Il miglior approccio per il trattamento delle patologie dell’arco dell’aorta rimane attualmente oggetto di dibattito non essendo ancora supportato da solide evidenze. La maggior parte dei dati relativi ai risultati post-operatori riguardo ai pazienti sottoposti ad interventi chirurgici per patologia dell’arco dell’aorta, si basa su un numero esiguo di casi, su trattamenti eterogenei e follow-up limitati. L’aorta ascendente e l’arco aortico costituiscono un segmento peculiare dell’aorta toracica per quanto riguarda l’anatomia, la fisiologia, la patologia e l’approccio terapeutico. La posizione anatomica all’interno del mediastino e la presenza delle principali branche arteriose responsabili della perfusione del cuore e dell’encefalo rendono conto delle forti difficoltà tecniche nell’approccio chirurgico a questa porzione dell’aorta, e delle importanti complicanze che possono associarsi a tali interventi. Per questo motivo la terapia chirurgica è spesso riservata solo ai pazienti in buone condizioni generali e con un rischio operatorio accettabile. Inoltre tale segmento vascolare riveste un ruolo particolare poiché rappresenta da sempre una ‘’zona di confine’’ tra la cardiochirurgia e la chirurgia vascolare, richiedendo pertanto una stretta collaborazione e sinergia tra diverse figure professionali quali il cardiochirurgo, il chirurgo vascolare, il cardio-anestesista, il cardiologo interventista, il radiologo interventista, il perfusionista e l’ecocardiografista, all’interno di strutture sanitarie attrezzate ed altamente specializzate, ovvero i cosiddetti ‘’centri di eccellenza”. L’intervento di sostituzione dell’aorta ascendente fu eseguito per la prima volta a Houston nel 1952 da DeBakey e Cooley1, senza l’utilizzo della circolazione extracorporea. Gli stessi descrissero nel 1956 il primo caso di sostituzione dell’aorta ascendente in circolazione extracorporea (bypass cardio-polmonare)2, mentre solo nel 1957 riportarono i risultati favorevoli dell’intervento di sostituzione dell’arco aortico3. Il gruppo di Houston che faceva capo a questi due grandi chirurghi, giustamente considerati pioneri della chirurgia dell’aorta toracica, contribuì negli anni seguenti alla diffusione di tali tecniche chirurgiche verso il resto del globo. Durante i successivi cinquanta anni, lo sviluppo dell’imaging radiologico, il progresso delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche, nonchè l’avvento dei metodi di circolazione extracorporea e dei sistemi di protezione cerebrale, hanno permesso di trattare la maggior parte dei pazienti con un significativo miglioramento dei tassi di mortalità e morbilità, i quali tuttavia rimangono ancora oggi tra i più alti rispetto alla media degli interventi chirurgici. Per cercare di ridurre ulteriormente l’invasività e le complicanze perioperatorie della chirurgia dell’aorta ascendente e dell’arco aortico, nell’ultimo decennio, sono stati studiati e sviluppati approcci differenti, meno invasivi, che includessero l’utilizzo delle tecniche endovascolari maturate negli altri distretti aortici (aorta toracica discendente, toracoaddominale e addominale), adattando queste ultime alla particolare anatomia dell’arco. Queste procedure, riportate per la prima volta nel 1998,4 che possono combinare la chirurgia tradizionale con quella endovascolare (procedure ibride) o che possono utilizzare tecniche endovascolari complesse (ad esempio con l’utilizzo di endoprotesi ramificate, o con tecniche “chimney”), hanno dimostrato di poter ridurre sensibilmente la mortalità e la morbilità perioperatoria. Tuttavia, attualmente è prematuro trarre delle conclusioni sull’effettiva efficacia a lungo termine di tali procedure. Obiettivo di questo studio è quello di valutare i risultati a medio termine delle procedure endovascolari a carico dell’arco aortico.
Trattamento endovascolare della patologia dell'arco aortico
FERRER, CIRO
2020
Abstract
Il miglior approccio per il trattamento delle patologie dell’arco dell’aorta rimane attualmente oggetto di dibattito non essendo ancora supportato da solide evidenze. La maggior parte dei dati relativi ai risultati post-operatori riguardo ai pazienti sottoposti ad interventi chirurgici per patologia dell’arco dell’aorta, si basa su un numero esiguo di casi, su trattamenti eterogenei e follow-up limitati. L’aorta ascendente e l’arco aortico costituiscono un segmento peculiare dell’aorta toracica per quanto riguarda l’anatomia, la fisiologia, la patologia e l’approccio terapeutico. La posizione anatomica all’interno del mediastino e la presenza delle principali branche arteriose responsabili della perfusione del cuore e dell’encefalo rendono conto delle forti difficoltà tecniche nell’approccio chirurgico a questa porzione dell’aorta, e delle importanti complicanze che possono associarsi a tali interventi. Per questo motivo la terapia chirurgica è spesso riservata solo ai pazienti in buone condizioni generali e con un rischio operatorio accettabile. Inoltre tale segmento vascolare riveste un ruolo particolare poiché rappresenta da sempre una ‘’zona di confine’’ tra la cardiochirurgia e la chirurgia vascolare, richiedendo pertanto una stretta collaborazione e sinergia tra diverse figure professionali quali il cardiochirurgo, il chirurgo vascolare, il cardio-anestesista, il cardiologo interventista, il radiologo interventista, il perfusionista e l’ecocardiografista, all’interno di strutture sanitarie attrezzate ed altamente specializzate, ovvero i cosiddetti ‘’centri di eccellenza”. L’intervento di sostituzione dell’aorta ascendente fu eseguito per la prima volta a Houston nel 1952 da DeBakey e Cooley1, senza l’utilizzo della circolazione extracorporea. Gli stessi descrissero nel 1956 il primo caso di sostituzione dell’aorta ascendente in circolazione extracorporea (bypass cardio-polmonare)2, mentre solo nel 1957 riportarono i risultati favorevoli dell’intervento di sostituzione dell’arco aortico3. Il gruppo di Houston che faceva capo a questi due grandi chirurghi, giustamente considerati pioneri della chirurgia dell’aorta toracica, contribuì negli anni seguenti alla diffusione di tali tecniche chirurgiche verso il resto del globo. Durante i successivi cinquanta anni, lo sviluppo dell’imaging radiologico, il progresso delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche, nonchè l’avvento dei metodi di circolazione extracorporea e dei sistemi di protezione cerebrale, hanno permesso di trattare la maggior parte dei pazienti con un significativo miglioramento dei tassi di mortalità e morbilità, i quali tuttavia rimangono ancora oggi tra i più alti rispetto alla media degli interventi chirurgici. Per cercare di ridurre ulteriormente l’invasività e le complicanze perioperatorie della chirurgia dell’aorta ascendente e dell’arco aortico, nell’ultimo decennio, sono stati studiati e sviluppati approcci differenti, meno invasivi, che includessero l’utilizzo delle tecniche endovascolari maturate negli altri distretti aortici (aorta toracica discendente, toracoaddominale e addominale), adattando queste ultime alla particolare anatomia dell’arco. Queste procedure, riportate per la prima volta nel 1998,4 che possono combinare la chirurgia tradizionale con quella endovascolare (procedure ibride) o che possono utilizzare tecniche endovascolari complesse (ad esempio con l’utilizzo di endoprotesi ramificate, o con tecniche “chimney”), hanno dimostrato di poter ridurre sensibilmente la mortalità e la morbilità perioperatoria. Tuttavia, attualmente è prematuro trarre delle conclusioni sull’effettiva efficacia a lungo termine di tali procedure. Obiettivo di questo studio è quello di valutare i risultati a medio termine delle procedure endovascolari a carico dell’arco aortico.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/98852
URN:NBN:IT:UNIROMA1-98852