A differenza delle altre opere di Italo Calvino, di cui ci rimangono bozze manoscritte e dattiloscritte, il manoscritto di Se in una notte d'inverno un viaggiatore è andato perduto. Il dattiloscritto è dunque, ad oggi, l'unico documento che ci permette di conoscere e ricostruire le diverse tappe della scrittura dell'iper-romanzo calviniano. La tesi analizza appunto questo inedito, per stabilire i tempi e le modalità attraverso cui Calvino elabora e dà vita al suo capolavoro. Al di là delle questioni cronologiche, l’analisi filologica del documento mira a spiegare le ragioni sottese ai molti interventi autoriali sul testo (cancellazioni, aggiunte e modifiche). Se le varianti d’autore riguardano più spesso il piano stilistico – e mettono in luce, per inciso, un inesausto labor limae votato ai principi della rapidità e dell’esattezza – altre volte vanno a toccare quegli snodi testuali luogo di riflessioni teoriche cruciali. È il caso, ad esempio, di un ampio passaggio espunto dal capitolo VIII, all’interno del quale Silas Flannery (alias Italo Calvino) si interroga sulla possibile sostituzione della figura autoriale con un computer: il passo espunto dimostra come, in un dato momento della stesura del testo, il “tema cibernetico” prendesse parte ai vertiginosi interrogativi sulla natura della fabulazione e sul ruolo dell'autore nella creazione dell’opera letteraria. Nel complesso, la tesi individua una serie di progetti e ragionamenti che rappresentano, a vario titolo, dei diretti antecedenti del Viaggiatore: dalla (mancata) rivista progettata da Calvino, Guido Neri e Gianni Celati sul finire degli anni '60, alle riunioni dell'OuLiPo, i cui verbali testimoniano possibili influenze "francesi" sulla genesi del testo. Questa documentazione eterogenea è infine compendiata da due scambi epistolari inediti: il primo con William Skyvington, programmatore interno all'IBM; il secondo con François Wahl, editore presso Seuil, con cui l’autore ragiona sulla traduzione francese del romanzo. L’ultima corrispondenza lascia emergere la ferma volontà di dar vita a una traduzione il più possibile fedele all’originale italiano, in un tentativo di avvicinamento di due diversi mondi linguistici che ricorda da molto vicino la sfida dell’(im)possibile traduzione del «mondo non scritto» in «mondo scritto».
Tra Mercurio e Vulcano. La fucina del Viaggiatore, dal dattiloscritto alla princeps
D'AGOSTINO, ADA
2021
Abstract
A differenza delle altre opere di Italo Calvino, di cui ci rimangono bozze manoscritte e dattiloscritte, il manoscritto di Se in una notte d'inverno un viaggiatore è andato perduto. Il dattiloscritto è dunque, ad oggi, l'unico documento che ci permette di conoscere e ricostruire le diverse tappe della scrittura dell'iper-romanzo calviniano. La tesi analizza appunto questo inedito, per stabilire i tempi e le modalità attraverso cui Calvino elabora e dà vita al suo capolavoro. Al di là delle questioni cronologiche, l’analisi filologica del documento mira a spiegare le ragioni sottese ai molti interventi autoriali sul testo (cancellazioni, aggiunte e modifiche). Se le varianti d’autore riguardano più spesso il piano stilistico – e mettono in luce, per inciso, un inesausto labor limae votato ai principi della rapidità e dell’esattezza – altre volte vanno a toccare quegli snodi testuali luogo di riflessioni teoriche cruciali. È il caso, ad esempio, di un ampio passaggio espunto dal capitolo VIII, all’interno del quale Silas Flannery (alias Italo Calvino) si interroga sulla possibile sostituzione della figura autoriale con un computer: il passo espunto dimostra come, in un dato momento della stesura del testo, il “tema cibernetico” prendesse parte ai vertiginosi interrogativi sulla natura della fabulazione e sul ruolo dell'autore nella creazione dell’opera letteraria. Nel complesso, la tesi individua una serie di progetti e ragionamenti che rappresentano, a vario titolo, dei diretti antecedenti del Viaggiatore: dalla (mancata) rivista progettata da Calvino, Guido Neri e Gianni Celati sul finire degli anni '60, alle riunioni dell'OuLiPo, i cui verbali testimoniano possibili influenze "francesi" sulla genesi del testo. Questa documentazione eterogenea è infine compendiata da due scambi epistolari inediti: il primo con William Skyvington, programmatore interno all'IBM; il secondo con François Wahl, editore presso Seuil, con cui l’autore ragiona sulla traduzione francese del romanzo. L’ultima corrispondenza lascia emergere la ferma volontà di dar vita a una traduzione il più possibile fedele all’originale italiano, in un tentativo di avvicinamento di due diversi mondi linguistici che ricorda da molto vicino la sfida dell’(im)possibile traduzione del «mondo non scritto» in «mondo scritto».File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/97411
URN:NBN:IT:UNIROMA1-97411