza di tali argomenti e la possibilità di migliorare considerevolmente il latte e il suo processo di trasformazione hanno portato un profondo cambiamento per quanto riguarda gli obiettivi e le strategie di selezione e miglioramento genetico degli animali da reddito; nel corso degli ultimi anni molte aziende del settore si sono concentrate su animali altamente produttivi in termini di quantità di latte prodotto, ma tale management ha portato purtroppo ad un netto peggioramento della salute e delle caratteristiche funzionali degli animali, quali la fitness, la rusticità, la longevità e la fertilità, oltre alla perdita di preziosa variabilità genetica. Oggi la situazione è diversa, in quanto si è cercato di trovare un compromesso accettabile tra produttività degli allevamenti e qualità di prodotto, investendo economicamente nella valorizzazione di prodotti tipici e tutelando razze meno produttive, ma fondamentali per esempio nel contesto rurale, ampiamente diffuso in Italia, proprio per le loro caratteristiche di adattabilità e rusticità, oltre ad essere utili per la salvaguarda del territorio e della tradizione; oppure utilizzando gli schemi di incrocio tra razze, che riescono a garantire ottime performance degli animali, mantenendo le caratteristiche di razza e contemporaneamente sfruttano alcuni effetti di grande utilità, come l’ eterosi. Alla luce di tali cambiamenti, e data ancora la scarsità di informazioni presente in letteratura, è auspicabile poter continuare ad acquisire preziose informazioni sugli effetti di alcune fonti di variazione sulla componente proteica del latte. Obiettivi della tesi sono stati: sviluppare e validare un nuovo metodo HPLC in fase inversa atto a identificare e quantificare le frazioni proteiche più comuni del latte bovino; studiare gli effetti di alcune fonti di variazioni sulle frazioni proteiche individuate con tale metodica di latte bovino individuale proveniente da allevamenti che si servissero degli schemi di incrocio al loro interno; studiare gli effetti di alcune fonti di variazione sulle frazioni proteiche di latte bovino individuale proveniente da allevamenti montani multi-razza. Un nuovo metodo di analisi HPLC in fase inversa è stato sviluppato e validato per consentire l’identificazione e la contemporanea quantificazione delle più comuni frazioni proteiche, comprese le loro varianti genetiche, presenti nel latte bovino, oltre a componenti minori poco conosciute ma di grande interesse, come la lattoferrina. Tale nuova metodica è stata sottoposta a test di linearità e ripetibilità. Per l’identificazione delle varianti è stato utilizzato latte proveniente da animali precedentemente genotipizzati, in modo da riconoscere i picchi a livello cromatografico ed associarli al corretto genotipo della data proteina presa in esame. E’ risultato possibile ottenere le calibrazioni corrette con un coefficiente di determinazione superiore a 0.99 per tutte le singole varianti genetiche delle frazioni proteiche, sebbene non fossero disponibili standard commerciali per varianti singole. Tale metodo è stato poi applicato per l’analisi di latte individuale proveniente da allevamenti del nord Italia che utilizzavano lo schema di incrocio di prima e seconda generazione tra razza pura Holstein e tre differenti semi di tori del nord Europa e dell’arco Alpino, quali razza Montbèliarde, Brown Swiss e Rossa Svedese. Dalla prova è emerso che le frazioni proteiche del latte sono influenzate da alcune fonti di variazione come lo stadio di lattazione e l’ordine di parto; la razza in vece influenza in particolar modo κ-CN, α-La e β-Lg, frazioni proteiche tra loro intimamente associate. Tra gli schemi di incrocio, hanno presentato un’alta significatività le combinazioni con la razza Bruna e la Montbeliarde, la cui selezione o la presenza naturale rispettivamente dell’ allele B della κ-CN è di grande interesse per l’industria di trasformazione poichè porta ad un latte di qualità maggiore, dato il contenuto più alto di caseina totale. Tale metodo è stato in ultimo applicato per l’analisi di latte individuale proveniente da aziende che allevassero contemporaneamente almeno due delle sei razze scelte per la prova, tra specializzate e a duplice attitudine, cioè razza Holstein-Friesian, Brown Swiss, Jersey e Grigia Alpina, Pezzata Rossa e Rendena rispettivamente. Nella prova sono state considerate anche quattro diverse tipologie aziendali, cioè l’allevamento di tipo moderno, di tipo tradizionale con l’utilizzo di insilati, di tipo tradizionale senza la malga estiva, di tipo tradizionale originale. Anche in questo caso stadio di lattazione ed ordine di parto hanno influito notevolmente sulle frazioni proteiche oggetto di studio; tra razze, la Jersey si è distinta notevolmente dalle altre, proprio perché caratterizzata naturalmente da un latte di contenuto proteico notevolmente alto. Nella razza Grigia è stata inoltre identificata tramite cromatografia un’ulteriore probabile variante della κ-CN, anche se sarà necessario raccogliere maggiori informazioni servendosi anche di tecniche complementari o accoppiate all’HPLC. La tipologia aziendale di tipo tradizionale con uso di insilati è risultata essere la strategia migliore, dato il contenuto proteico molto alto riscontrato nel latte, anche se è risultata la strategia con anche il più alto numero di cellule somatiche; l’allevamento moderno inaspettatamente non ha dato le performances migliori, mentre l’allevamento tradizionale senza uso della malga è risultato il peggiore per quanto riguarda la componente proteica del latte.
ANALYSIS OF MILK PROTEIN COMPOSITION IN CROSSBRED AND PUREBRED DAIRY COWS
MAURMAYR, ALICE
2014
Abstract
Negli ultimi cinquant’anni le proteine del latte sono state oggetto di ricerca approfondita, date le loro caratteristiche e l’importanza ad esse attribuita per quanto riguarda qualità e capacità di coagulazione del latte. L’interesse creatosi ha reso possibile il raggiungimento di diversi risultati di grande rilevanza scientifica, come l’identificazione di polimorfismi a livello di queste molecole e di differenze anche piuttosto accentuate tra diverse specie e razze bovine. Gli studi che hanno considerato gli effetti dei polimorfismi proteici sulle caratteristiche e proprietà del latte hanno trovato ampio spazio in Italia, già a partire dai primi anni ’70, dove gran parte del latte viene usato nell’industria lattiero-casearia e dove è fondamentale l’ottimizzazione della produzione di prodotti trasformati e prodotti tipici, tra i quali figurano anche i Prodotti a Denominazione di Origine Protetta. In zootecnia la rilevanza di tali argomenti e la possibilità di migliorare considerevolmente il latte e il suo processo di trasformazione hanno portato un profondo cambiamento per quanto riguarda gli obiettivi e le strategie di selezione e miglioramento genetico degli animali da reddito; nel corso degli ultimi anni molte aziende del settore si sono concentrate su animali altamente produttivi in termini di quantità di latte prodotto, ma tale management ha portato purtroppo ad un netto peggioramento della salute e delle caratteristiche funzionali degli animali, quali la fitness, la rusticità, la longevità e la fertilità, oltre alla perdita di preziosa variabilità genetica. Oggi la situazione è diversa, in quanto si è cercato di trovare un compromesso accettabile tra produttività degli allevamenti e qualità di prodotto, investendo economicamente nella valorizzazione di prodotti tipici e tutelando razze meno produttive, ma fondamentali per esempio nel contesto rurale, ampiamente diffuso in Italia, proprio per le loro caratteristiche di adattabilità e rusticità, oltre ad essere utili per la salvaguarda del territorio e della tradizione; oppure utilizzando gli schemi di incrocio tra razze, che riescono a garantire ottime performance degli animali, mantenendo le caratteristiche di razza e contemporaneamente sfruttano alcuni effetti di grande utilità, come l’ eterosi. Alla luce di tali cambiamenti, e data ancora la scarsità di informazioni presente in letteratura, è auspicabile poter continuare ad acquisire preziose informazioni sugli effetti di alcune fonti di variazione sulla componente proteica del latte. Obiettivi della tesi sono stati: sviluppare e validare un nuovo metodo HPLC in fase inversa atto a identificare e quantificare le frazioni proteiche più comuni del latte bovino; studiare gli effetti di alcune fonti di variazioni sulle frazioni proteiche individuate con tale metodica di latte bovino individuale proveniente da allevamenti che si servissero degli schemi di incrocio al loro interno; studiare gli effetti di alcune fonti di variazione sulle frazioni proteiche di latte bovino individuale proveniente da allevamenti montani multi-razza. Un nuovo metodo di analisi HPLC in fase inversa è stato sviluppato e validato per consentire l’identificazione e la contemporanea quantificazione delle più comuni frazioni proteiche, comprese le loro varianti genetiche, presenti nel latte bovino, oltre a componenti minori poco conosciute ma di grande interesse, come la lattoferrina. Tale nuova metodica è stata sottoposta a test di linearità e ripetibilità. Per l’identificazione delle varianti è stato utilizzato latte proveniente da animali precedentemente genotipizzati, in modo da riconoscere i picchi a livello cromatografico ed associarli al corretto genotipo della data proteina presa in esame. E’ risultato possibile ottenere le calibrazioni corrette con un coefficiente di determinazione superiore a 0.99 per tutte le singole varianti genetiche delle frazioni proteiche, sebbene non fossero disponibili standard commerciali per varianti singole. Tale metodo è stato poi applicato per l’analisi di latte individuale proveniente da allevamenti del nord Italia che utilizzavano lo schema di incrocio di prima e seconda generazione tra razza pura Holstein e tre differenti semi di tori del nord Europa e dell’arco Alpino, quali razza Montbèliarde, Brown Swiss e Rossa Svedese. Dalla prova è emerso che le frazioni proteiche del latte sono influenzate da alcune fonti di variazione come lo stadio di lattazione e l’ordine di parto; la razza in vece influenza in particolar modo κ-CN, α-La e β-Lg, frazioni proteiche tra loro intimamente associate. Tra gli schemi di incrocio, hanno presentato un’alta significatività le combinazioni con la razza Bruna e la Montbeliarde, la cui selezione o la presenza naturale rispettivamente dell’ allele B della κ-CN è di grande interesse per l’industria di trasformazione poichè porta ad un latte di qualità maggiore, dato il contenuto più alto di caseina totale. Tale metodo è stato in ultimo applicato per l’analisi di latte individuale proveniente da aziende che allevassero contemporaneamente almeno due delle sei razze scelte per la prova, tra specializzate e a duplice attitudine, cioè razza Holstein-Friesian, Brown Swiss, Jersey e Grigia Alpina, Pezzata Rossa e Rendena rispettivamente. Nella prova sono state considerate anche quattro diverse tipologie aziendali, cioè l’allevamento di tipo moderno, di tipo tradizionale con l’utilizzo di insilati, di tipo tradizionale senza la malga estiva, di tipo tradizionale originale. Anche in questo caso stadio di lattazione ed ordine di parto hanno influito notevolmente sulle frazioni proteiche oggetto di studio; tra razze, la Jersey si è distinta notevolmente dalle altre, proprio perché caratterizzata naturalmente da un latte di contenuto proteico notevolmente alto. Nella razza Grigia è stata inoltre identificata tramite cromatografia un’ulteriore probabile variante della κ-CN, anche se sarà necessario raccogliere maggiori informazioni servendosi anche di tecniche complementari o accoppiate all’HPLC. La tipologia aziendale di tipo tradizionale con uso di insilati è risultata essere la strategia migliore, dato il contenuto proteico molto alto riscontrato nel latte, anche se è risultata la strategia con anche il più alto numero di cellule somatiche; l’allevamento moderno inaspettatamente non ha dato le performances migliori, mentre l’allevamento tradizionale senza uso della malga è risultato il peggiore per quanto riguarda la componente proteica del latte.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/97305
URN:NBN:IT:UNIPD-97305